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FEMMINICIDIO  e tematiche di genere

Nuestras Hijas de Regreso a Casa è un’organizzazione costituita da familiari ed amici vicini alle giovani assassinate e desaparecidas. La sua nascita risale al febbraio 2001, con una serie di proteste pubbliche provocate dall’impotenza e dall’indignazione sommate al dolore di perdere un essere amato in queste circostanze: in questo caso la sparizione -ed il successivo assassinio- di Lilia Alejandra García Andrade, che dopo aver subito intense torture per cinque giorni, fu strangolata e il cui corpo venne gettato in un campo incolto.

Queste denuncie poco a poco si convertirono in quello che adesso è Nuestras Hijas de Regreso a Casa (Le nostre figlie di ritorno a casa), infatti con l’aumentare delle famiglie che si unirono a questo movimento di lotta, fu necessario intraprendere azioni che rispondessero alle esigenze di giustizia giuridica. Il lavoro è stato serio e responsabile e il nostro operato ha portato il tema delle donne assassinate a Ciudad Juarez su un piano nazionale ed  internazionale non solamente per ciò che riguarda la diffusione di questi fatti orribili e dolorosi, ma anche nella ricerca di soluzioni: una volta esaurite le istanze di giustizia messicane, in alleanza con altre organizzazioni, abbiamo portato le nostre denuncie fuori dal paese, con l’intenzione che i casi venissero chiariti davanti alla Corte Interamericana dei Diritti Umani, e che si ponesse fine a questa terribile strage di donne così come all’impunità dei crimini. Le fondatrici di questa organizzazione sono Marisela Ortiz (maestra di Lilia Alejandra) e Norma Andrade (madre di Lilia Alejandra); attraverso una serie di proteste e denuncie pubbliche (che ebbero eco nella società ma non tra le autorità ed il governo), le nostre voci ed i lamenti hanno attratto sempre più famiglie che si sono avvicinate per chiedere appoggio, visto che le autorità non ne cercano le figlie che vennero sequestrate da sconosciuti nella città di Chihuahua (marzo 2001) simultaneamente  alla sparizione e uccisione di Lilia Alejandra. leggi tutto vedi anche il blog di Humberto Robles

Non ho mai nutrito l'illusione di trasformare la condizione femminile, essa dipende dall'avvenire del lavoro nel mondo e non cambierà seriamente che a prezzo di uno sconvolgimento della produzione. Per questo ho evitato di chiudermi nel cosiddetto "femminismo". Simone De Beauvoir

  colsi la prima mela di liadiperi  solitaria per forza

In questa pagina articoli che Anita Silviano traduce per noi e altro ancora 

Che cos'è il Patriarcato? Dolors Reguant Fosas Barcelona 2007 (traduzione di Anita Silviano)

DAL MATRIARCATO AL PATRIARCATO: VIAGGIO ATTRAVERSO IL MITO E  IL TEATRO TRAGICO  GRECO  di Rosa Casano Del Puglia

Corano, Femminismo e Manipolazione Patriarcale di Nasreen Amina, femminista mussulmana anche qui

e FEMMINISMO ISLAMICO CONTRO LE LEGGI DEL PATRIARCATO

colsi la prima mela: Tredici mappe sulla condizione della donna nel mondo

 La Sindrome di Medea Crista Wolf

Hasta la madre..... della guerra di Calderon La famosa guerra contro il narcotraffico imposta dal presidente Felipe Calderon ha mietuto, in soli quattro anni, la vita di 40 mila persone Leggi tutto

VIOLENZA SULLE DONNE:  PARLIAMO DI FEMMINICIDIO dell'associazione italiana Giuristi democratici.

Che cos'è il genere? aclickinthewall.wordpress.com (traduzione di Anita Silviano)

L’econimia femminista, un nuovo modello di sviluppo

http://liadiperi.blogspot.com/2012/01/leconomia-femminista-comporta-un-nuovo.html

L'odierna inquisizione e le religiose nordamericane. da Ivone Gebara (traduzione di Anita Silviano)

 Lo 'stupratore immigrato', 'la badante', 'la puttana' di Sonia Sabelli Intervento al convegno transnazionale Fuori e dentro le democrazie sessuali, che si è svolto a Roma il 28 e 29 maggio 2011, organizzato da Facciamo Breccia

zeroviolenzadonne

femminismo al sud

femminismoal sud 2

Femminismo nero e postcolonialedi Adrienne Rich

Il femminismo islamico Colsi la prima mela

Mettere in dubbio il genere di Regina Martínez (traduzione di Anita Silviano)

Il femminismo di destra non esiste Beatriz Gimeno

"Il femminismo non morde"

In Messico i cartelli della droga si impadroniscono delle città: in aumento la tratta delle donne

No all'islamofobia in nome del femminismo / Islamophobie au nom du féminisme : no !

Il corpo delle donne, bottino della narco-guerra di Sanjuana Martínez

Perù: le donne delle comunità indigene rivendicano i loro diritti  di Julia Vicuña Yacarin

Donne peruviane sterilizzate forzatamente su richiesta del Fondo Monetario, in cambio di riso  intervista a ' Cléofl Neira

 Il mito della madre perpetua il sistema patriarcale  di Cruz Guadalupe Jaimes

Maquilas: Vietato parlare, ammalarsi, rimanere incinte e organizzarsi di Alba Trejo

Un anno di impunità negli omicidi degli attivisti Bety Cariño e di Jaakkola i Patricia Briseño, correspondente Cimac Morire di rogo di Ana Lia Glas  

Patriarcato e fondamentalismo, due facce della stessa medaglia di Cléo Fatoorehchi

Islamofobia: "La donna è trasformata in capro espiatorio sulla quale esercitare pressioni" intervista a a Ndeye Andujar e Laure Rodrigue

Un anno di impunità negli omicidi degli attivisti Bety Cariño e di Jaakkola i Patricia Briseño, correspondente Cimac Morire di rogo di Ana Lia Glas

Patriarcato e fondamentalismo, due facce della stessa medaglia di Cléo Fatoorehchi

Il diritto di essere donna e mussulmana. Il femminismo islamico di Alba Garcia Onrubia

Le donne mussulmane femministe esigono la parità di genere nel contesto dell'Islam da webislam.com
 

Islamofobia: "La donna è trasformata in capro espiatorio sulla quale esercitare pressioni" intervista a a Ndeye Andujar e Laure Rodrigue

Messico: ricomincia il femminicidio  Susana Chávez, uccisa lo scorso 6 gennaio. È la prima vittima di femminicidio a Ciudad Juárez del 2011
 

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Mettere in dubbio il genere  - di Regina Martínez

(traduzione di Anita Silviano)

Questo è un argomento che comporta non poche remore, perché fondamentalmente non siamo abituati a discutere di tematiche di questo tipo. Chi mi conosce sa già che il mio tentativo è sempre stato quello di strappare certe discussioni dagli angusti spazi destinati agli/alle addetti ai lavori o alle sedi accademiche. Pensare che siano argomenti marginali non solo è il prodotto di un pregiudizio politico ma cosa peggiore è restare estranei alla storia. Anita Silviano

Tra de-costruzione e analisi marxista del/dei genere/i

Il termine genere racchiude una serie di caratteristiche e norme di comportamento associati al maschile e femminile.

"Non nasciamo donne, lo diventiamo" Queste parole di Simon de Beauvoir (Il secondo sesso, 1949) immaginiamo che furono un cruciale affronto al determinismo che cercava di giustificare la disguaglianza sulla base delle differenze fisiche.

Più paziente,più sensibile, più dedita alla cura. Le caratteristiche associate alla femminilità cercano di giustificare la diseguaglianza esistente e i ruoli che la società ci assegna. Ma la realtà è che in funzione del momento storico, il contesto culturale e la classe sociale hanno creato diverse aspettative e situazioni.

Marx diceva che le idee dominanti nella società sono le idee della classe dominante. Mentre alla fine del XIX e parte del XX secolo si imponeva il ruolo della donna come " angelo del focolare" (pura, credente, delicata, innocente) le lavoratrici venivano sfruttate in condizioni abominevoli...

Attualmente gli sforzi e le ossessioni per ottenere un corpo perfetto tormenta molte donne, risponde più alla mercificazione ( cosmetica, pornografia, moda) del corpo e al cliché della donna ricca ( quella che si presenta come un bene in più per suo marito) che agli interessi delle donne comuni. Sojouner Truth, schiava afroamericana abolizionista, lo illustrava brillantemente: " Gli uomini affermano che la donna ha bisogno di aiuto per salire su un'auto. Nessuno mi ha aiutata a salire su una  macchina, che forse non sono donna? Guardate le mie braccia! Ho arato e piantato e raccolto la vendemmia e non c'è uomo che possa superarmi in questo,  che forse non sono una donna? [...]”.

Gli stereotipi di genere si trasformano in una prigione: un uomo sensibile è debole , una donna aggressiva non è femminile. Però succede che si mescolino con l'orientamento sessuale  e una donna "poco femminile" si percepisce come lesbica, mentre un uomo "molto mascolino" rientra nel'eterosessualità.

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 Come si è più volte ribadito né la sessualità né il genere sono concetti fissi, ma dipendono dalla cultura e dal momento storico.

Infatti il termine omosessuale nacque in un momento molto specifico in Occidente e in altre culture troviamo differenti tipologie della combinazione sesso-genere. Per esempio i berdache di alcune società nativi americani nascono uomini, si vestono da donna, hanno uno status di tutto rispetto e un ruolo spirituale nella società e si sposano con uomini non berdache, che a loro volta non sono considerati "gay".

Pertanto se tralasciamo  un poco di vederci come ombelico dell'occidente, ci accorgeremo che neppure le classificazioni che includono l'eterosessualità, omosessualità e bisessualità sono universali. Nè lo è l'ossessione alla medicalizzazione di quelle persone intersessuali che alla nascita si pensa non abbiano quelle caratteristiche fisiche che definiscono una donna o un uomo e si interviene chirurgicamente con perdita del piacere e l'affettazione identitaria che comporta.

Anche coloro che non soddisfano gli stereotipi eteronormativi, vengono stereotipati. Il capitalismo quando non può schiacciare le differenze o il dissenso cerca di assorbili a suo vantaggio.

Dopo la liberazione sessuale degli anni '60, si produce la sessualizzazione brutale della donna sotto il neoliberismo; dopo le vittorie del movimento LGBT irrompe in seguito la cosiddetta 'valuta' rosa.

Le lotte hanno fatto avanzare moltissimo, ma non possiamo fermarci perché il sistema cerca di fagocitarci costantemente.

Auto-designazione

Negli anni '90 arriva una nuova visione che mette in dubbio i precetti dei due movimenti sociali cruciali per questione sessuale.

In primo luogo la messa in discussione del femminismo della differenza, che assumendo le caratteristiche del femminile, favorisce la identificazione della donna come classe o genere separato dall'uomo, ma allo stesso tempo come un tutt'uno omogeneo che lascia fuori i non occidentali e i transessuali.

Dall'altra parte questa nuova visione sfida anche  la prospettiva dei gruppi LGBT che guidano movimenti separatisti per l'identità accettando implicitamente che essere omosessuali sia qualcosa di atipico.

La teoria Queer rivoluziona il panorama, sfidando la nozione di sessualità come qualcosa di rigido e incasellato. Come spiega Judith Butler (fiosofa e docente americana):

"Queer è un ternime che mira ad evitare di dover presentare la carta d'identità prima di entrare ad una riunione […], è un argomento contro una certa normatività".

Non esiste una classificazione valida,tutte le identità sociali sono egualmente anomale.

Per coloro che utilizzano il marxismo come strumento analitico di lotta, quet'analisi è condivisibile: i confini tra le identità sessuali sono una mera costruzione sociale. Il rifiuto ad essere etichettato e stigmatizzato è altamente rivoluzionaria perché evita almeno concettualmente la segregazione. Tuttavia risiede qui uno dei problemi. Gran parte di questa teoria (queer) nasce dal post strutturalismo e dal post-modernismo, che nega l'esistenza della classe lavoratrice e rileva il linguaggio e la politica, come strutture del potere contemporaneo, senza offrire una spiegazione dell'origine e della oppressione sessuale e di genere. D'altra parte con la semplicità tipica delle generalizzazioni, dato che vi sono collettivi e movimenti più radicali e anticapitalisti , la strategia di lotta parte dall'auto-designazione, dai cambiamenti nello stile di vita e dagli eventi culturali.

La de-costruzione del genere presuppone la possibilità di costruire un movimento unitario nella più ricca diversità. E questa unità si ottiene a partire dalla lotta anticapitalista, dato che il sistema perseguita quelle tendenze e sessualità che non soddisfano la riproduzione a buon mercato e garantita della classe operaia promossa dalla famiglia nucleare, che come hanno detto molti attivisti prima di essere un rito ultracattolico è radioattiva.

http://www.enlluita.org/site/?q=node/3818

(traduzione di Anita Silviano)

Femminismo nero e postcolonialedi Adrienne Rich
.pubblicata su fb da Anita Silviano il giorno lunedì 14 novembre 2011 alle ore 23.33.Nell’ambito del modulo Introduzione agli studi delle donne e di genere di Maria Serena Sapegno

Sapienza Università di Roma, anno accademico 2011/2012, primo semestre, dalla bibliografia posto questo articolo della saggista e poeta femminista, Adrienne Rich

 

La politica del posizionamento

 

di Adrienne Rich

 

Qualche anno fa avrei parlato dell'oppressione delle donne e dei movimenti delle donne sorti in tutto il mondo, di storie occultate sulla resistenza delle donne e dei loro limiti, del fallimento di tutta la politica precedente nel riconoscere l'universale ombra del patriarcato e della speranza che le donne ora, in un periodo di crescente consapevolezza e di urgenza globale, possano superare ogni confine nazionale e culturale per creare una società libera dalla sete di potere, in cui "la sessualità, la politica, ... il lavoro, ... l'intimità ...ed il pensiero stesso saranno trasformati1. Avrei detto tutto questo come femminista, alla quale è "capitato" di essere una cittadina bianca degli USA, consapevole dell'abilità del mio paese di esercitare la violenza e l'arroganza del potere, e nello stesso tempo, semi-distaccata da quel governo, avrei potuto citare senza pensarci due volte una frase di Virginia Wolf nelle Tre Ghinee "come donna non ho una patria, come donna non voglio una patria, come donna la mia patria è il mondo intero.

Ognuno di noi può vedere la sua casa come una piccola macchia in un enorme paesaggio o come il centro dal quale dei cerchi si dilatano in un universo sconosciuto. Quello che ora mi preme è il problema del sentirsi al centro, ma il sentirsi al centro di cosa? Come donna ho una patria; come donna non posso liberarmi di quella patria solo condannando il suo governo dicendo per ben tre volte "come donna la mia patria è il mondo intero". Lealismo tribale a parte, anche se le nazioni-stato sono oggi solo pretesti usati dalle varie multinazionali per servire i loro interessi, io ho bisogno di sapere come un luogo sulla carta geografica possa avere un posto nella storia entro il quale come donna, ebrea, lesbica e femminista io mi formo e cerco di creare. Non desidero iniziare da un continente, da una nazione o da una casa in particolare, ma dal posto più vicino geograficamente, ossia il corpo.

 E' proprio qui che, almeno, io so di esistere, si, quell'essere umano vivente che già Karl Marx definì "la prima premessa di tutta la storia umana"2 Tuttavia non è come marxista che sono approdata a questa scoperta, e neanche tutti i miei studi storici, letterari, scientifici e teologici mi sono stati d'aiuto nel processo della conoscenza di me stessa. Ci sono arrivata da femminista radicale, con la politica della gravidanza e della maternità, con la politica dell'orgasmo e dello stupro, dell'incesto, dell'aborto, con la politica del controllo delle nascite, della sterilizzazione forzata, della prostituzione e del sesso coniugale e con quella che è stata definita liberazione sessuale, con l'eterosessualità e con il lesbismo. Le femministe marxiste sono state delle pioniere in questo campo ma per molte donne che ho conosciuto, il desiderio di cominciare dal corpo femminile da sole, è stato interpretato non come l'applicazione del principio femminile alle donne ma come terreno fertile per poter esprimere il senso di autorità delle donne, in altre parole è stato interpretato non per trascendere il corpo ma per ottenerlo. Per ricollegare il nostro pensiero e le nostre parole con il corpo di questo particolare essere umano che è la donna, cominciamo dal problema madre.

Cominciamo con i fatti e rivediamo la lunga lotta contro il privilegio e l'eminenza dell'astrazione. Probabilmente è questo il punto centrale del processo rivoluzionario, sia che lo si voglia chiamare marxista, terzomondista, femminista o in tutti e tre i modi. Molto tempo prima del diciannovesimo secolo, le streghe empiriste del Medio Evo europeo si affidavano ai loro sensi e con rimedi rudimentali lottavano contro i dogmi anti-empirici, anti-materiali e poco sensibili della Chiesa, morendone così a milioni. "Una rivolta contadina guidata dalle donne?", in ogni caso una ribellione contro un'idolatria di pure idee, contro la credenza che le idee hanno una vita propria e fluttuano a lungo sulle teste della gente comune, le donne, i poveri e gli emarginati3. Le teorie separate dalla quotidianità della gente ritornano alla gente stessa sotto forma di slogan. La teoria - la capacità di vedere le possibilità, il mostrare la foresta e anche gli alberi - è come la rugiada che sale dalla terra e sotto forma di pioggia ritorna alla terra in un processo senza fine.

