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Era il 1963....  Un coltellaccio era conficcato sul banco….

Era il 1963. Primo giorno di scuola, in un paesino della mia Provincia. L’edificio era fatiscente. Mancava anche la pavimentazione. I banchi di legno sconnessi e traballanti.

            Ma niente poteva intaccare il mio entusiasmo per l’insegnamento che negli anni andò sempre crescendo.

Entro in classe, chiamo l’appello e ben presto mi accorgo che sul banco di una certa Carmela, occupato solo da lei, era conficcato un coltellaccio. Stupita, protesto, chiedo spiegazioni. Carmela taceva sprezzante; i compagni si affrettarono a spiegarmi che non c’era niente da fare: la loro compagna faceva sempre così, anche l’anno prima e anche con gli altri insegnanti..

Non ricordo ora se le mie proteste alla fine sortirono un qualche risultato, ma l’indomani e poi il giorno dopo ancora la stessa scena.

 La classe era piuttosto turbolenta; ragazzi svogliati; quasi nessuno portava l’occorrente.

Che fare?

-“Carmela” dissi “ da oggi farai la capoclasse: devi badare che tutti si comportino bene e portino l’occorente”.

Carmela mi guardò incredula e felice. Ma il coltello rimaneva conficcato sul banco. Per quel giorno lasciai correre.

Dopo un paio di giorni i risultati erano evidenti: i ragazzi si comportavano bene e portavano almeno i quaderni.

-“Carmela”- dissi- “riesci veramente bene nel compito che ti ho assegnato, brava; sono convinta inoltre  che non hai assolutamente bisogno di usare metodi mafiosi, mi riferisco al coltello, per fare valere la tua autorità di capoclasse”.

Non ricordo cos’altro dissi. Carmela non portò più il coltello in classe, anzi si impegnò nello studio e disimpegnò il suo incarico con molta diligenza.

Quell’anno mi sarei trasferita altrove: mi sposavo. I ragazzi ne vennero a conoscenza. L’ultimo giorno di scuola i colleghi offrirono un piccolo rinfresco a mo’ di saluto per la collega che si sposava.

In un angolo del grande e sconnesso androne della scuola Carmela piangeva a dirotto; ad un certo punto corse verso di me, mi abbracciò con forza e mi fece i suoi auguri. Non l’ho mai dimenticata. Era scura di pelle, grassottella e aveva gli occhi nerissimi.

                        Giuseppina Ficarra

 

 ZIO E NIPOTE
 

http://perlasicilia.blogspot.it/2012/06/luigi-ficarra-passi-scelti.html   

Passi scelti da “Le devozioni materiali” di Angelo Ficarra, con note libere di Luigi Ficarra per Enzo Pace

giuseppina ficarra23 giugno 2012 23:38

- zio: “Non basta far mandare a memoria un formulario arido e stecchito, se i fanciulli non arrivano a comprendere ciò che dicono e non lo trasformano in succo e sangue della propria mente e del proprio cuore”.

- nipote: Invece io credo che basta e avanza e che casomai la critica andava fatta all’insegnamento della religione ai bambini.

- zio: “Nel suo concetto genuino, la festa .. è ...un riavvicinamento ed un contatto più intimo dell’umano col divino, e quindi nel cristianesimo essa dovrebbe essere contrassegnata da un profondo lavorio di purificazione interiore e di elevazione in più alte sfere spirituali ...”...- Ora questo concetto sembra quasi del tutto perduto....-

- nipote: Invece io penso che la festa tanto più è festa quanto più casomai è pagana. Perché il popolo quando vuole divertirsi dovrebbe pensare ad ed un contatto più intimo dell’umano col divino? Col divino che magari molti, più di quanti la chiesa non è disposta a credere, non credono esista!


- zio: “molte feste di campagna invece di essere l’esponente di una pura ed intensa vita spirituale, si riducono purtroppo ad un affare commerciale, ad un’immensa fiera di animali ed anche di uomini...”
“Come nel periodo del Rinascimento, così anche oggi è tutta una corrente di paganesimo, che riesce a sopraffare e neutralizzare la corrente cristiana e dà il tono e l’indirizzo anche alle manifestazioni della vita religiosa”

- nipote: Ed io dico: perché no???

- zio: “Molti e molti non sanno che cosa sia la preghiera fervida, che si effonde dinanzi a Dio nel silenzio dell’anima, ma credono assolutamente necessario d’incomodare tutte le madonne e tutti i santi e condurli in modo più o meno baccanale per le vie della città”. .....
“Come nel mondo romano ogni divinità non è destinata se non a proteggere un interesse, così molti cristiani perdono di vista ogni pura idealità e danno un’importanza utilitaria anche a tutte le pratiche religiose. Dinanzi a tutte queste miserie , l’anima rievoca modestamente le parole di Gesù alla donna di Samaria : “Iddio è spirito, e bisogna adorarlo in spirito e verità”.

- nipote: Ed io dico: la superstizione esiste ed ha origine nella notte dei tempi: è la paura della morte, ma non si combatte certo con un’altra superstizione: “Iddio è spirito, e bisogna adorarlo in spirito e verità”!!!

- zio: L’uomo - Egli dice - tende sempre a legittimare e rappresentarsi come sacre le proprie passioni e le proprie tendenze, ....

- nipote: Io penso che giustamente un uomo sano cerca di capire le proprie passioni e le proprie tendenze non certo a viverle esclusivamente con sensi di colpa! Se poi tra le proprie tendenze ci mettiamo quelle sessuali a maggior ragione quest’uomo fa bene a legittimarle!

- zio: “una prima categoria è formata da coloro che si confessano immancabilmente una volta all’anno, quando viene la Pasqua”. . Che cosa vuole di più il buon Dio? Non sono essi degli ottimi cristiani? “In cuor loro essi ragionano in un modo abbastanza semplice : la confessione in sostanza non è altro che una grossa partita da saldare con Domineddio, e siccome alla fine dei conti si ottiene s e m p r e la remissione di tutto il debito, non vale poi la pena di farne tante e basta una per tutte in punto di morte”.

- nipote: E questa è la parte più sana del popolo!!!!

-zio: “Vi è un’altra categoria, per cui la confessione è come un pannicello caldo da mettere sulla coscienza”.

- nipote: E questa è la parte meno sana del popolo, quella che avrebbe bisogno magari di un po’ di psicanalisi!!!!

- zio: "-zio-“Per un’ipotesi assurda e temeraria, provatevi un po' ad esortare il popolino di mettere insieme tutto il denaro che si consuma nelle feste (religiose) di un solo anno, e riversarlo a beneficio di un ospedale, di una suola di religione o di qualche altra iniziativa geniale ed umanitaria. E’ triste ed umiliante il confessarlo: voi non potreste raccogliere neanche la decima parte delle offerte”.

-nipote- Sovvenzionare un ospedale é compito dello Stato e non certo del popolo, chiamato qui in modo  dispregiativo "popolino".

giuseppina ficarra18 aprile 2020 00:36