Ho appena scritto una frase ma l'ho cancellata, in essa ho detto che le donne hanno sempre compreso la lotta contro la libera e fluttuante astrazione anche quando erano intimidite dalle idee astratte. Non voglio scrivere quella frase qui, ora, quella frase che comincia con "le donne hanno sempre...". Abbiamo iniziato qui il discorso respingendo frasi che cominciano con "le donne sono state sempre e ovunque asservite all'uomo" oppure "le donne hanno sempre avuto l'istinto materno". Se abbiamo capito qualcosa in questi anni sul femminismo del XX secolo, è che quel "sempre" cancella tutto quello che veramente abbiamo bisogno di sapere: quando, dove e in quali condizioni può essere vera quella frase?

E' assolutamente necessario porsi questi interrogativi - dove, quando e in quali condizioni le donne hanno agito o sono state manipolate? Tanta è la gente che lotta contro l'asservimento ma ora e anche in futuro è importante che si parli dell'asservimento specifico della donna, indagando nel nostro specifico luogo, il corpo femminile. E' importante che si parli soprattutto della nostra attiva presenza come donne. Abbiamo creduto, ed io continuo a crederci, che la liberazione delle donne fosse come un cuneo inserito in tutto il pensiero radicale, che potesse allargare quelle strutture che ancora oppongono resistenza, liberare l'immaginazione e unire ciò che è stato pericolosamente diviso. Come abbiamo già detto, concentriamoci ora sulle donne: facciamo in modo che gli uomini e le donne si sforzino con coscienza ad ascoltare ciò che le donne dicono; insistiamo su quei particolari momenti che consentono a più donne di parlare; ritorniamo alla terra, intesa non come il paradigma "donne", ma come un luogo, un posto.

Forse abbiamo bisogno di una moratoria quando diciamo "il corpo" perché è anche possibile astrarre "il" corpo. Quando scrivo "il corpo", non vedo niente di particolare. Scrivere, invece, "il mio corpo" mi spinge all'interno dell'esperienza vissuta e nella sua particolarità: vedo cicatrici, sfregi, appannamenti, danni, perdite ma anche tutto ciò che mi fa piacere. Le ossa ben nutrite dalla placenta; i denti di una persona borghese che è stata visitata due volte all'anno dal dentista sin dall'infanzia. La pelle bianca, segnata dalle cicatrici di ben tre gravidanze, da una sterilizzazione consapevole, da un'artrite cronica, da quattro operazioni, da depositi di calcio, da nessuno stupro e da nessun aborto, da lunghe ore alla macchina da scrivere, la mia non quella di un ufficio, e così via. Dire "il corpo" mi offre un'altra prospettiva rispetto alla prima. Dire "il mio corpo" riduce la tentazione di asserzioni grandiose.

Ora vi racconterò i primi e ovvi fatti della vita di questo corpo bianco e di genere femminile o, se volete, di genere femminile e bianco. Sono nata nel reparto bianco di un ospedale che separava nella sala parto le donne nere da quelle bianche e i bambini neri da quelli bianchi nel nido, proprio come separava i corpi neri da quelli bianchi nell'obitorio. Mi hanno definita bianca prima ancora che femmina. Anche se inizio dal mio corpo devo dire che sin dal principio quel corpo aveva più di un'identità. Quando fui portata via dall'ospedale nel mondo, venivo vista e trattata da femmina e anche da bianca sia dai bianchi che dai neri. Sono stata situata in base al colore e al sesso allo stesso modo di una bambina di colore, sebbene l'implicazione di un'identità bianca veniva mistificata dalla presunzione che i bianchi sono al centro dell'universo. Posizionarmi nel mio corpo significa molto di più che capire di avere una vulva, un clitoride, un utero e un seno... Significa riconoscere questa pelle bianca che mi ha consentito alcune cose ma non altre.

Il corpo in cui sono nata non era solo di genere femminile e bianco, ma anche ebreo e questo ha giocato in quegli anni, geograficamente parlando, una parte determinante. Avevo quattro anni ed ero una Mishling quando cominciò il Terzo Reich. Poteva essere Baltimora o Amsterdam o Praga o Lòdz, la giovane scrittrice di dieci anni potrebbe non avere alcun indirizzo. Io sono sopravvissuta a Praga, ad Amsterdam, a Lodz e alle stazioni ferroviarie dei deportati, sarei potuta essere una di quelle persone. Il mio nucleo sarebbe, forse, potuto essere il Medio Oriente o l'A-merica latina e la mia lingua sarebbe potuta essere una altra. Ma sono una ebrea nord-americana, nata e cresciuta a 3.000 miglia dalla guerra europea.

 

Cerchiamo, come donne, di vedere dal centro o nucleo d'origine. "La politica", ho scritto una volta, "del farsi le domande delle donne"4. Non siamo "il problema donna", siamo donne che fanno domande, che si chiedono. Cercando di vedere di più e altrettanto consapevole di essere vista, mi sono trovata nella luce, sono cambiata. Ho cominciato a frantumare con pazienza il falso universale maschile e accumulando pezzo su pezzo esperienze concrete, confrontandole, ho cominciato a discernerne le modalità. Ho provato rabbia e frustrazione verso il rifiuto dei marxisti o della sinistra di affrontare le problematiche femminili e questo tipo di lotta. E' facile ora semplificare questa delusione, ma la rabbia è stata tanta e profonda, la frustrazione reale, sia nelle relazioni personali che nelle organizzazioni politiche.

Nel 1975 ho scritto: Molto di quello che viene strettamente definito "politica" sembra risiedere nel desiderio di certezze anche a costo dell'onestà, per un'analisi che, una volta fatta, non ha bisogno di essere riesaminata. Ed è questo il motivo per cui le donne sono così indifferenti al Marxismo ai nostri giorni5. Là dove la politica si è esternata, è stata sentita come un punto morto, tagliata fuori dalle vite quotidiane di donne e uomini, e si è chiusa in un gergo rarefatto, in un gergo di élite, una sorta di enclave, si è settarizzata, alimentandosi degli errori di tutti i suoi membri. Ma anche se ci siamo scrollate di dosso Marx, i marxisti accademici e la sinistra settaria, alcune di noi, definitesi femministe radicali, hanno capito meno cosa fosse la liberazione delle donne che la creazione di una società senza dominatori; non volevamo indicare altro che la via per rinnovare tutti i rapporti tra gli esseri umani. Il problema era che non sapevamo quello che volevamo dire quando dicevamo "noi".

Il patriarcato non esiste in alcun luogo allo stato puro; siamo le ultime ad aver messo piede in un groviglio di oppressioni maturatesi per secoli. Questo non è il vecchio gioco da bambini dove tu scegli un filo di un colore della rete lo ripercorri all'indietro per trovare il tuo premio, ignorando gli altri , il tutto per puro svago. Il premio è la vita stessa, e molte donne nel mondo devono lottare per le loro stesse vite e, allo stesso tempo, su diversi fronti.

Noi ... spesso troviamo difficile separare la razza dalla classe e dall'oppressione sessuale perché nelle nostre vite le percepiamo molto spesso in modo simultaneo. Sappiamo che c'è un qualcosa come l'oppressione razzial-sessuale che non è solo e unicamente razziale né solo sessuale... Dovremmo distinguere la reale situazione di classe delle persone che sono lavoratori caratterizzati da una razza ed un sesso di appartenenza; l'oppressione razziale e sessuale è un fattore determinante e significativo nelle nella loro vita lavorativa ed economica. Questa citazione fa parte dello statuto del 1977 del Collettivo Combahee River, uno dei più importanti documenti del movimento delle donne negli USA, che offre una definizione del femminismo nero chiara e inflessibile sull'esperienza della simultaneità delle oppressioni6. Abbiamo teorizzato anche sulla lotta contro l'astrazione libera.

 

Dobbiamo riconoscere la natura circoscritta del (nostro) essere bianche/i7. Sebbene siamo state emarginate come donne, abbiamo pure emarginato altri in qualità di produttrici di teoria bianca e occidentale, perché la nostra esperienza di vita è, senza alcun dubbio, bianca, perché anche le nostre "culture delle donne" sono radicate in qualche tradizione occidentale. Avendo riconosciuto il nostro posizionamento, avendo dato un nome alla terra dalla quale proveniamo, abbiamo dato per scontate queste condizioni creando confusione tra quello che volevamo, le nostre aspettative bianche ed occidentali e quelle propriamente femminili8, abbiamo avuto paura di perdere la centralità dell'uno anche se tendevamo (rivendicavamo l'altro) verso l'altro.

Come definisce la teoria una femminista bianca? E' qualcosa che tutte le donne bianche producono o che fanno solo le scrittrici? Come definisce "un'idea" il femminismo bianco occidentale? Come lavoriamo per costruire una coscienza femminista bianca ed occidentale che non sia semplicemente centrata su se stessa e che resista ai limiti della cultura bianca?

E' stato attraverso la lettura di opere e anche attraverso le azioni e i discorsi e i sermoni di cittadini neri statunitensi che ho cominciato a capire il mio essere bianca come punto di posizionamento del quale avevo bisogno di sentirmi responsabile. Anche la lettura di poesie di donne contemporanee cubane mi ha aiutato a capire il nord America come luogo che ha così profondamente influenzato (plasmato) il mio modo di vedere le cose e le mie idee, un luogo del quale ero in parte responsabile.

 

Ho viaggiato poi in Nicaragua, dove in una terra povera, in una società di soli 4 anni che si prodigava ad estirpare la miseria, sotto le colline ai confini con l'Honduras, potevo sentire fisicamente alle mie spalle il peso degli Stati Uniti d'America, del suo esercito, dei suoi vasti interessi economici, dei suoi mass media; riuscivo a capire cosa significasse, dissidente o meno, essere parte di quel potere, di quella fredda ombra che proiettiamo ovunque nel sud del mondo.

Negli Usa a molte persone è stato impedito di sviluppare il proprio processo di crescita ed i loro movimenti. Per 40 anni abbiamo sentito dire che siamo i guardiani della libertà, mentre dietro la "Cortina di Ferro" c'è solo manipolazione e terrore. Da qui la caccia alle streghe negli anni '50. La sensazione di falsità, di mistero e la paranoia che circondava il partito comunista americano dopo le dichiarazioni di Khrushchev del 1956 portò alla perdita di 30.000 membri in poche settimane e quei pochi che rimasero, rimasero, in realtà, a parlare solo di questo. Chiunque fosse ebreo, omosessuale o appartenente a qualunque altra minoranza diversa, veniva sospettato di essere "comunista". E fu così che una coltre di neve si posò sul radicalismo statunitense. E, sebbene parte del movimento femminista nord americano nacque dai movimenti neri degli anni '60 e dalla sinistra studentesca, le femministe non hanno solo sofferto le esperienze femminili rimosse e distorte, ma anche la rimozione e la distorsione generale dei grandi movimenti progressisti9.

Il movimento per il cambiamento risiede nei sentimenti, nelle azioni e nelle parole. Tutto ciò che circoscrive o mutila i nostri sentimenti, come il pensiero astratto, le rigide lealtà tribali, ogni tipo di ipocrisia, presunzione e l'arroganza di ritenerci al centro di tutto ci rende più difficile l'agire che resta reattivo e ripetitivo. E' duro guardare indietro di un anno o cinque anni ai limiti della mia conoscenza; come riuscivo a guardare senza vedere? E come riuscivo a sentire senza ascoltare? Può essere difficile essere generose/i con quelle/i che eravamo in passato e continuare a credere al nostro percorso specialmente negli USA dove le identità e le lealtà sono state messe da parte senza alcun problema nell'intento di renderci tutti "americani". Ma come, se non tramite noi stesse, possiamo capire ciò che spinge gli altri a cambiare? Le nostre vecchie paure e i nostri rifiuti, cosa potrebbe aiutarci a farle andar via? Che cosa ci porta a decidere che dobbiamo rieducare noi stesse/i e anche quelli di noi con una "buona" educazione? Una vita politicizzata dovrebbe affinare sia i sensi che la memoria.

La difficoltà di dire "io" è una frase tratta dalla scrittrice della Germania orientale Christa Wolf10. Ma una volta espressa, mentre ci rendiamo conto di voler andare oltre, non è difficile articolare il "noi"? Non puoi parlare per me. Non posso parlare per "noi". Due modi di pensarla: non c'è nessuna forma di liberazione che sappia dire soltanto "io". Non c'è nessun movimento collettivo che possa parlare per ognuno di noi fino in fondo. E così, anche i pronomi comuni diventano un problema politico.

* 64 missili cruise a Greenham Common e a Molesworth

* 112 a Comiso

* 96 missili Pershing II nella Germania occidentale

* 96 per il Belgio e l' Olanda.

Questa è la previsione per i prossimi anni.

 

Negli Usa e in Europa diranno no, a tutto questo e alla militarizzazione del mondo, migliaia di donne.

Un approccio che fa risalire il militarismo al patriarcato e il patriarcato alla qualità fondamentale del mondo maschile che può essere demoralizzante e anche paralizzante... Forse è possibile essere meno preoccupati sulle "origini delle cause". Potrebbe essere più utile chiedersi: come si ripetono questi valori e questi comportamenti di generazione in generazione11? La valorizzazione dell'essere uomo e della maschilità. Le forze armate come l'estrema rappresentazione della famiglia patriarcale. L'idea arcaica delle donne come "home front" anche mentre i missili esplodono nei cortili del Wyoming e del Mutlangen.

 La crescente preoccupazione che un movimento anti-nucleare e anti-militarista deve essere un movimento socialista, anti-razzista e anti-imperialista. Inoltre, non è abbastanza preoccuparsi per la gente che conosciamo, gente come noi, noi stesse/i. E non ci rende più forti l'arrenderci ai terrori astratti del puro annichilimento. Il movimento anti-nucleare e anti-militarista non può spazzar via i missili come movimento che vuole salvare la civiltà bianca dell'Occidente. Il movimento per il cambiamento è un movimento che cambia, che cambia se stesso, che si libera della propria mascolinità, che si libera della sua occidentalità, diventando un peso critico che dice in tante voci, lingue, gesti e azioni: deve cambiare, noi stesse/i possiamo cambiarlo. Noi che non siamo le/gli stesse/i, noi che siamo molte/i e non vogliamo essere le/gli stesse/i.

Cercando di studiare me stessa durante la stesura di questo testo, spesso ritorno a Sheila Rowbotham, la femminista socialista britannica che ha scritto Beyond the Fragments:

«Un movimento ti aiuta a superare una parte della distanza opprimente generata dalla teoria e questo è stato ed è una ... continua meta creativa della liberazione femminile. Ma alcuni sentieri non sono tracciati e le nostre basi d'appoggio svaniscono ... considero ciò che scrivo come una parte di un'affermazione più ampia che sta iniziando. Io stessa faccio parte della difficoltà del movimento, la difficoltà non è fuori di noi ma dentro».

Anche le mie difficoltà non sono esterne, tranne nel sociale. Non credo più, i miei sentimenti non mi permettono di credere che l'occhio dei bianchi vede dal centro. Tuttavia, spesso mi ritrovo a pensare come se ancora credessi che questo sia vero, o che la mia capacità di pensiero ristagna. Mi sento in uno stato di afasia, come se il mio cervello e il mio cuore rifiutassero di parlare l'uno all'altro. Il mio cervello, un cervello di donna, ha esultato nel rompere i tabù contro il pensiero femminile, è decollato col vento dicendo, io sono la donna che fa le domande. Il mio cuore impara in modo più umile e laborioso che i sentimenti sono inutili senza i fatti, che in fondo, ogni privilegio è ignorante.

Gli Stati Uniti non sono mai stati una nazione bianca, anche se per molto tempo hanno servito gli interessi degli uomini bianchi. Il Mediterraneo non è mai stato bianco. L'Inghilterra, l'Europa settentrionale, anche se sono state totalmente bianche, non lo sono più. In una libreria di sinistra a Manchester in Inghilterra, un poster del Terzo Mondo diceva: NOI SIAMO QUI PERCHÉ VOI ERAVATE LI'. In Europa gli Ebrei, gli abitanti originari del ghetto, sono sempre stati considerati come un bersaglio razzista, sottoposti a leggi speciali e a particolari tasse di entrata (nel ghetto), costretti a spostarsi da un luogo all'altro e massacrati.

Sono stati considerati capri espiatori e alieni, non sono mai stati veramente visti come europei ma come membri di un mondo più oscuro da controllare ed eventualmente sterminare. Oggi le città europee hanno nuovi capri espiatori, ovvero la diaspora dei vecchi imperi coloniali. L'antisemitismo è un modello di razzismo, o il razzismo lo è per l'antisemitismo? Ancora una volta, mi chiedo dove ci conduca questa domanda. Non dovremmo iniziare da qui dove ci troviamo, quarant'anni dopo l'olocausto, al centro della violenza medio-orientale, al centro del potente fermento del Sudafrica, non dunque in un dibattito sulle origini e sui precedenti ma nel riconoscimento delle oppressioni simultanee?

Sto pensando molto alla preoccupazione sulle origini, mi sembra solo un modo di fermare il tempo nel suo fluire. I triangoli sacri neolitici, i vasi minoici con gli occhi fissi e con seni, le figurine femminili dell'Anatolia, non erano esempi concreti, come i frammenti di Saffo, di culture antiche rappresentanti l'affermazione femminile, culture che godettero secoli di pace? E non sono state pure immagini magnetiche di riflessione che hanno catturato il nostro sguardo e lo hanno immobilizzato? L'attività umana non si è fermata a Creta o a Çatal Hüyük. Non possiamo costruire una società libera dall'autorità che ci riporti a qualche tribù o qualche città di tanto tempo fa. Il costante potere spirituale di un'immagine vive nell'in-terazione tra ciò che ci fa ricordare un qualcosa, ciò che ci ritorna in mente e le nostre continue azioni nel presente.

 Quando il labrys diventa lo stemma per il culto delle dee minoiche, quando la vestale del labrys ha cessato di chiedersi che cosa sta facendo su questa terra, là dove il suo amore di donna la coglie, anche il labrys diventa un'astrazione, liberata dal caldo e dalla frizione dell'attività umana. La stella ebraica sul mio collo deve servirmi sia come monito e sia come simbolo per continuare a cambiare il mio senso di responsabilità.

Quando leggo che nel 1913 le marce in massa delle donne in Sudafrica provocarono l'annullamento delle leggi sul permesso di entrata, e che nel 1956, 20.000 donne si riunirono a Pretoria per protestare contro le leggi speciali per le donne, che la resistenza a queste leggi veniva portata avanti nei villaggi di una terra remota e punita con sparatorie, bastonate ed incendi; e che nel 1959, 2.000 donne dimostrarono a Durban contro leggi che prevedevano birrerie per i soli uomini africani criminalizzando le tradizionali distillerie domestiche delle donne; e che nello stesso tempo, le donne africane hanno giocato un ruolo maggiore insieme agli uomini nella resistenza all'Aparthaid, devo chiedere a me stessa perché mi ci è voluto così tanto tempo per imparare questi capitoli della storia delle donne e perché la leadership e le strategie delle donne africane non sono state riconosciute come teoria in atto dal pensiero femminista occidentale bianco.

In un libro di due uomini intitolato South African Politics pubblicato nel 1982, c'è solo una voce sotto il nome "Donne" e nessun altro riferimento alla leadership politica delle donne e alle azioni di massa)12. Quando leggo che le difficoltà maggiori nei conflitti del decennio passato in Libano sono state vissute politicamente da donne di donne attraverso linee di classe, tribali e religiose, da donne che hanno lavorato ed insegnato insieme nei campi dei rifugiati e nelle comunità armate, sforzandosi con la lotta durante la guerra civile e l'invasione israeliana, sono costretta a pensare che Iman Khalife _ la giovane insegnante che cercò di organizzare a Beirut, al confine tra i territori cristiani e musulmani la marcia silenziosa pacifista che fu soppressa a causa della minaccia del massacro dei suoi partecipanti _ e altre donne come lei non sono venute fuori dal nulla. E purtroppo, noi femministe occidentali che viviamo in condizioni diverse da quelle descritte non siamo affatto incoraggiate a conoscere questa storia.

 

In tutto il globo ci sono donne che si alzano prima del sorgere del sole; ci sono donne che si alzano prima degli uomini e dei bambini per pestare il riso, per accendere il fuoco, per preparare la pappa ai bambini, il caffè, per stirare pantaloni, per intrecciare i capelli, per tirar su l'acqua per un giorno intero dal pozzo, per bollire l'acqua per il tè, per fare il bagno ai bambini che vanno a scuola, per raccogliere le verdure e portarle al mercato, per correre a prendere l'autobus per andare a lavoro. Non so quando queste donne dormano. Nelle grandi città, all'alba, ci sono donne che ritornano a casa dopo aver pulito gli uffici tutta la notte, o dopo aver lucidato le sale degli ospedali o dopo aver tenuto compagnia ai vecchi, ai malati ed ai moribondi, spaventati nell'ora della loro morte. In Perù "le donne impiegano delle ore a ripulire i fagioli da piccole pietre, la farina ed il riso; sgranano i piselli, puliscono i pesci e tritano le spezie in piccoli mortai. Comprano ossa o trippa al mercato e cucinano zuppe economiche e nutrienti.

Riparano vestiti fino a che questi non sono totalmente consunti e cercano i grembiuli scolastici più a buon mercato, che possono pagare solo con lunghe rateizzazioni. Vendono vecchie riviste in cambio di bagnarole di plastica e acquistano giocattoli e scarpe di seconda mano. Fanno chilometri per trovare un rocchetto di filo al prezzo più basso possibile". Questa è una tipica giornata di lavoro che non è mai cambiata, il lavoro femminile che serve alla sopravvivenza del povero. Con luce fioca vedo ancora questa donna e così anche la sua sveglia interiore che spinge fuori dal letto le sue membra pesanti e forse anche doloranti. Accettando nel suo corpo l'ultimo freddo spicchio della notte e andando incontro al sole nascente, sento il suo respiro che da vita alla sua stufa, alla sua casa, alla sua famiglia.

Nel mio mondo nord americano, bianco hanno cercato di dirmi che questa donna non pensa, né tantomeno riflette sulla sua vita; che le sue idee non sono idee reali come quelle di Karl Marx o di Simone de Beauvoir e che i suoi calcoli, la sua filosofia spirituale, le sue attitudini per la legge e l'etica, le sue decisioni politiche di emergenza sono solo reazioni istintive o condizionate. Hanno anche cercato di dirmi che solo un certo tipo di persone può fare teoria; che solo la mente bianca colta è capace di formulare qualsiasi cosa; che il femminismo bianco borghese sa per "tutte le donne" e che sia da prendere sul serio solo un pensiero formulato da una mente bianca.

Negli USA, la teoria bianco-centrica non si è impegnata adeguatamente su quei testi che hanno per oltre un decennio espresso la teoria politica del femminismo americano nero, come lo statuto del Collettivo Combahee River, i saggi e i discorsi di Gloria I. Joseph, di Audre Lorde, di Berenice Reagon, di Michele Russel, di Barbara Smith, di June Jordan per nominarne alcune delle più note. Le femministe bianche hanno letto e imparato dalla antologia This Bridge Called My Back: Writings by Radical Women of Color, e spesso si sono limitate a vedere questa antologia come un semplice attacco verso le femministe bianche. In tal modo i sentimenti delle bianche rimangono al centro. Ho quindi bisogno di muovermi fuori dalla base e dal centro dei miei sentimenti rettificando che i miei sentimenti non sono il centro del femminismo.

Se leggiamo Audre Lorde o Gloria Joseph o Barbara Smith, comprendiamo che le radici intellettuali di questa teoria femminista non sono il liberalismo bianco o il femminismo euro-americano, ma l'analisi dell'esperienza afro-americana articolata da Sojourner Truth, da W.E.E. Du Bois, da Ida B. Wells-Barnett, da C.L.R. James, da Malcom X, da Lorraine Hansberry, da Fannie Lou Harmer e da tanti altri ancora? E comprendiamo anche che il femminismo nero non può essere emarginato o visto soltanto come una reazione al razzismo del femminismo bianco, né tantomeno come un contributo ad esso? Riusciremo anche a capire che il femminismo nero si è sviluppato organicamente dai movimenti neri e dalle filosofie del passato, dalla realizzazione pratica di esse e dalle loro opere stampate? (E che va sempre più aumentando il dialogo attivo tra le femministe nere americane e gli altri movimenti di donne di colore all'interno e anche al di là degli USA?)

Evitare questa sfida significa soltanto portare il femminismo bianco lontano dai grandi movimenti per l'auto-determinazione e la giustizia all'interno e contro il quale le donne definiscono se stesse. Ripeto ancora una volta: Chi è questo noi? Siamo giunte alla fine di questi appunti, ma non è realmente una fine.

 

Il testo di questo articolo è tratto dalla raccolta di scritti di Adrienne Rich pubblicati dal 1979-85 da W.W. Norton & Company, New York London.

 

 

1. Adrienne Rich, Of Woman Born: Motherhood as Experience and Institution (New York:W.W. Norton, 1976), p. 286.

2. Karl Marx and Frederick Engels, The german Ideology, ed. C. J. Arthur (New York: International Publishers, 1970) p.42.

3. Barbara Ehrenreich and Deirdre English, Witches, Midwives and Nurses: A History of Women Healers (Old Westbury, n.y.: Feminist Press, 1973).

4. Adrienne Rich, On Lies, Secrets, and Silence, Selected prose 1966-1978 (New York: W.W. Norton 1979) p. 17.

5. Ibid, p.193.

A.R. 1986: For a vigorous indictement of dead-ended Merxism and a call to "revolution in permanence," see Raya Dunayevskaya, Women's Liberation and the Dialectis of Revolution (Atlantic Highlands, N.J.:Humanities Press, 1985).]

6. Barbara Smith, ed. Home Girs: A Black Feminist Anthology (New York: Kitchen Table/Women of Color Press, 1983), pp.272-283. See also Audre Lorde, Sister outsider: Essays and Speeches (Trumansburg, N.Y.: Crossing Press, 1984). See Hilda Bernstein, For Their Triumphs and for Their Tears: Women in Apartheid South Africa (London: International Defence and Aid Fund, 1978), for description of simultaneity of African women's oppression's under apartheid. For a biographical and personal account, see Ellen Kuzwayo, Call Me Woman (San Francisco: Spinsters/Aunt Lute, 1985).

7. Gloria I. Joneph, "The Incompatible Ménage à Trois: Marxism, Feminism and Racism," in Women and Revolution, ed. Lydia Sargent (Boston: South End Press, 1981).

8. See Marilyn Frye, The Politics of Reality (Trumansburg, N.Y.: Crossing Press, 1983), p.171.

9. See Elly Bulkin, "Hard Ground: Jewish Identity, racism, and Anti-Semitism,"in E. Bulkin, M.B.Pratt, and B. Smith, Yours in Struggle: Three feminist Perspectives on Anti-Seminism and Racism (Brooklyn, N.Y.: Long Haul, 1984; distribeted by Firebrand Books, 141 The Commons, Ithaca, NY 14850).

10. Christa Wolf, The Quest for Christa T, trans. Christopher Middleton (New York: Farrar, Stras & Giroux,1970), p.174

11. Cynthia Enloe, Does Khaki Become You? The Militarism of Women's Lives (London: Pluto Press, 1983), ch.8.

12. Women under Apartheid (London International Defence and Aid Fund for Southern Africa in cooperation with the United Nations Centre Against Apartheid, 1981), pp.87-99; Leonard Thompson and Andrew Prior, South African Politics (New Haven, Conn.: Yale University Press, 1982)). An article in Sechaba (published by the African National Congress) refers to "the rich tradition of organization and mobilization by women" in the Black South African struggle ([October 1984]: p. 9).

 

 

 

Links:

 

http://sonia.noblogs.org/?page_id=1437

 

http://w3.uniroma1.it/studieuropei/programmi/programmi2012/studonne_sape.htm

 

http://marginaliavincenzaperilli.blogspot.com/2011/11/femminismo-nero-e-postcoloniale-una.html

 

 

Il femminismo di destra non esiste Beatriz Gimeno
Un articolo che r-imette le cose a posto.Che dovrebbe far riflettere in modo particolare alcuni movimenti di donne in Italia.

La scorsa settimana la femminista e saggista Naomi Wolf ha pubblicato un articolo nel giornale 'Publico' intitolato " Il femminismo reazionario" nel quale sosteneva incredibilmente, che le donne repubblicane, vicine al Tea Party sono femministe e che il femminismo fa male ad ignorarle.

L'articolo era di una povertà concettuale allarmante ancor più che proveniva da un'autora che è una prestigiosa saggista.

Dal momento che la Naomi Wolf è una donna intelligente e finora ancora femminista, può essere che sia diventata essa stessa di destra ed abbia cominciato ad allungare il termine femminismo più in là di dove può allungarsi. Può essere un altro tentativo di appropriarsi di un termine di sinistra socialmente prestigioso da parte della destra. O, forse, nient'altro che una pazzia. Vedremo...

Naturalmente queste politiche repubblicane, reazionarie, - così come le definisce la stessa Wolf - non sono femministe.

Il femminismo non è una condizione naturale delle donne che stanno in politica o sono in possesso di un lavoro.

Il femminismo è una teoria critica, è un movimento sociale e politico, è un'etica, è un paradgma ideologico con minimi normativi fuori dai quali non si può essere femminista. Inutile quindi dire che si può essere uomo e femminista e donna e antifemminista. Altra cosa è che è vero che queste donne reazionarie stanno dove stanno grazie al femminismo, che possono votare grazie al femminismo, che possono lavorare, avere i figli che desiderano, non essere proprietà del marito, guadagnare denaro proprio, avere le loro proprietà, grazie al femminismo.

Ciò significa che alcuni dei principi fondamentali del femminismo sono diventati parte di ciò che sono considerati diritti umani, sociali e politici indispensabili : il femminismo ha ampliato le possibilità vitali, di uguaglianza e felicità per tutti e tutte.

Questo è un successo del femminismo e dimostra che quest'ultimo è una delle rivoluzioni di maggiore successo del XX secolo in quanto è riuscito a conseguire che alcuni dei suoi postulati siano stati considerati patrimonio comune. Ma anche così,questo non fa femminista chiunque li utilizzi , come non è socialista chiunque usi la sanità pubblica

.Perché il femminismo è molto di più di questo

Dichiara Naomi Wolf che la libertà di scelta è la base del femminismo. Non è vero, la falsa libertà di scelta sarà la base del neoliberismo,non del femminismo. La base del femminismo è la uguaglianza tra uomini e donne. Nonostante le perversioni alle quali è esposta la parola "libertà", chiunque che non abbia un'deologia neoliberista sa che la libertà di scelta non esiste senza una precedente uguaglianza che la garantisca. Senza uguaglianza non c'è libertà, se non per pochi, tra i quali raramente sono donne.

Al contrario, è sempre più evidente che essere femminista, cioè puntare sulla parità tra uomini e donne,esige non solo non essere di destra, ma essere anticapitalista.

La verità è che il capitalismo globalizzato e il patriarcato (che è capitalista), due sistemi di oppressione interdipendenti sono alleati; il primo esige manodopera a basso costo, flessibile,impoverita, quasi schiava e il secondo sceglie il sesso di questa manodopera. Il primo esige un tributo in povertà umana, il secondo mette il sesso a questa povertà. La povertà è femminile, la manodopera a basso costo in condizioni di semi-schiavitù è composta da donne; i tagli ai servizi sociali di base sono sostituiti dai lavori gratuiti o sotto-pagati delle donne; la proprietà dei mezzi di produzione, della terra, della ricchezza è degli uomini,coloro che non hanno terra sono le donne, che lavorano gratis sono donne, le precarie, le sotto-pagate sono le donne; coloro che sono rapite e ridotte in schiavitù per essere vendute come schiave sessuali o cameriere domestiche al mondo ricco sono donne; colro che non sono padroni dei loro corpi sono donne; coloro che sono costrette ad abortire o ad essere sterilizzate se vi è sovrapopolazione sono donne, ma coloro che sono obbligate a partorire contro la loro volontà se la popolazione è scarsa sono donne; coloro che sono analfabete perché non hanno soldi per istruirsi sono donne; coloro che rimangono fuori dagli ospedali perché non ci sono soldi per i medici sono donne; coloro che lavorano dall'alba al tramonto sono donne; coloro che emigrano in cerca di un futuro migliore che può trasformarsi in un incubo sono donne; colro che vengono uccise perché chiedono un sindacato in una fabbrica (maquila) sono donne; coloro che non hanno diritti lavorativi sono donne, ecc.

Questo è ciò che il capitalismo richiede alle sue vittime e il patriarcato si incarica che queste vittime siano donne.

Così che essere femminista,lottare per l'uguaglianza, la libertà, le opportunità per le donne richiede un cambiamento delle strutture sociali, culturali, simboliche, ma anche economiche.

Cospedal, Sarah Paulin, Esperanza Aguirre, Margaret Thatcher e tutte queste donne di destra non sono femministe, perché pur essendo donne, le loro politiche peggiorano drammaticamente la condizione della maggior parte delle donne.

Ciò è incompatibile con il femminismo.

Così che non si può essere femminista e di destra.

Così come si può essere donne e reazionarie e di fatto quelle presentate da Naomi Wolf ne sono un esempio: reazionarie si, femministe no.

Beatriz Gimeno, scrittrice ex presidente de la FELGT (Federación Española de Lesbianas, Gays y Transexuales)

http://www.elplural.com/author/beatrizgimeno/

(traduzione di Anita Silviano)

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Che cos'è il genere?  Concetto di genere aclickinthewall.wordpress.com traduzione di Anita Silviano

 

Genere è un concetto che si riferisce alla serie di caratteristiche, ruoli e responsabilità che ogni società e ogni cultura attribuisce agli esseri umani in funzione del loro sesso.

 

Il termine genere fa riferimento alle aspettative culturali per quanto riguarda i ruoli e comportamenti degli uomini e delle donne. Il termine distingue gli aspetti attribuiti a uomini e donne dal punto di vista sociale determinati biologicamente. A differenza del sesso biologico, i ruoli di genere, i comportamenti e le relazioni tra uomini e donne (relazioni di genere) possono cambiare nel tempo,anche se certi aspetti di questi ruoli derivano dalle differenze biologiche tra i sessi.

 

Il genere è un termine collegato all'ideologico e al politico, non alla natura. Ciò significa che i ruoli e gli attributi assegnati all'"uomo" e alla "donna" non sono collegati alla biologia, ma sono culturalmente determinati.

 

Ciascun gruppo umano forma educa e insegna certi modelli ideali intorno alla femminilità e mascolinità. Il sesso è biologico, il genere può modificarsi secondo ciascuna società. Ciò che è donna o ciò che è uomo è ciò che il gruppo si aspetta da esse/essi, prevista dalla struttura sociale e non dalla biologia.

 

Nel caso delle donne ciò è tanto vero quanto il fatto che in tutto il mondo ci sono le donne, ma il loro modo con il quale esse operano nella società è diverso. Il modo di vestire, cioè che è femminile o non lo è differente per ciascuna comunità e per ciascuna epoca. Per esempio, nella Cina antica, i piedi piccoli si consideravano un attributo di femminilità, oggi questo stesso è considerato una violazione dei diritti della donna. Perché? Perché il genere e i concetti ad esso associati si modificano.

 

Il sesso è biologico,non lo scegliamo alla nascita. Il genere può modificarsi in base ad ogni persona, società ed epoca, dato che le culture nelle quali viviamo assegnano funzioni e responsabilità a donne ed uomini. Il genere è pertanto un costrutto socio-storico - culturale, ideologico e politico stabilito attraverso sistemi di interazione sociale e composto da generalizzazioni.

 

Queste generalizzazioni nascono con la necessità di creare modelli di riferimento nel comportamento di uomini e donne. Ovviamente, non descrivono la complessità delle persone. Sono stereotipi, costruzioni simboliche, suscettibili quindi di modificazioni, così come possono essere aggirati e cambiati da altri paradigmi come conseguenza dei cambiamenti sociali o di decisioni personali.

 

 

Uguaglianza ed equità di genere

 

Essere diversi non significa essere diseguali. Per uguaglianza di genere si intende una situazione nella quale uomini e donne hanno le stesse possibilità od opportunità nella vita, di accedere alle risorse e beni preziosi da punto di vista sociale e di gestirli. L'obiettivo è che tanto le donne che gli uomini abbiano le stesse opportunità nella vita. Per raggiungere questo obiettivo, a volte è necessario potenziare le capacità di gruppi che hanno accesso limitato alle risorse o di creare questa capacità.

Per esempio, una delle misure possibili è offrire servizi di assistenza ai bambini in modo che le donne possano partecipare alle riunioni di formazione professionale lavorativa insieme agli uomini.

(...)

 

Per uguaglianza di genere si intende l'equo trattamento di uomini e donne, in base alle rispettive necessità, sia con parità di trattamento o con uno differenziato ma considerato equivalente per quanto riguarda i diritti, i benefici,gli obblighi e le possibilità.

Nell'ambito dello sviluppo, l'obiettivo della parità di genere,richiede spesso l'inserimento di misure specifiche per compensare gli svantaggi storici e sociali che si trascinano le donne.

 

http://aclickinthewall.wordpress.com/2011/08/31/¿que-es-el-genero/

 

 

(traduzione di Anita Silviano)

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"Il femminismo non morde"

Intervista all'antropologa messicana e femminista, Marcela Lagarde.

Con poco più di un secolo di esistenza, il femminismo prosegue in America Latina e nel mondo, ma il suo percorso come movimento di rivendicazione dei diritti delle donne ricrea l'effetto onde increspate con picchi elevati e vertiginose cadute.

" Il femminismo non morde" ha sottolineato Lagarde, docente nell' Universidad Nacional Autónoma de México e una delle promotore della Ley General de Acceso de las Mujeres a una Vida Libre de Violencia, in vigore dal febbraio del 2007 e dell'introduzione del reato di femminicidio nel Codice Penale. Marcela Lagarde presidente della Red de Investigadoras por la Vida y la Libertad de las Mujeres ha rilasciato all'Agenzia IPS un' intervista durante la sua visita a Cuba.


IPS: Quali sono le cause della persistenza dei pregiudizi nei confronti del femminismo, anche tra gli stessi movimenti delle donne o in paesi come Cuba che promuovono politiche a favore delle donne?


Marcela Lagarde: Non c'è stata una continuità nella trasmissione del ruolo del femminismo nella cultura moderna. Sembrano esserci fasi nelle quali se ne perde la memoria storica e poi si torna a recuperarla.

Dato che il femminismo è una critica della società patriarcale è stato percepito come pericoloso da chi non è d'accordo o assume come inevitabile nella società la cultura e il potere patriarcale.

Il femminismo critica il patriarcato come una costruzione meta-politica che attraversa società ed epoche e propone alternative concrete. Il potere patriarcale è un potere monopolizzato dagli uomini. Inoltre ha proposto altri valori e alternative che sono stati sentiti come pericolosi, che mordono, perché indirizzati ad eliminare la dominazione di genere.

Coloro che non sono stati d'accordo hanno fatto ciò che si fa di solito nella lotta politica: disprezzare il nemico, in questo caso, le donne e le femministe .Attribuendo caratteristiche pericolose e molte falsificazioni. Dinnanzi c'è una cultura misogina, sessista, maschilista. A questa misoginia sociale si aggiunge la misoginia politica che è l'antifemminismo.

IPS: Come si definisce l'antifemminismo? Quanto è diffuso?

ML: E' la delegittimazione dell'apporto del femminismo all'umanità.Viene trasmessa ora nelle donne e negli uomini, perché le donne nelle società patriarcali siamo state educate e socializzate per funzionare in maniera patriarcale. Alcune diventiamo femministe,però questo implica una conoscenza differente per criticare la nostra stessa cultura,identità e condizione di genere, che possiede una enorme impronta patriarcale.

Tutta questa diffusa ignoranza contribuisce a creare l'antifemminismo.

Dentro il potere dominante c'è sempre una diffusa ed estesa politica antifemminista.

Ripetiamo pregiudizi che non abbiamo mai confermato, ma sono parte delle nostre ideologie e cultura nelle quali viviamo. L'atteggiamento è carico di misoginia e di misoginia politica, con i confronti permanenti, che la gente ripete ed entrano a far parte della cultura di massa. Non abbiamo la forza culturale per contrastarla ad ogni passo con un discorso proprio.

IPS: Cosa ha significato per le donne contemporanee l'invisibilità del femminismo?

Determinati gruppi di donne sono nati o si sono sviluppati sui progressi compiuti dal femminismo fin dal XVIII secolo... Abbiamo dovuto imparare sul femminismo indagando per conto nostro, per sapere ciò che era successo, perché non lo si insegna nelle scuole né all'Università. Non si trasmette da una generazione all'altra come la scienza ingegneristica o la fisica.

Questo schema molto androcentrico causa un'ignoranza enorme negli uomini e nelle donne sul femminismo ed il suo contributo alla modernità. Adesso stiamo arrivando a integrare questa conoscenza nelle università, ma non ancora nella scuola primaria e secondaria. In molti paesi, non c'è una specializzazione che abbia materiali, seminari, cattedre di genere e femminismo.

IPS: In pratica? Si può parlare del femminismo come cambiamento di vita e alleanza tra donne?


ML: Aiuta a superare la misoginia contro le altre donne e allo stesso tempo favorisce l'approccio e lo scambio di idee sui progressi nella propria vita. Noi femministe abbiamo imparato molto dalle altre donne per il nostro modo di lavorare.

In più, tra docenti abbiamo molte opportunità di incontri personali tra donne,dove impariamo a sostenerci le une con le altre. E ciò ci arricchisce e ci dà una forza interiore e sociale molto importante: una forte affermazione di genere che ti autorizza e ti avvalora come donna in un mondo che ci attacca tutto il tempo.

http://cuadernosfem.blogspot.com/2010/08/el-feminismo-no-muerde-marcela-lagarde.html

(traduzione di Anita Silviano)

 

Donne peruviane sterilizzate forzatamente su richiesta del Fondo Monetario, in cambio di riso

pubblicata da Anita Silviano il giorno domenica 15 maggio 2011 alle ore 20.35
 
Avevo 30 anni quando mi operarono e da allora sono  quasi inutile nei campi - "dice Cléofl  Neira, 50 anni, dalla porta della sua casa di mattoni. In Yanguil, un villaggio di poche centinaia di abitanti nei pressi della città di Huancabamba, nel nord del Perù, più di 15 donne hanno subito la stessa operazione di legatura delle tube. La maggior parte di queste contadine sono rimaste invalide e con dolorosi  problemi di salute. Oggi esigono  giustizia dinnanzi alle autorità e hanno portato il loro caso alla Corte interamericana dei diritti umani. Altre vie giudiziarie si stanno studiando per costringere lo Stato a risarcire le vittime.

"Io – spiega Cléofl, madre di sette bambini avuti prima dell'operazione.- non volevo subire questa operazione, ma non sapevo che non avrei più potuto avere figli né mi informarono.  Loro sono venuti con la promessa di cibo, di medicinali, però non abbiamo visto altro che dolore".

 "Loro" sono gli emissari del Ministero della Salute, del governo di Alberto Fujimori (1990-2000) che furono inviati alle montagne delle Ande, tra il 1995 e il 2000 per eseguire gli ordini delle autorità: ridurre il tasso di natalità in campagna come aveva reclamato l'FMI. La Banca mondiale ha fornito fondi per contribuire all'attuazione del programma di pianificazione familiare che consisteva  nella Contraccezione Chirurgica Volontaria. Inoltre, gli Stati Uniti attraverso la US.Aid, finanziò il progetto Fujimori, il quale era libero di agire, godendo di una comoda rielezione nel 1995.

Di “Volontaria” non aveva nulla. Nella stragrande maggioranza sono state costrette o indotte in cambio di qualche chilo di riso o di zucchero", dichiara Josepa, una militante difensora dei diritti delle donne. In tutto il Perù, si stima che 300.000 donne sono state vittime di sterilizzazione forzata. Tutte erano contadine, indigene,povere e analfabete o con pochissima istruzione.

 "Ogni giorno – continua Cléofl - un’ infermiera veniva a vederci per convincerci ad operarci e ci diceva che non potevamo continuare a partorire come coniglie: era molto offensivo ciò che ci diceva e alla fine fummo  un gruppo di cinque donne, tutto pagato, viaggio e il vitto per Huancabamba.

."Sono andata in ospedale per un mal di schiena e mi hanno sterilizzata", dice Bacilia Herrera.

Oggi, nessuno dei medici o infermieri che ha eseguito le operazioni lavorano nell’ospedale di Huancabamba. "Sono spariti quando abbiamo iniziato ad indagare. Il governo li portò a Lima e alcuni furono destituiti"- segnala  Josefa.

Nel 1996, emersero le prime testimonianze delle donne che furono operate. Organizzazioni come il Comitato per l'America Latina e dei Caraibi per la Difesa dei Diritti della Donna (CLADEM), sotto la responsabilità di Giulia Tamayo, hanno raccolto informazioni e hanno presentato denunce.

Combattere questo crimine.

 "Un giorno -  racconta Josepa - mi recai in ospedale e vidi 20 donne sdraiate sul pavimento in una pozza di sangue, tutte operato di recente. In quel momento cominciò la lotta per fermare questo crimine”.

 Vestita con il tradizionale cappello di paglia, Bacilia Herrera ricorda come se fosse stata ieri la sua operazione. "Sono andata in ospedale perché aveva un dolore alla spalla e improvvisamente mi misero su una barella e mi fecero le iniezioni. Il giorno dopo ero stata operata", spiega Bacilia, madre di cinque figli, un numero basso in montagna, dove le donne arrivano ad avere tra i sette e i dieci figli.

 Con suo padre e suo marito ha cercato di denunciare il caso, ma né il sindaco né i responsabili hanno preso in considerazione la sua testimonianza. "Mi hanno fatto firmare unfoglio, che era l'autorizzazione alla sterilizzazione, ma che non ho potuto leggere. Oggi, mi pento di aver firmato", conclude.

Nel suo dramma, Bacilia ha avuto la fortuna di essere operata da un medico,ora deceduto. Non fu lo stesso per la maggior parte delle donne che passavano per le mani di praticanti,i quali avevano degli obiettivi da conseguire. "Si è scoperto più tardi, interrogando i medici, che erano pagati in percentuale per ogni donna sterilizzata", ha detto Josefa.

 Circa 18 contadine hanno perso la vita in seguito alle operazioni. Molte hanno avuto delle conseguenze permanenti. "L'operazione era molto veloce e il giorno dopo abbiamo ricevuto una minestra e siamo state buttate in strada; molte siamo tornate a lavorare presso l'azienda agricola, come al solito, ma non riuscivamo più a muoverci", spiega Cléofl.  Lei è uno delle più colpite nel villaggio. Sette mesi dopo la sua operazione fu ricoverato d'urgenza in ospedale per forti dolori interni. I medici avevano dimenticato un filo di sei centimetri nel suo ventre.

"Ora ho sempre dolori e non posso trasportare legna da ardere", dice mostrando la cicatrice a sinistra, che assomiglia  ad un altro ombelico. Come la stragrande maggioranza delle donne operate non può avere rapporti sessuali con il marito. "Sono fortunata , mio marito non mi ha rinnegata"- spiega. Molte famiglie sono state distrutte dopo le operazioni, perché i mariti hanno lasciato le loro mogli, giudicate inutili in casa.

Dopo la gestione di varie commissioni dei Diritti Umani nel Congresso, le indagini sulla sterilizzazione forzata al momento all’epoca di Fujimori sono  in mano  della Procura della Nazione, ma si muovono lentamente adducendo  la mancanza di risorse.  La ONG peruviana Manuela Ramos  ha presentato insieme con la CLADEM  il caso dinanzi alla Corte Interamericana. Le vittime sono ancora in attesa di un risarcimento, ma il loro destino dipende  ora da chi vincerà il ballottaggio per le elezioni presidenziali del 5 giugno.

“ Se vincerà Keiko ( la figlia di Fujimori) contro Ollanta Humala, non potremo avere giustizia. Cadremo nel dimenticatoio per sempre. Dichiara con tristezza Cléofl Neira.

http://www.kaosenlared.net/noticia/mujeres-peruanos-esterilizadas-forzosamente-cambio-arroz

(traduzione di Anita Silviano)

 

 Un anno di impunità negli omicidi degli attivisti Bety Cariño e di Jaakkola i Patricia Briseño, correspondente Cimac
pubblicata su facebook da Anita Silviano il giorno giovedì 28 aprile 2011 alle ore 20.35.d

 

 

Oaxaca - Ad un anno dall' attacco armato contro un convoglio umanitario diretto a Juan Copala Juxtlahuacal città di San Santiago, Oaxaca, dove sono stati u uccisi i difensori dei diritti umani, Alberta Cariño Trujillo e l'attivista finlandese Antero Jyri Jaakkola,non c'è un solo arrestato per l'aggressione.

 

Nel denunciare questo , il leader del Movimento Agrario Indigena Zapatista (CORN), Omar Esparza Zárate, marito di Cariño Trujillo, ha qualificato come incapace il governo federale nella conduzione delle indagini.

 

"L'omicidio dell' attivista Beatriz Alberta Cariño Trujillo, - ha dichiarato - avvenuto il 27 aprile dello scorso anno, ha lasciato una traccia profonda nella triste storia di Oaxaca,sui loro governanti e politici, perché sono responsabili delle violenze commesse contro il popolo di Oaxaca e dei popoli indigeni".

 

Comunità come San Juan Copala , Santo Domingo Ixcatlán, Yosotato San Pedro, San Juan e Mixtepec Zimatlán di Lazaro Cardenas, "sanguinano a causa delle ambizioni di potere e il controllo delle risorse pubbliche, ricchezze e risorse naturali", ha dichiarato l'attivista.

 

Intervistato telefonicamente da Cimacnotices, Esparza Zarate ha detto che in questi atti di aggressione sistematica, le strategie governative contro i difensori dei diritti umani, organizzazioni sociali, popoli indigeni impegnati nella difesa della vita, della giustizia e la dignità sono quotidiane perché le istituzioni locali, statali e federali, hanno fatto diventare la violenza una pratica istituzionalizzata.

 

Ha spiegato che il gruppo paramilitare dell'Unión de Bienestar Social de la Región Triqui (Ubisort), autore dell'uccisione della moglie e dell'attivista finlandese Jyri Jaakkola, è stato sostituito in seguito dal governatore Ulises Ruiz Ortiz e dai politici locali Carlos Martínez e José Mejía .

 

"Anche se in quest'ultimo anno centinaia di organizzazioni e migliaia di persone di oltre 20 paesi hanno reclamatoal governo di Felipe Calderón, che vengano puniti gli assassini, finora questo crimine rimane impunito, e che l'inchiesta integrata dallla Procura generale ha mostrato gravi lacune, essendo evidente che il governo federale non ha alcun reale interesse a chiarire questi atti di violenza e meno che mai a fare giustizia " ha aggiunto.

 

 

http://www.cimacnoticias.com/site/11042605-Un-ano-de-impunidad.46883.0.html

 

 

 

(traduzione di Anita Silviano)

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  Morire di rogo di Ana Lia Glas  

In questa ultima settimana nuovamente due donne sono morte sul rogo, vittime del femminicidio. L'Inquisizione è tornata nel XXI secolo nella forma di mariti,ex mariti,amanti per punire le streghe.

 Nell'ultimo anno abbiamo assistito alla nascita di una nuova forma di femminicidio: bruciare le donne, ucciderle con i falò.

Si registra un aumento dei casi di violenza contro le donne " di 260 donne e ragazze che sono state assassinate nel 2010, undici  di esse sono state incenerite , con un aumento  (di questi casi) del 10% rispetto all'anno precedente" secondo i dati forniti dalla Ong, "la Casa del Encuentro" specializzata in violenza di genere.

 Sembrerebbe che con l'avanzare delle donne nel mondo del lavoro, politica, cultura, scienza, nell'accesso ai nuovi diritti. con le legislazioni che prevengono e puniscono la violenza contro le donne, il patriarcato si senta minacciato,si ribelli, ricorra ad antiche figure, le streghe  e i vecchi sistemi punitivi: l'Inquisizione e il rogo.

NEL 1484 papa Innocenzo VIII condannò la stregoneria come una cospirazione del diavolo: partiva da qui la guerra nei confronti delle donne. Furono milioni le vittime.

Norma Blazquez,filosofa dell'UNAM ( Universidad Nacional de Misiones. Argentina), riferisce che "in realtà le "streghe"erano levatrici,alchimiste, profumiere,infermiere e cuoche che avevano conoscenza in materie come l'anatomia,la botanica,la sessualità, l'amore o la riproduzione e che fornivano un importante servizio alla collettività. Conoscevano molte piante, animali e minerali e creavano  ricette per curare,ma che vennero viste  nel Medioevo dai gruppi dominanti come poteri del diavolo".

Erano guaritrici con avanzate conoscenze mediche, quando l'università fu proibita alle donne. Le streghe furono perseguitate perché conoscevano ed insegnavano ad altre donne come controllare il loro destino e la loro sessualità. Possedevano la conoscenza della riproduzione, dei metodi abortivi e questo rappresentava una minaccia per la Chiesa e per gli uomini in generale.

Questi saperi comportavano la possibilità di esercitare una sessualità più libera, la quale minacciava l'egemonia maschile e, di conseguenza, gli uomini espropriarono le loro conoscenza, annientandole sul rogo. Inoltre, la maggior parte di queste donne vivevano da sole, in case nel bosco,indipendenti, capaci di generare da sé il proprio reddito, causando perciò molta diffidenza.

Qualsiasi donna che non accettava la morale cristiana, che sceglieva di non sposarsi, di vivere da sola, poteva essere accusata di stregoneria, torturata e giustiziata.Oggi, molti uomini non tollerano l'autonomia delle donne, i loro nuovi ruoli, la diversità con le quali si manifestano, le loro rivendicazioni, il loro accesso ai luoghi di potere,la loro ribellione (perché no). Si sentono minacciati come secoli fa.

Il patriarcato, il dominio degli uomini sulle donne viene messo in dubbio, sotto scacco. Abbiamo donne presidenti, ministri, giudici della Corte Suprema di Giustizia.

Le donne si riuniscono ogni anno (in Argentina)  nell'Incontro Nazionale delle Donne, che ogni  volta aumentano  sempre di più,hanno organizzato la Campagna per il diritto all'aborto legale, sicuro  e gratuito in numerose associazioni che lottano per i loro diritti.

Lo Stato le ha riconosciute come soggetti di diritti attraverso la promozione di politiche pubbliche, alcune efficaci, altre meno, ma che significano un  progresso.

Queste nuove modalità nelle relazioni di potere non resistono al modello di donna come oggetto,proprietà degli uomini, quest'ultimi  sentono che non possono controllare i loro corpi e decidono di assassinarle utilizzando una metodologia atavica: il rogo.

http://www.artemisanoticias.com.ar/site/notas.asp?id=51&idnota=7339

(Traduzione di Anita Silviano)

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Patriarcato e fondamentalismo, due facce della stessa medaglia

di Cléo Fatoorehchi

Anche se in Occidente si tende a identificare il fondamentalismo con l'integralismo islamico, il fenomeno è in realtà presente in tutte le regioni e in tutte le religioni, con caratteristiche comuni.

Per richiamare l'attenzione sul problema e di come questo abbia influenza in particolare sulle donne di tutto il pianeta, l'Associazione per i Diritti delle Donne e lo Sviluppo ( AWID) ha lanciato una nuova relazione questa settimana in occasione della riunione annuale sulla Condizione delle Donne, svoltasi a  New York.

Il rapporto si intitola " Verso un futuro senza fondamentalismi".

Sulla traccia di una precedente inchiesta l'AWID,la relazione rileva che i movimenti fondamentalisti tendono ad essere intolleranti e patriarcali contrari agli interessi delle donne e con discorsi fondati su valori assolutistici.Saira Zuberi,coordinatora dell'iniziativa Resistiendo y Desafiando ai Fondamentalismi Religiosi, creata nel 2007, ha rilevato che il fenomeno si sviluppa in " movimenti molto complessi e sofisticati". Sebbene possano enfatizzare temi differenti entrambi sono diretti al controllo sociale.Ad esempio, per quanto riguarda le donne,mentre i fondamentalisti cristiani si concentrano sui diritti riproduttivi, gli islamici prestano più attenzione alla promozione di un abbigliamento  "modesto".E per raggiungere i loro obiettivi i fondamentalisti sono opportunisti, cercando alleanze dove posssono trovarle indipendentemente dall'accordo ideologico.

Secondo María Consuelo Mejía direttora dell'ONG cattolica " Católicas por el Derecho a Decidir (CDD), il Messico ha uno scenario di questo tipo. " In Messico oggi - ha dichiarato al quotidiano IPS - tutto è pragmatismo politico. Non c'è ideologia, non ci sono principi... perché siamo di fronte ad un processo pre-elettorale. L'opposizione del partito Rivoluzionareio istituzionale si allea con la Chiesa cattolica, mentre il PAN ( il governativo Partido de Acción Nacional) fa alleanze con il Partito della Rivoluzione democratica ( PRD). E questro - ha aggiunto - è molto dannoso per noi".

Fondata nel 1994, questa Ong difende il diritto delle donne di decidere della loro sessualità e riproduzione e promuove la separazione tra chiesa e stato.

L'organizzazione ha realizzato un'indagine tra il 2003 e il 2005 in quattro paesi latino americani (Bolivia, Brasile, Colombia e Messico) concludendo che circa il 60% della popolazione cattolica ha accettato il diritto delle donne ad abortire in particolari circostanze. La Ong ha anche indicato che " almeno il 70% della popolazione cattolica in Messico non segue gli insegnamenti della Chiesa" ed usa i preservativi, pratica l'aborto e vuole l'educazione sessuale nelle scuole. " Il 90% non vuole che la Chiesa cattolica influenzi la politica".

Una  similare organizzazione  è "Catholics for a Free Choice" nata negli Stati Uniti nel 1973 in base al principio che le convinzioni religiose non dovrebbero limitare il diritto delle persone a prendere libere decisioni sulla salute riproduttiva.  La settimana scorsa, i legislatori conservatori dell'opposizione  del Partito Repubblicano hanno  promosso alla Camera dei Rappresentanti una riduzione dei fondi per il gruppo di Planned Parenthood (Planned Parenthood), uno dei maggiori fornitori di salute riproduttiva per le donne povere in quel paese. L'argomento era che si effettuavano gli aborti.

Mejia ha dichiarato  che molti di questi  repubblicani anti-abortisti sono cristiani fondamentalisti e ha rilevato una contraddizione apparente fra i risultati delle inchieste e l'influenza politica di questi movimenti "pro-vita".

Di solito accade che "le donne che hanno abortito  non sono disposte a sostenere un governo a favore dei diritti delle donne", ha detto all'IPS. Questo succede perché  abortire per esse ha a che fare con "risolvere i propri problemi, e credono davvero che ciò che stanno facendo è sbagliato". "D'altra parte, il cosiddetto movimento" pro-life 'ha molte forme e molte altre ragioni per unificarsi, "ha detto. "Possiedono  molto denaro e persone in posizioni chiave".

Mejia ha anche osservato che la maggior parte della popolazione messicana ha paura, e per questo  non esprimono apertamente il loro parere. Città del Messico è l'unico luogo nel paese in cui le donne possono abortire con più di 12 settimane di gestazione. "Il patriarcato è in realtà un fattore, una delle principali ragioni che sta  dietro il fondamentalismo", ha detto. "Rompere il patriarcato è un problema, perché significa rompere l'intero sistema di funzionamento della nostra società". Pertanto, "l'autonomia  delle donne è violazione di una regola di dominio  e del modus operandi di un'intera società".

Lydia Alpizar, direttora esecutiva dell'AWID, ha riferito che " anche le donne possono essere fondamentaliste e vi sono molte donne  integraliste che  sono contro l'emancipazione delle donne, contro i diritti riproduttivi e di educazione sessuale".

La relazione AWID dedica la sua ultima e più importante parte finale alle strategie di resistenza femminista, sottolineando l'importanza di "rivendicare una visione femminista della religione e della famiglia". "Per troppo tempo, quelli come noi che lavorano per i diritti umani delle donne non hanno realmente lavorato sui temi religiosi , e ho il sospetto che questo ha a che fare con la nostra volontà di presentarci come laiche", ha dichiarato - l'attivista femminista india Pramada Menon  citata nel rapporto.

Le attiviste riconoscono adesso l'importanza del dialogo e del dibattito con i fondamentalisti religiosi.

Fonte: http://www.ipsnoticias.net/nota.asp?idnews=97627

 (Traduzione di Anita Silviano)

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Il diritto di essere donna e mussulmana. Il femminismo islamico di Alba Garcia Onrubia*

  L'immagine della donna araba risponde a due costrutti strutturali che  la racchiudono in una serie di stereotipi occidentali da un lato e all'interno degli Stati islamici dall'altro.

Lo stereotipo della donna sottomessa, vincolata alla religione e a costumi che la opprimono, è la visione più generalizzata vigente in Occidente. Questo stereotipo è rafforzato dalla strumentalizzazione delle identità culturali che si fissano all'interno dei progetti politici degli Stati arabo-mussulmani,costruendo all'interno del patriarcato una "cultura" dell'essere donna. Questa commistione tra la donna e l'idea di strutture culturali ancora in vigore la pongono nel tempo come tutrice del mantenimento dello status quo, malamente denominata identità culturale.

Ma dov'è la voce delle donne arabe in questo discorso? Quanta verità e quanto di mito mantiene la lamina del "culturalmente stabilito?"

Questa costruzione crea concetti generali che soprattutto all'esterno, rendono invisibile  la voce delle protagoniste, le loro storie, le donne mussulmane.

Come ha dichiarato Fawzia Kamel, capire la situazione delle donne arabe richiede uno studio e una rivalutazione costante dei termini cultura, politica, economia, ideologia, così come del colonialismo e dell'idea dello Stato-Nazione, in particolare se vogliamo parlare dei movimenti femmisti arabi. Questi hanno due caratteristiche comuni: la transnazionalità e il carattere politico che pone in rilievo la diversità secondo la situazione socio-politica che li attraversa. Le donne hanno svolto un ruolo fondamentale nella storia [1] delle nazioni anche se è stata subordinata alla voce narrante degli uomini, che hanno reso invisibile la loro  azioni, trasformandole in oggetti passivi con identità simbolica, portatrici di cultura. Le donne mussulmane sono un chiaro esempio di questa trasformazione a riproduttrice della società e portatrice di identità nazionale.

 Un'identità nazionale costruita sempre dentro l'ordine patriarcale che ha manipolato a suo piacimento le strutture che permettono il mantenimento dei privilegi del dominio. I modelli sono stati cambiati in funzione degli interessi dei differenti regimi e in questo processo,la donna ha dovuto annullarsi e ripetere l'identità che le era stata concessa dall'altro. E' in questo contesto che si sono articolati i movimenti femministi di "un'altra politica " del femminismo post- coloniale, finora silente,avviando il dibattito su nuove forme di riflessione dei paesi del Sud. Contesto del multiculturalismo, nel quale le donne delle società periferiche levarono le loro voci per reclamare un movimento femminista  più inclusivo che fino ad allora, la egemonia politica delle femministe occidentali aveva mortificato.

Queste avevano segnato non solo l'agenda politica delle rivendicazioni fino al tacitamento delle voci dissidenti in un esercizio di dominazione e sentimento di superiorità etnocentrica, ma avevano segnato  ciò che si doveva intendere per "donna ideale" senza tener conto del dibattito, del modo e articolazione femminista delle donne del Sud, per le quali la dimensione  di donna non era l'unica maniera di vivere l'oppressione del patriarcato, permeata dal razzismo, dal colonialismo, dall'islamofobia, la schiavitù, la classe sociale.. e altre forme di dominazione date dall'alto. Così per queste donne l'oppressione del patriarcato è stata  una lotta in più delle altre battaglie che devono combattere su più fronti. Ignorare questa realtà è strappare il ricordo e l'esperienza storica come singole e come collettivo. E' quello che è  successo  con il discorso elaborato  consciamente o incosciamente dal primo femminismo borghese estraneo ed escludente, incapace di ascoltare al di là dei pregiudizi e delle imposizioni.[3]

Prima di questa "nuova politica del femminismo" gli studi del XX secolo sulle società mussulmane erano stati  segnati profondamente da un'immagine delle donne praticamente inesistente come soggetto di movimento, relegata all'analisi della tradizione come sinonimo della sua forma esistenziale. La donna è studiata più come parte integrante della cultura, che come soggetto stesso di mobilità, trasformazione e storia  stessa.

Organizzazione del movimento femminista arabo

Il movimento delle femmiste arabe inizia ad organizzarsi ed a levare la sua voce nello stesso tempo in cui si crea il movimento di riforma e modernizzazione del "mondo arabo", nel quale le donne svolgono un ruolo importante come soggetti attivi. Il miglioramento della situazione di oppressione della donna fu rivendicato non solo dalle stesse  donne ma si unirono alla causa alcuni intellettuali (uomini) che guidavano il movimento di riforma. La donna diviene così soggetto prioritario di un  dibattito, del quale  è parte, attraverso i differenti media, riviste e giornali che riflettono le diversi correnti di pensiero.[4]

All'interno del movimento femminista arabo che si pianifica a partire dagli anni '90, si incontra una linea divisoria tra le femministe laiche (per lo più dalla diaspora mussulmana in occidente) e le altre femministe islamiche. Il punto chiave di riferimento di entrambi sarà quindi,la questione religiosa, in un dibattito tra Stato laico e Stato religioso. Sebbene entrambi si basino sulla lotta alla diseguaglianza delle donne arabe, la differenza consiste nell'accezione del termine "uguaglianza". [5]

Il movimento femminista arabo denominato "femminismo arabo o mussulmano", è stato costantemente criticato sia dalla letteratura  del femminismo ortodosso (dove si comprende il femminismo laico arabo) sia dal settore più conservatore dell'Islam. Per le femministe occidentali, la forma con la quale le mussulmane articolano le loro rivendicazioni, trasformano o adeguano la loro religiosità è totalmente opposta alla liberazione della donna, mentre per i mussulmani del potere il cambiamento e la presa di coscienza delle donne nelle loro società viene presentato come un affronto ad Allah, dentro quello che possiamo definire come l'attecchimento a uno dei privilegi sostenuto dal dominio. I n mezzo a questo gioco la donna mussulmana è infantilizzata e mercificata come parte di una idea stereotipata di donna sottomessa e obbediente la quale riconduce e guida per il sentiero della verità (tanto per gli uni come per gli altri).Tuttavia, le strategie e la consapevolezza di queste donne per il progresso e l'integrazione sono state in grado di essere  gestite dentro un modello di protesta contro le forme tradizionali di oppressione, senza rinunciare alla sua identità culturale o tornare al modello egemonico occidentale. Il femminismo è  il riconoscimento dei valori spirituali dai quali avviare i movimenti di liberazione, in una dinamica tutta interna. [6]

Per queste donne, l'Islam non è la fonte dell'oppressione femminile ma è stata per secoli, l'interpretazione egemonica degli uomini di potere, sostenuta per interessi politici ed economici, che ha creato un sistema di mantenimento dello status quo, di privilegi da oppressori, trasformando il messaggio religioso in diseguaglianza e perdita dei diritti individuali e collettivi degli uomini, ma soprattutto delle donne nelle loro società. [7]

 Dopo la morte di Maometto, diversi studi dei testi sacri parlano di una distorsione nella storia dell'Islam, prendendo una direzione molto diversa da quella originaria destinata ad attuarsi. Si è prospettata così una visione interessata  a beneficio dei successivi califfi. Tutte le interpretazioni che sono state fatte dei testi dell'Islam, sono il frutto del pregiudizio patriarcale, anche se l'oggetto-soggetto da trattare era il comportamento delle donne. Così le donne mussulmane iniziano la loro lotta femminista tentando di spezzare la dinamica sessista e reinterpretare i testi dell'Islam con uno sguardo che guarda al Corano come "'fonte di cambiamento nelle relazioni di genere e diritti delle donne musulmane ". [8]

Questa consapevolezza è intimamente legata alla rivendicazione dei loro diritti che inizia come rivendicazione dell'accesso all'istruzione, come mezzo per essere libere.

(...)Gli stereotipi sulla condizione delle donne nell'Islam, come si può notare, sono soprattutto il prodotto dell'immagine creata dall'esterno. E' necessario però osservare il modello che è venuto fuori da fallito tentativo (con la morte di Maometto) di riforma in alcune parti del mondo dove si professa questa religione.

Le pratiche sviluppate in nome dell'Islam (e dico "in nome dell'Islam" e non "seguendo l'Islam") rispondono in molti casi, ad un'immagine profonda di discriminazione e violazione dei diritti umani e della dignità delle donne mussulmane. Matrimoni forzati, mutilazioni dei genitali femminili, uso del burqa,ostacoli alla partecipazione politica; così come la discriminazione dello stato giuridico delle donne, la destinano in molti casi, all'isolamento e analfabetismo. Tuttavia, come sottolineato da Asma Lamrabet [11], questi atti sono il prodotto nei secoli della interpretazione sessista e letture decontestualizzate del Corano, che non è uno strumento di oppressione sino a quando, come s'è visto, si è preteso di insediarlo come un elemento di differenziazione e apertura al sistema pre-islamico.  [12]

(...) Tuttavia l'immagine creata dall'Occidente del "mondo arabo" associata al terrorismo indiscriminato, priva di qualsiasi analisi di fondo e promotrice della paura xenofoba verso il mondo arabo-mussulmano (come se si trattasse di un unico soggetto denominato "male assoluto") è  supportata dall'icona morale della donna -oggetto- che solo mediante la nostra "libertà neo-liberale" sarà in grado di togliere le catene che la limitano. Ché solamente  salendo sul carro dell'Occidente libaratore, questo Superman dei diritti umani, sarà in grado di capire la libertà  e che prevede però, l'essere intrappolata  nella moda dell'immagine perfetta.

Solo così, eliminando il soggetto attivo della donna mussulmana che lotta per i suoi diritti, dal suo modo di intendere il mondo, possiamo legittimare azioni belliche come quelle in Irak o le leggi discriminatorie nelle nostre scuole, contro l'uso dello hijab, senza però mai chiederci se quelle stesse donne che vogliamo liberate, abbiano una loro voce.

 * Onrubia Alba Garcia è una giornalista e collaboratrice di Pace con Dignità e la rivista Pueblos. Nel 2010 ha completato un Master in Relazioni Internazionali e Studi africani (UAM).

[1] Useremo "Storie" invece della storia come idea  della  visione multipla che articola il mondo storico, dove diverse opinioni, interpretazioni e punti di vista degli eventi costituiscono una realtà dal mio punto di vista insondabile  nel campo di studio. L'obiettivo è di eliminare l'idea di una storia unica, come etnocentrica e patriarcale interpretazione egemonica studiata nelle scuole occidentali.

[2] KAMEL, Fawzia (2003): Il   femminismo occidentale  e la donna araba.Dell'orientalismo tradizionale relativismo culturale, II Congresso Internazionale "Uomini e culture del bacino del Mediterraneo. World egizia", 16-18 dicembre 2003.

[3] Jabardo Velasco, Mercedes (2008): From The Black Feminism, Uma genere Mirada e l'immigrazione. In Suarez, Y., Martin, E., Hernández, A. (Coords.) femminismi in antropologia: nuove proposte critiche. XI Congresso di Antropologia (n. 6). Donostia / San Sebastián.

[4] Esteban Salguero, Laura (2002): nuova prospettiva sulla modernità araba: il dibattito  femminile. Meah, arabo-Islam sezione 51, 287-303.

[5] Moghadam, Valentino M. (2006): L'Illuminismo e le aspettative del femminismo islamico. Convegno "Primo Congresso internazionale sul femminismo islamico". www.feminismoislamico.org

[6] Moghadam, Valentino M. (2006), Asma (2007b): La problematica delle donne musulmane nel dialogo delle  culture.

[7] Mernissi, Fatima: l'autonomia del femminismo arabo.[8] Marcos, Sylvia (2002): Letture  alternative del Corano: Verso una ermeneutica femminista dell'Islam, in 'Islam e la Jihad Nuovo, Academic Journal per lo Studio della Religione, volume IV, pubblicazioni per lo Studio Scientifico della Religione, Messico 2002 - p.53.

[9] sottosezioni all'interno del Corano che si occupano specificamente della questione delle donne in una prospettiva di parità con gli uomini.

[10] SCHENEROCK, Angelica (2004) oltre i veli ed i capelli: La rielaborazione etnica e di sofferenza generale musulmano in Chamula San Cristobal de las Casas. Preliminare. Studi Sociali e Umanistiche 2004, Vol. 2. Disponibile online: http://redalyc.uaemex.mx/src/inicio/ArtPdfRed.jsp?iCve=74511794007

[11] femminista islamica difensore della libertà nell'uso del hijab.

[12] Lamrabet, Asma (2007): i problemi delle donne musulmane nel dialogo delle culture. Convegno: Scuola di Architettura presso l'Università di Palma de Gran Canarias.

 Fonte: http://www.revistapueblos.org/spip.php?article2001

 

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v https://www.facebook.com/#!/note.php?note_id=10150161823078400 

 

Islamofobia: "La donna è trasformata in capro espiatorio sulla quale esercitare pressioni"

I paesi europei hanno bisogno di regolamentare il niqab e il burqa ?

Ndeye Andújar:  No. Per vari motivi: perché sono estremamente rari i casi e perché è controproducente. E’'ovvio che  si sta costruendo e confezionando una visione negativa dell'Islam, quando in realtà il niqab e il burka non hanno nulla a che fare con la religione. Sono abiti tradizionali dell'Arabia e Afghanistan, anteriori all' Islam. Penso che le misure coercitive dovrebbero essere sempre evitate e,in ogni caso, dovrebbero essere prese solo quando altre misure risultino inefficaci. La Francia è un paese ultralegalista, tutto deve passare per la legge e si dimentica che il più delle volte l'insegnamento è più efficace delle sanzioni pecuniarie o dei processi.

Laure Rodriguez: l'Europa non è uno spazio omogeneo, la realtà di ciascun paese e la forma della regolamentazione delle varie pratiche devono rispondere a ogni specifico contesto.

Che la Francia adotti determinate misure non significa che esse siano applicabili al nostro( od a qualunque) contesto. La Francia è un paese costituito su una repubblica, uno Stato laico e una politica che tende all'assimilazione. La Spagna è un paese con la presenza di una monarchia, il cui governo si dichiara laico e le cui politiche vanno verso il multiculturalismo. Sinceramente non capisco il motivo del dibattito e la necessità di regolamentare una pratica che non ci tocca.

Pensate che siamo di fronte ad un reale dibattito o è una questione puramente elettorale?

NA: Siamo di fronte ad un clima di asfissiante islamofobia. Vi è anche una crisi dei diversi modelli sociali europei che richiedono l'assimilazione (anche se eufemisticamente si parla di integrazione) che hanno dato priorità alle politiche di sicurezza i cui effetti negativi stiamo vivendo adesso.

Tra un anno in Francia si terranno le elezioni presidenziali .Il Fronte Nazionale sta guadagnando punti e l'Ump (il partito di governo) cerca di recuperare gli elettori persi adottando misure molto popolari in questa materia. Sta avvenendo un trasferimento pericoloso dei discorsi del FN e l'UMP.

LR: nel contesto spagnolo, qual è il vero scopo della  regolamentazione? La liberazione delle donne?  I motivi di sicurezza "Un altro modo di censurare l'Islam nello spazio europeo? Personalmente credo ad un uso elettorale della paura e del rigetto che provocano le differenti pratiche dei musulmani. Alcune Giunte comunali adottano misure "preventive", anche quando  non ci sono donne che indossano quegli elementi il che può essere interpretato come un chiaro segno di islamofobia.

Come influisce sulle donne mussulmane questo divieto?

NA: In una maniera molto negativa perché, anche se la stragrande maggioranza delle donne mussulmane europee non portano né il burqa né il niqab, e sanno che nessuno può imporre alcun abbigliamento, sta avvenendo un amalgama nei media, tra i politici e alcuni intellettuali nell'equiparare questi abiti con l'hijab e, per estensione, con l'Islam. Funziona come una sineddoche.

Questa volta  le donne mussulmane vengono stigmatizzate con qualcosa con il quale neanche si identificano. Il rischio che corriamo è che si produca un effetto a specchio, cioè che le comunità mussulmane finiscano per integrare il discorso della maggior parte della società e pensino che giacché si sta coartando la loro libertà religiosa, allora devono difendere quei vestiti. Le posizioni si polarizzano e il cerchio si chiude..

LR: Si presume che l'obiettivo sia  quello di liberare le donne perché le si crede costrette a subire una situazione di violenza di genere. Il divieto è totalmente illogico in questo concetto perché punisce la vittima, piuttosto che liberarla da questa responsabilità. Qualcosa di così assurdo come dire che si dovrebbe punire le donne maltrattate contro l'aggressione dai loro partner. Quante volte una donna che si trova in una situazione di violenza è consapevole di questo fatto? Penso che questo porti ad un effetto totalmente opposto. I nostri corpi tornano a diventare barriere di contenimento e questa è un'altra forma in più di violenza di genere.

Coloro che difendono il provvedimento, lo giustificano con il fatto che il burqa e niqab limitano la libertà delle donne, giacché sono i loro mariti che le costringono ad usarlo. E 'una buona lettura?

NA: Io non conosco nessuna donna che indossa il niqab e il burqa. Caso mai bisognerà chiederlo ad esse

 Ho visto alcuni documentari, uno francese e uno olandese erano ragazze molto giovani che non erano ancora sposate. Non so se sia il profilo maggioritario perché non sono molti gli studi per confrontare i dati.

LR: In Spagna sono solo una trentina le donne che usano il niqab o il burqa a fronte dei 600.000 musulmani. Il burka direttamente non esiste nel nostro spazio.

Ciò di cui bisogna avere consapevolezza è che né il niqab né il burqa risponde alla rivelazione coranica. In Europa, questi indumenti rispondono ad un discorso politicizzato di un determinato gruppo settario che cerca di difendere la teoria della domesticità della donna (relegata nello spazio domestico). Fa parte degli assunti ideologici che seguono coloro che sono caduti vittima di questi gruppi (di minoranza).

Pensi che la regolamentazione dell'uso del burqa o niqab favorisca la libertà delle donne 

NA : la regolamentazione dell’uso del niqab favorirebbe la libertà delle donne se fossero tutte sottomesse, tutte  sequestrate, non avessero un proprio giudizio, se a tutte fosse imposta una punizione per essere donna. E 'chiaro che proiettiamo i nostri pregiudizi e immagini fabbricate dai media come una verità inconfutabile su queste donne. Vediamo l’iraniana lapidata o l’afgana vittima dei talebani! E' lapalissiano che si gioca con il subconscio delle masse per giustificare guerre e trasferire questi problemi in Europa. Implicitamente è un modo per dire alla gente che l'Islam è una cosa da barbari e quindi non ha posto nella civile Europa. Per sfuggire alla concezione essenzialista occorre fare studi in materia,dare la parola alle protagoniste e vedere la diversità di risposte e di esperienze. Le fondazioni Open Society ha appena pubblicato un rapporto nel quale si trovano intervistate 32 donne che indossano il niqab, in Francia . La maggior parte sono donne nate in Francia compresa un quarto delle convertite e quasi la metà ha deciso di indossarlo a causa delle polemiche sorte intorno alla questione nel 2009! E 'un dato su cui riflettere.

 LR:  Io penso che circoscrivere la nostra esistenza al solo modo di vestire sia mercificare i nostri corpi, è una delle forme più violente di trattare un essere umano.

Insisto nella necessità di combattere tutte le forme di violenza contro le donne, promuovendo le misure necessarie per criminalizzare gli atti di coloro che favoriscono ogni genere di apologia del terrorismo di genere e non punire o perseguire le donne che sono vittime di una pandemia globale che implica la violenza contro le donne 

 Al contrario, il burqa o il niqab sono un simbolo della repressione contro le donne?

NA : non credo che siano un simbolo di qualcosa. Si tratta di un pezzo di tessuto che rende difficile la comunicazione con altre persone, è una barriera visiva e una risposta postmoderna alla questione della identità e relazioni sociali. Forse le donne che lo portano si sentono a loro agio o, forse, è una sorta di reclusione mobile volontaria , simile a quello che sentono le suore di clausura, ma in questo caso la clausura è visibile e, quindi, scioccante.

Ovviamente per quelle donne che sono costrette a portarlo deve essere un’esperienza traumatica, violenta, come qualsiasi imposizione (come lo è anche lo svelamento contro la loro volontà).

LR: Penso che abbiamo bisogno di andare oltre il mero abbigliamento e vedere che tipo di discorsi ideologici si nascondano dietro . Che cosa si promuove? Come si stabiliscono i rapporti tra i sessi? Quali sono le risposte alla "modernità" (intendendo con modernità quello che si considera come interferenza occidentale)?

La donna è stata trasformata nel capro espiatorio sulla quale esercitare pressioni, marginandola e rendendola  incapace di sviluppare la piena indipendenza, perché è confinata nel limitato spazio domestico. Si profila una mistica della femminilità deforme e mutilatrice in risposta a queste idee di "liberazione occidentale" che chiedono  occupazione delle donne nello spazio pubblico. E qui che assume importanza questo tipo di abito, perché, nel caso estremo di dover prendere contatto con il mondo esterno sarà sotto forma di indumento che frena le relazioni sociali e l'accesso al mercato del lavoro: in definitiva un ostacolo all’ esercizio politico del diritto di cittadinanza.

Ndeye Andujar è una professora .

Laura Rodriguez è la presidente dell'Unione Donne Mussulmane in Spagna

http://www.webislam.com/?idt=19221

(traduzione di Anita Silviano)

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 Le donne mussulmane femministe esigono la parità di genere nel contesto dell'Islam
 

Traduzione di Anita Silviano

Alla ricerca delle motivazioni religiose per la sua tesi ""L'oppressione della donna nell'Islam", Marie Laure Rodríguez non ha però trovato nel Corano nessun passaggio discriminatorio. In più, ha trovato un testo precursore dell'eguaglianza di genere. Femminista "da sempre", la basca Rodriguez si è convertita all'Islam, 28 anni fa.
Oggi, è la Presidente dell'Unione delle Donne Mussulmane (Umme), organizzazione che aderisce al IV Congresso Internazionale del Femminismo Islamico.

"Sono più femminista di prima della mia conversione all'Islam, perché la mia religione mi permette di essere una donna libera" ha spiegato Marie Laure che definisce il femminismo islamico come il movimento che cerca la liberazione delle donne in seno all'Islam.
Le prime femministe mussulmane, furono le scrittrici e le intellettuali nel primo decennio degli anni '70. Formatesi nelle università europee, scoprirono che non avevano nulla da condividere con il femminismo secolare emergente in Occidente.
La loro lotta(jihain in arabo) è stata diversa ed hanno fondato la loro battaglia per l'uguaglianza all'interno degli insegnamenti di Muhammad.
Allo stesso tempo in Malesia, un'associazione dal nome " Sorelle dell'Islam" fu pioniera nella lotta per la liberazione delle donne dal giogo del potere politico che le sottometteva nel nome della religione.

Il velo, "una distrazione"

Donne lapidate dai parenti, bruciate da mariti stizziti, l'ablazione del sesso o del burqa, sono realtà in alcuni paesi mussulmani. "E riguarda il 100% delle informazioni sulle donne data dai media". Ma - dichiarano le femministe, - nessuna di queste aberrazioni sono giustificate dall'Islam. "Sono il frutto di interpretazioni politiche erronee e interessate per perpetuare il controllo sulle donne della sharia (codice che regola la morale e il comportamento dei mussulmani), ha dichiarato Zahira Kamal, ex ministra delle donne in Palestina.
Questi gruppi di femministe che fondano la loro lotta sull'istruzione delle donne e per l'accesso al potere pubblico hanno portato dei cambiamenti nel mondo mussulmano.
Citano le riforme di Mohamed VI - primo monarca a permettere ad una donna di pronunciare nel venerdì di Ramadan, il sermone in una moschea, che ha riservato per legge il 10% dei seggi in Parlamento alle donne o le modifiche della legge civile Palestinese che ha modificato l'età matrimoniale e abrogato la figura del "tutore" per le donne. Ma le radici del patriarcato e l'ascesa del fondamentalismo in paesi come l'Iran e l'Afghanistan rappresentano una battuta d'arresto per la lotta.

Esistono correnti all'interno del femminismo islamico, moderate e radicali, però tutte rifiutano categoricamente di parlare del velo -hijab ( e della sua proibizione), perché dichiarano "è una scusa per distrarre da altre problematiche di fondo". Qualcuna lo porta sempre, alcune mai, altre “qualche volta", perché non è un simbolo di sottomissione- ha sostenuto Marie Laure.

Mussulmani antifemministi

L'opposizione frontale alla 'jihad di genere, viene rinforzata dalle compagne di fede. La maggior parte delle mussulmane credono che il femminismo islamico sia una minaccia per la loro tradizione e religione. Donne come Masuma Assad (dell'Unione Donne Mussulmane Argentine) dichiarano che "il femminismo islamico punta alla distruzione dell'Islam per sostenere i principi della laicità nelle società islamiche”.
Recentemente, Marie Laure ha invitato come presidente dell'Umme, i responsabili delle moschee spagnole a consentire l'accesso alle donne dalla porta principale, "Se 15 secoli fa, siamo entrati paritariamente dalla porta principale, perché in pieno XXI secolo, in un paese democratico non lo possiamo fare?"
Gli uomini che dirigono le moschee più progressiste hanno chiesto alle donne di prendere esse la decisione.La maggioranza ha deciso di non rompere il consenso. Nonostante questa sconfitta l'Associazione delle Donne mussulmane, ha dichiarato che pur essendo un movimento di minoranza, essa ha un futuro. La presidente Marie Laure a tal proposito ha dichiarato: La seconda generazione di donne musulmane, che hanno maggiore accesso all'istruzione, iniziano a mettere in discussione il modello religioso ereditato, che nulla ha a che fare con l'essenza dell'Islam e sono pronte per i cambiamenti.
da webislam.com

 

 

httpsinizio pagina://www.facebook.com/notes/anita-silviano/islamofobia-la-donna-è-trasformata-in-capro-espiatorio-sulla-quale-esercitare-pr/10150164864843400

Maquilas: Vietato parlare, ammalarsi, rimanere incinte e organizzarsi di Alba Trejo

(SEMlac).- "Testa di gambero", testa di pollo,"merda "," colera ", questi sono gli insulti che in coreano o in inglese usano i datori di lavoro per offendere le donne guatemalteche che lavorano nelle fabbriche di questo paese .
Gli insulti, che sono spesso pronunciati ad alta voce,vengono accompagnati da pressioni sabotando il loro lavoro, rubandole quote o trasferendole ai peggiori aree lavorative,dove sono costrette a sollevare carichi pesanti per esasperarle in modo da cedere al ricatti sessuali delle quali sono vittime ogni giorno nelle maquilas.
 

Tania Palencia, una sociologa, nella sua ricerca dal titolo " Pancia piena non crede nella fame degli altri," descrive come nelle maquilas persiste l'intolleranza di fronte alle gravidanze delle dipendenti,gli abusi che le costringono ad eseguire gli obiettivi di lavoro sotto minacce, o le sanzioni economiche imposte se si ammalano e la perdita del lavoro.
Lilian Solis, dell'unità di Genere del Ministero del Lavoro, lo conferma: l'ente ha ricevuto almeno 255 denunce in un anno per questo tipo di abusi.
Il Guatemala è l'industria tessile più grande della regione all'interno della quale ci sono circa 40 aziende tra tessitura e filatura che producono annualmente 165 milioni di prodotti di stoffa e di 27 milioni di filo e filati.
 

In questa regione vivono la maggior parte delle donne indigene, ma anche le meticce sono assunte da queste fabbriche
Lilian spiega che non tutte osano denunciare quando lavorano, perché hanno paura di ritrovarsi senza niente, dato che rischiano il licenziamento immediato.
Ad esempio,la lavoratrice Lorena Simon, non ha avuto il coraggio di parlare fino quando la società per la quale lavorava, chiuse improvvisamente lasciando per strada 800 dipendenti e senza nessun pagamento.
"Controllavano il tempo per andare in bagno. Quasi non ci lasciavano bere (acqua) e l'assenza di un giorno per andare alla sicurezza sociale, ci costava 30 dollari che toglievano dallo stipendio", ha testimoniato nella ricerca su citata, che documenta la situazione delle maquilas in Guatemala.
Le donne guatemalteche nelle fabbriche tessili o agricole non riescono a guadagnare neppure un salario minimo, che è di circa 250 dollari, mentre il loro salario mensile è all'incirca tra 150 /200 dollari.
 

Maritza Velasquez, dell'Associazione dei lavoratori domestici e delle Maquilas, ha detto a SEMlac che per le lavoratrici il salario va diminuendo tutti i fine settimana perché quando ne ha voglia il datore di lavoro lo decurta capricciosamente.
Abusi, pressioni, ricatti, molestie sono gli elementi che caratterizzano una fabbrica in questo paese centro americano, dove le regole di contrattazione cambiano quando si tratta di una donna.
Avere 30 anni, essere donna e senza istruzione è sinonimo di inutilità per alcuni settori lavorativi e nel caso delle fabbriche tutto ciò viene confermato,dichiara Marta Olga Rodriguez della Commissione della Donna del Congresso della Repubblica, che ha organizzato gruppi di lavoro per migliorare l'occupazione nelle maquilas.
Maritza Velásquez ha inoltre aggiunto che nei primi anni Ottanta,le operaie della fabbrica erano l'82 per cento della forza lavoro, ma oggi quel numero è diminuito, in quanto vi è una distorsione nel reclutamento di giovani uomini, perché essi hanno una maggiore capacità fisica di raggiungere mete estenuanti e non chiedono permessi a causa degli impegni di famiglia o di gravidanze.
Il profilo di una guatemalteca che lavora nelle maquilas è la povertà: vive in aree marginali, non ha terminato le elementari, e non ha alcun diritto.

Analogamente, donne le cui madri non hanno avuto accesso allo studio e sono state indirizzate a vendere verdure o a lavare e stirare in case private.
Inoltre, Maritza ha rilevato che è nella fabbrica tessile che si trova la più grande quantità di manodopera, per cui è il luogo dove c'è più sfruttamento, abuso, repressione della organizzazione, molestie sessuali per far raggiungere gli obiettivi in tempo. E in molti casi le donne sono costrette a lavorare più di 10 ore al giorno,per sette giorni alla settimana, a soli 85 dollari ogni due settimane.
La Commissione dell'Industria di Abbigliamento e Tessile (Vestex), un'entità che comprende tutti i datori di lavoro della maquila in questo paese, supporta e sostiene l'apertura di aziende tessili, ma più della metà delle maquilas sono in questo ordine, coreane, americane e guatemalteche.
La Vestex rappresenta 156 fabbriche di abbigliamento, con una potenza installata di 59,900 macchine e una manodopera di 56,702 dipendenti. Le principali aree di attività sono situate ad ovest del paese.


Però ci sono 271 aziende fornitrici di servizi accessori che fanno parte di questo gruppo, in attività come la serigrafia, ricamo, etichette, prodotti chimici, tintori, laboratori tessili, tra gli altri.
La maggior parte dell'industria tessile e di abbigliamento si trova nella regione metropolitana e nella zona circostante, una distanza di non più di 30 minuti dalla capitale.
La ricerca "La pancia piena non crede alla fame degli altri" rileva che attualmente le donne che hanno superato i 30 anni sono respinte perché tendono ad ammalarsi, mentre datore di lavoro fa tutto il possibile per assicurare che il personale resti il più a lungo nelle ore di lavoro.
Ma Lilian Solis, funzionaria del Ministero del Lavoro,contraddice ciò e afferma che l'85 per cento della forza lavoro nelle maquiladoras sono donne, e che queste sono capi - famiglia e madri che devono coprire le spese di base,i pagamenti dei servizi,dell'istruzione e della sanità, con una paga giornaliera di 7,05 dollari.


Floridalma Contreras, delle area della Donna del Centro per l'Azione legale sui diritti umani, ha dichiarato che negli ultimi sei anni sono stati trattati in Guatemala 45.196 denunce lavorative delle maquila.
Carla Caballeros, manager della Vestex ritiene che non si possa generalizzare e che le imprese appartenenti a questa corporazione devono conformarsi ad un codice di condotta, che tutti dovrebbero seguire.
Proprio la situazione che devono affrontare, sottolinea Tania Palencia nel suo lavoro di ricerca sulle maquilas ha permesso alle donne del Guatemala la crescita della loro forza interiore, perché il salario ha dato ad esse il potere di sopravvivere se i loro mariti le abbandonano, per darsi valore e separarsi dai loro partner (in caso di abusi) o decidere di rimanere incinta e scegliere di non vivere con il padre.

http://www.redsemlac.net/web/index.php?option=com_content&view=article&id=985:maquilas-prohibido-hablar-enfermarse-embarazarse-u-organizarse&catid=52:poblacion--sociedad&Itemid=71

(traduzione di Anita Silviano)
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 Il mito della madre perpetua il sistema patriarcale  di Cruz Guadalupe Jaimes

 

 

 

(CIMAC) .- L'amore e l'istinto materno - dichiara Lorena Saletti Cuesta, ricercatrice presso l'Università di Granada, in Spagna, nel suo libro " Proposte teoriche femministe femminista in relazione al concetto di maternità" -

sono costruzioni culturali che vengono apprese e riprodotte dalle donne.

 

Mentre la capacità di partorire è qualcosa di biologico, la necessità di trasformare la maternità in un ruolo centrale per le donne è il risultato del mandato sociale - spiega nell'analisi.

 

La ricercatrice afferma, sulla base di studi femministi, che "la maternità è sentimento variabile a seconda della madre, della sua storia e della storia."

 

La costruzione culturale della maternità crea "un nuovo tipo di vincolo e un nuovo mito: la convinzione che ogni donna non è soltanto una madre potenziale, ma è una madre nel desiderio e bisogno. Non vi è alcun istinto materno, la maternità è una funzione che le donne possono o no sviluppare ".

 

Nel designare come fatto naturale l'essere madre, " l'ideologia patriarcale spiega Saletti - colloca le donne nell'ambito della riproduzione biologica, negandole l'identità al di fuori della funzione materna".

 

 

Aggiunge inoltre che la possibilità biologica "diventa un mandato sociale attraverso l'affermazione di un istinto materno universale nelle donne."

 

Così, il mito dell'istinto materno,che si suppone naturale ed intrinseco predestina le donne ad essere madri affinché di dedichino prioristicamente alla cura dei figli e figlie.

 

La considerazione della maternità, come fatto naturale e inevitabile, ritiene che ogni donna dovrebbe volere e vorrebbe essere una madre, e che quelle che non possono esserlo biologicamente o rifiutano di svolgere tale funzione "sono deviate o carenti in quanto donne".

 

Culturalmente, alle donne non solo si chiede di essere madri, ma devono esserlo dimostrando un "amore incondizionato" che la società stabilisce: se non dimostrano questo affetto sono classificate come "cattive madri".

 

Per la teorica femminista Simone de Beauvoir, cita Saletti, il posto delle madri nella società è un luogo di subordinazione e di esclusione dalla categoria di soggetto sociale.

 

L'ambito pubblico e privato collaborano nel mantenere questo sistema sociale, ma non godono dello stesso prestigio all'interno di esso, visto che -sostiene la ricercatrice - la procreazione ed educazione dei/delle bambini/ne non è riconosciuta come lavoro produttivo dalla società.

 

Il mito della maternità serve a nascondere la reale assenza di importanza che la società attribuisce a questo faticoso, complesso e determinante lavoro. Siccome essere madre è qualcosa di "naturale" poco si riconosce l'alto costo personale che la maternità rappresenta per le donne - ha dichiarato Marta Lamas nel suo articolo "Madrecita Santa" contenute nel libro "Miti messicani".

 

Il crollo del mito della " santa madrecita" dovrebbe portare quindi ad una ri-definizione di una nuova forma gioiosa, condivisa e responsabile di avere e crescere figli. Smettere di considerare conclude l'esperta - la maternità come sinonimo e cominciare a considerarla ome un fatto amoroso che richiede per poterla esercitare pienamente, un passo preliminare: l'amore della donna per se stessa.

 

 

http://www.cimacnoticias.com/site/11050907-CONTEXTO-ESPECIAL-M.46992.0.html

 

(traduzione Anita Silviano)

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Perù: le donne delle comunità indigene rivendicano i loro diritti  di Julia Vicuña Yacarin

pubblicata da Anita Silviano il giorno venerdì 27 maggio 2011 alle ore 20.40
 

 

 

SEMlac .- "C'è un grande disconoscimento della nostra realtà da parte delle autorità, per questo vi chiediamo di visitare le nostre comunità, parlare con noi, i nostri leader vivere e conoscere in modo diretto i problemi economici, di sanità e istruzione che affrontiamo ogni giorno" , ha dichiarato Andrea Campos Jari, leader della Federazione Regionale delle Donne Ashaninkas, Nomatsiguenga e Kakintes (Fremank).

 

La Campos, insieme a una cinquantina di donne leader amazzoniche, vestite nei loro costumi tradizionali e accompagnate dai loro bambini e bambine e dai leader delle loro comunità sono arrivate nella capitale peruviana dalla selva centrale del Perù per partecipare alla audizione pubblica: " Situazione delle donne Indigene Amazzoniche e Proposte di cambiamenti Elaborati dalle Donne ", che si è svolta al Congresso della Repubblica.

 

Donne Ashaninkas e Nomatsiguengas della Selva Central, Donne Awajun dell'Alto Marañón, rappresentanti delle popolazioni storicamente esclusi dall'esercizio dei loro diritti individuali e collettivi, hanno spiegato perché il territorio è un elemento fondamentale per esse e le loro comunità e hanno chiesto la corretta applicazione delle norme nazionali e internazionali, in particolare la Convenzione 169 della OIT.

 

Il Congresso peruviano ha firmato e ratificato il 2 dicembre 1993, la Convenzione 169, i cui principi fondamentali sono il rispetto e la partecipazione delle comunità native, il rispetto del territorio, alla vita, alla salute, cultura e alla religione, alla loro organizzazione politica,sociale, economica e di identità e la partecipazione alle scelte statali che li riguardano direttamente e la partecipazione alla vita politica nazionale ed economica nazionale.

 

 

L'istruzione non arriva

 

Nella sede del Potere Legislativo peruviano, le leaders amazzoniche hanno rilevato che la mancanza di accesso all'istruzione è un altro problema nell'Amazzonia peruviana, dove il tasso dell'analfabetismo femminile varia dal 76,3 per cento nel caso della popolazione Nomatsiguenga, del 54,2 nel Ashaninka, 38,4 in Kakinte, del 73,9 nel caso di Awajun,situazione aggravata dalla grandi debolezze del sistema di istruzione nazionale.

 

"Siamo state escluse e discriminate da sempre , abbiamo il diritto all'attenzione interculturale bilingue come previsto dalla Convenzione 169, ma gli insegnanti, per lo più parlano solamente castigliano", ha denunciato alla pubblica udienza Maritza Casancho Rodriguez, leader dell'area Casancho della comunità di San Ramón de Pangoa, situata nel sud-est del dipartimento di Junin.

 

Da parte sua, Campos, della Fremank, ha riferito che nelle scuole della sua comunità, Betania, situata nel quartiere di Rio Tambo, nella provincia di Satipo, così come a Junin, molti insegnanti non sono bilingue. "Insegnare solo in spagnolo e questo è un problema, perché non disconosono che le comunità indigene hanno il diritto ad una educazione interculturale bilingue," ha precisato.

 

Le donne hanno chiesto l'attuazione di un' educazione interculturale bilingue che ponga fine al razzismo e all'esclusione che continua a caratterizzare il paese e la promozione di campagne di alfabetizzazione per donne adulte nelle comunità, in coordinamento con i settori dell'Istruzione, Sanità e il Ministero della Donna.

 

L'abbandono nel quale vivono le comunità indigene si mostra anche nei sistemi sanitari. Meno della metà (49,9%) delle comunità indigene hanno un qualche tipo di struttura sanitaria e solo il 45,5 per cento possiede una valigetta appropriata per le emergenze. La metà dei decessi si verifica prima di 42 anni, 20 anni in meno di vita rispetto alla media nazionale.

 

"Non abbiamo mai avuto un'attenzione di qualità. Gli operatori sanitari disconoscono la Convenzione 169 dell'OIT, che stabilisce che le comunità native hanno il diritto ad un'attenzione interculturale bilingue.Si rende necessaria la presenza di traduttori nei posti di salute e negli ospedali per servire adeguatamente la popolazione indigena non parla spagnolo, "si lamenta Casancho.

 

Per affrontare questa drammatica situazione si richiede un aumento delle risorse per la Sanità delle comunità indigene; campagne promozionali per la difesa dei diritti sessuali e riproduttivi, l'incorporazione della medicina tradizionale all'interno del sistema sanitario, la sensibilizzazione e formazione del personale sanitario per fornire cure di qualità e premuroso nel quadro della Convenzione 169.

 

Le donne amazzoniche hanno anche riferito che sono vittime di violenza e ha chiesto la formazione e la sensibilizzazione delle comunità per affrontarla.

 

"Chiediamo la formazione di tutta la comunità: donne, uomini, adolescenti e bambini/ne sui diritti delle donne e il grave problema che significa violenza", ha affermato Claudia Gioia Potsoteni, segretaria dll'economia della FREMANK e membro della Comunità San Miguel de Otica.

 

Nel caso delle autorità e dei leader delle comunità native, ha rilevato che oltre ad " essere sensibilizzati , devono essere formati sulle leggi e accordi nazionali e internazionali, affinché possano dare una buina giustizia. Noi non combattiamo contro i nostri compagni uomini,quello che vogliamo è la pari opportunità ", ha dichiarato la leader del Rio delle Amazzoni.

 

Tra il gennaio e ottobre 2010, secondo il Centro di Emergenza Donne di Satipo, sono stati trattati 314 casi di violenza familiare e sessuale e la cosa peggiore è che i funzionari incaricati di questo servizio non conoscevano l'idioma nativo, il quale rileva che gli approcci di cura non incorporano la diversità e la cosmovisione della donna amazzonica sulla violenza e l'ingiustizia.

 

 

Riparazione per le vittime della violenza politica

 

Sugli effetti dei conflitti armati che hanno scosso il paese tra gli anni Ottanta e il 2000, tema del quale si parla poco, Jonatan Sharett Quinchoker, presidente dell'Organizzazione Campa Ashaninka del río Ene, ha espresso la sua preoccupazione per le vittime della violenza politica e chiesto che siano beneficiarie del Piano Integrale delle Riparazioni.

 

"Durante gli anni ottanta - ha proseguito - i terroristi sono arrivati nella nostra comunità e si sono portate a molti giovani causando grande dolore per le madri che hanno sofferto per la loro partenza. Noi non vogliamo la violenza, ma ora la droga è un grosso problema per noi perché cresce di giorno in giorno. Le donne indigene temono per i loro figli perché possono essere catturati o rapiti per lavorare nelle coltivazione di coca ".

 

Nella giungla centrale nella zona VRAE (abbreviazione di Valle del fiume Apurimac e Ene), adiacente ai territori asháninkas, rimangono le ultime roccaforti dei Sendero Luminoso (organizzazione terroristica che si è scontarta con lo stato peruviano negli anni ottanta) in collaborazione con le bande dei narcotrafficanti.

 

Si stima che nella zona vi siano circa 17.000 ettari di foglia di coca che rendono una produzione annua di 160 tonnellate di cocaina, secondo l'Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine (UNODC).

 

Da parte sua, David John Chanqueti Chumpate, a capo della Comunità alto Kiatari,che si trova nel quartiere di Pangoa, provincia di Satipo, ha rilevato che l'attuale governo non fa attenzione alla comunità indigene del paese, tuttavia, "mi sento felice perché per la prima volta c'è un incontrointeretnico in seno al Congresso della Repubblica per presentare le proposte delle donne ".

 

Le leaders hanno consegnato l'agenda delle proposte elaborata congiuntamente tra istituzioni delle quali fanno parte, membro del Congresso di Washington Zeballos Gámez, presidente della Commissione del popolo Andino Amazzonixo e Afro-peruviano Ambiente ed Ecologia del Congresso.

 

http://www.redsemlac.net/web/index.php?option=com_content&view=article&id=1021:peru-mujeres-de-las-comunidades-nativas-exigen-sus-derechos&catid=45:derechos-indigenas&Itemid=64

 

 

(traduzione di Anita Silviano)

 

Il corpo delle donne, bottino della narco-guerra   In Nuevo Leon sono state uccise quest'anno 65 donne, nove delle quali erano minorenni.  di Sanjuana Martínez Traduzione di Anita Silviano

 

Scene della narco-guerra femminicida in sette giorni: una nella città di Cadereyta verso il Palmetto, il corpo di una donna tagliato in sei parti all'interno di un bagno zincato.

 

Due: la testa di una donna tra la strada Gonzalitos e Francisco Rocha, all'angolo del ristorante El Gran Pastore.

 

Tre: un taxi parcheggiato davanti all'edificio della Salute Pubblica nel comune di Guadalupe; sul sedile posteriore, un secchio di vernice di 19 litri con dentro la testa di una donna.

 

Quattro: due sacchetti di plastica sulla strada statale della Hacienda El Alamito; dentro, cinque pezzi di un corpo di donna senza testa.

 

Dall'inizio di quest'anno sono già più di 65, nove delle quali minorenni, le donne assassinate in Nuevo León con metodi brutali, primitivi: la maggior parte delle quali, oltraggiate sessualmente. Si tratta del femminicidio più crudele legato alla guerra contro il narcotraffico ed è invisibile: un femminicidio che mutila, taglia, cuoce, squarta, scortica ...

La narco-violenza colpisce più le donne. I loro corpi diventati bottino di guerra sono utilizzati per lo sfruttamento sessuale, per intimidire gli avversari, minacciare e causare più danni ai nemici.

Una violenza sessuale caratterizzata dal furore, il disprezzo e l'odio di genere.

 

Non è facile monitorare l'orrore femminicida in questi tempi di guerra e Alicia Leal,la presidente di Alternative Pacifiche lo sa bene. Da 15 anni lotta contro la violenza di genere e gestisce due rifugi per donne maltrattate. I casi che accoglie ora per la narco-violenza sono terribili. Mai nella sua vita aveva visto quello che succede adesso: il corpo delle donne è il bottino in questa guerra. Con più crudeltà. E 'una violenza estrema in termini di coercizione e lesioni. C'è un sadismo impressionante.

Quelle che non muoiono e arrivano ferite portano i segni di stupri collettivi, donne che mentre vengono violentate sono torturate con le sigarette accese o tagliuzzate con i coltelli.

Sembra un film dell'orrore, ma è la realtà.

 

 

Storie spaventose.

 

 

Si chiamava Perla Elisabetta Campos Garza, aveva solo 22 anni e lavorava in un'agenzia di noleggio auto situato a Cadereyta a 40 miglia ad est di Monterrey, un impiego in cui era obbligatorio indossare una camicetta mostrando la scollatura e stretti pantaloncini corti. Il suo compito era quello di attirare i clienti davanti alla porta del negozio ballando ritmicamente. Un metodo promozionale con due o tre ragazze,utilizzato nei depositi della birra di Monterrey.

Perla aveva i capelli tinti di rosso. Finì di lavorare alla mezzanotte e non arrivò più a casa. Alle 08:40 del primo giugno la polizia ricevette una chiamata per avvisare che una donna mutilata era stata abbandonata in un crepaccio. Gli agenti cercarono ma non trovarono il posto. Dodici giorni dopo ricevettero una seconda chiamata nella quale si precisava il luogo. Si trattava della comunità Palmitos a tre chilometri da Cadereyta. Lì, nella boscaglia, trovarono un vasca da bagno di lamiera zincata di 65 centimetri di diametro e 30 di altezza. Dentro c'era il corpo di Perla tagliate in sei pezzi. Vi era scritto su un pezzo di cartone : Pantera 6 Lenon.

La vicenda fu seguita dalla polizia locale, piuttosto che dalla squadra omicidi. L'assassinio di Pearl non fu nemmeno discusso dalle autorità della Procura di Stato. Il suo caso non ha meritato una menzione nella maggior parte dei media nei giorni seguenti il suo ritrovamento.

 

Alicia Leal ha spiegato che gli orribili crimini della narco-guerra invisibilizza quelli delle donne: il crimine organizzato sta usando nella popolazione semi-urbana le donne a scopo di sfruttamento sessuale o di prostituzione forzata. Le tengono costantemente sotto minaccia andando d uccidere i loro figli,mariti o genitori. E quando non servono più, le eliminano. Abbiamo avuto casi di donne costrette a lavorare per la criminalità organizzata e di donne costrette a spostare la droga attraverso il confine;prede dei criminali sono minacciate quando hanno bambini per costringerle allo sfruttamento sessuale.

 

A Cadereyta, sette giorni dopo l'assassinio di Pearl, in particolare nella comunità rurale di Hacienda El Alamito, nel km14 della strada per Allende, c'erano due sacchetti di plastica accanto ad un serbatoio di birra. Erano le sei del mattino e i militari trovarono all'interno dei sacchetti un corpo di una donna smembrato in cinque parti, senza la testa.

 

Casi come questo provocano sentimenti dolorosi per chi come l'attivista femminista Irma Alma Ochoa, direttora di Artemisas por la Equidad,devono contabilizarli.

 

Ha impiegato 11 anni, impegnata nel conteggio ed è convinta che l'aumento di 168 per cento del femminicidio registrati in Nuevo Leon nei primi cinque mesi di quest'anno ha a che fare con la narco-violenza : "Da quando abbiamo iniziato a fare questo conteggio, se troviamo una donna che è stata uccisa a bastonate o un'altra che è stata decapitata e la testa messa sotto il letto o donne ustionate o ferite in faccia con l'acido, ci rendiamo conto che questi casi dimostrano che c'è molta brutalità,misoginia e odio di genere. E la narco-violenza sta esacerbando il numero di casi ".

 

 

Senza pietà.

 

Lo scorso 6 giugno il corpo di una donna picchiata a morte fu trovato in un terreno abbandonato nel quartrire Jardines de Casa Blanca in Guadalupa. Era a faccia in giù con addosso solo i pantaloni. La ragazza di circa 25 anni, aveva il volto sfigurato dai colpi e lividi sulla schiena. Aveva i piedi legati e c'era un messaggio che le autorità si sono rifiutate di rendere pubblico.

 

Cinque giorni prima, nello stesso comune, una donna smembrata è stata trovata nel bagagliaio di un taxi a pochi isolati dall'edificio della Polizia e Transito. Si chiamava Azalia Vanesa Cervantes Arambula e aveva 28 anni. Sui resti, c'era un messaggio contro la sindaca di quel comune, Ivonne Alvarez,che diceva: "Puttana traditrice".

 

Pochi giorni fa,a 100 metri dalla caserma di polizia è stato abbandonato un taxi. Sul sedile posteriore hanno trovato la testa di una donna in un secchio di vernice di 19 litri. Non è stata ancora identificata.

 

Il 4 giugno scorso fu trovato il corpo di una donna tra i 20 e i 25 anni. Era stata torturata, picchiata a morte e,molto probabilmente, bruciata viva. Aveva un filo spinato attorno al collo. Erano le 10 del mattino e nel Km.17 del Libramiento nord-est,in un crepaccio nel comune di Escobedo ai limiti di Garcia, della Colonia Portal Fraile, dove la gente andava a tagliare la legna, hanno trovato resti di nastri cannella, il che suggerisce che era stata legata quando fu portato nel posto e bruciata. C'era solo un sandalo bianco.

 

"Ogni volta la crudeltà aumenta. La pratica del calcinare, per esempio, è di anni fa. E 'ampiamente utilizzata nelle società in cui il patriarcato è più forte e il potere maschile si dimostra quando la prima persona che pende appesa da un ponte a Monterrey è una donna (La Pelirroja)”, dice Irma Alma Ochoa.

 

 

L'invisibilità

 

Il mese di maggio si è presentato con uguale crudeltà nell'uccisione delle donne. Il 23 maggio, fu trovato in un furgone con targa del Texas abbandonata in un crepaccio sulla strada a Colombia, all'altezza di Salinas Victoria, il corpo di una donna brutalmente torturata e finita con un colpo di grazia. Era stata ammanettata e imbavagliata con del nastro adesivo.

 

Sono assassini sempre più disumani, ha detto Consuelo Morales, direttora dell'associazione Cittadini a Sostegno dei Diritti Umani. Atti sempre più selvaggi, lontani da noi. E, ogni volta, sono sempre più donne.

Esse sono quelle che soffrono le peggiori violenze in questa guerra, essendo più vulnerabili.

 

 

Il 18 maggio, è stato trovato il corpo di un'altra donna, torturata e con ferite da arma da fuoco. La trovarono in una strada della colonia Morelos, nella città di Guadalupe, alle 4:30 del mattino.

 

La brutalità che attuano contro le donne è stata evidenziata nell'omicidio di Kitzia Rebecca Yuriditzia Cansino Ocañas, di 23 anni, che era domiciliata nel capoluogo del distretto di Paso Hondo nel comune di Allende. Era incinta e aveva ferite sul costato sinistro e dalla vita in giù. Aveva ricevuto più di cinque proiettili.

 

Irma Alma Ochoa lo spiega: è l'odio di genere, l'odio per la madre. Chissà da dove traggono questi assassini l'odio anche per quelle che gli hanno dato la vita. Il gruppo più numeroso appartiene alla donne assassinate in età riproduttiva.

Alcune erano addirittura incinte.E molte sono state colpite al ventre.

 

Il 20 maggio alle 7:30 di mattina è apparso un corpo smembrato di una donna a pochi metri dal municipio di Guadalupe.. Era stata decapitata e la sua testa è stata posta in cima su una pattuglia con un messaggio che la polizia ha rifiutato di rendere pubblico.

 

Per Alicia Leal appare chiaro che questi sono femminicidi della narco-guerra:hanno una componente di genere. Nella maggior parte di queste morti c'è lo stupro, le mutilazioni sessuali.Questa è violenza di genere. Punto.

Anche se allo Stato conviene definirla come violenza generalizzata, la realtà è diversa.

 

In Nuevo Leon, il femminicidio non è stato ancora tipicizzato. Lo Stato procede senza avere meccanismi che forniscano alle donne risposte immediate alle emergenze. Vi è una chiara mancanza di coordinamento tra le istituzioni, perchè il governo mantiene il monopolio di attenzione alle vittime. E questa non è la soluzione.

In una settimana abbiamo ricevuto tre casi di bambine violentate, qualcosa di mai visto nei nostri 15 anni di lavoro.

 

 

http://www.jornada.unam.mx/2011/06/12/politica/011n1pol

 

(traduzione di Anita Silviano)

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No all'islamofobia in nome del femminismo / Islamophobie au nom du féminisme : no !

https://www.facebook.com/notes.php?id=1738442459&s=40#!/note.php?note_id=10150119966163400

pubblicata da Anita Silviano il giorno domenica 13 marzo 2011 alle ore 16.50. Marine Le Pen - alla quale lo scorso gennaio suo padre, Jean-Marie Le Pen, ha lasciato la presidenza del Front National, il partito di estrema destra francese -, sembra confermare in maniera sinistra il proverbio "buon sangue non mente" ed insieme la capacità della destra di modificarsi per meglio adattarsi ai tempi. La frase con la quale Marine Le Pen paragonava, in un discorso tenuto a Lyon il 10 dicembre 2010, la presenza di musulmani raccolti in preghiera sulle vie pubbliche in Francia all'occupazione nazista durante la II guerra mondiale, segnava una mutazione rispetto all'affermazione paterna di qualche anno prima in cui si giudicava l'occupazione nazista "pas si inhumaine que cela".

La destra lepeniana sembra abbandonare l'eredità del collaborazionismo: il riferimento all'"occupazione" cambia di segno, se non per condannare l'occupazione nazista sicuramente per meglio stigmatizzare l'Islam. Rivelatrice un'altra frase pronunciata da le Pen figlia nello stesso discorso: "Dans certains quartiers, il ne fait pas bon être femme, ni homosexuel, ni juif, ni même français ou blanc" ("In certi quartieri, non è bene essere donna, nè omosessuale, nè ebreo, come anche francese o bianco", dove per "certi quartieri" si intendono le banlieues, abitate per la maggior parte da una popolazione proletaria "non bianca").

In un articolo su Libération dal titolo Pourquoi Marine Le Pen défend les femmes, les gays, les juifs…, Eric Fassin inseriva la frase di Marine Le Pen in quella "nuova virtù democratica dei populisti di destra e d'estrema destra" che si scoprono femministi, filosemiti e gay-friendly per poter tracciare una frontiera razzializzata all'interno della nazione tra "noi" e "loro" in nome dell'uguaglianza e della libertà dei sessi, dando un tocco di modernità alle retoriche tradizionali dei partiti di destra/estrema destra. Un tema questo, che abbiamo più volte dibattuto e che riteniamo cruciale. Per chi è attualmente parigino/a segnaliamo che domenica prossima, 20 marzo, a Parigi (dalle 15 e 30 alla Maison des Associations du Xème, 206 quai de Valmy 75010 Paris, métro Jaurès) Les Indivisibles, Les Mots Sont Importants, Les Panthères roses e Les TumulTueuses organizzano un dibattito dal titolo "Islamophobie au nom du féminisme : NON !", intorno a queste questioni con la partecipazione, tra le/glia altre/i, di Jessica Dorrance dell’associazione LesMigraS di Berlino.

Per chi non può essere a Parigi e non è neanche francofona/o traduciamo al volo il documento di indizione della giornata: "Noi, femministe, denunciamo l'utilizzazione delle lotte femministe e lgbt a fini razzisti e precisamente islamofobi. Marine Le Pen ha recentemente utilizzato la difesa degli omosessulai per meglio propagare il razzismo. E' ugualmente in nome delle donne che i nostri dirigenti e media mainstream hanno fino alla fine sostenuto un tiranno come Ben Ali, presentato come il protettore dei/delle tunisini/e contro un patriarcato necessariamente islamista. Infine l'indegno dibattito sul niqab, in occasione del quale dei parlamentari uomini, fino ad allora completamente indifferenti alla causa femminista, si sono improvvisamente eretti in difensori dell'uguaglianza uomini/donne.

 Questo basta! Condanniamo il razzismo e rifiutiamo che colpisca in nostro nome! Costruiamo degli strumenti, delle risposte femministe per disinnescare queste "evidenze" insopportabili - musulmano=islamista=estremista=minaccia per le donne e le minoranze sessuali - ceh già si annunciano come le vedette dei prossimi scambi elettorali. E' più che mai necessario ricordare che numerosi donne straniere o francesi vivono il razzismo, il sessismo e un sessismo razzista. Decolonizziamo le lotte femministe e lgbt! Non lasciamo le femministe bianche dare lezioni alle altre! Fermiamo quelle e quelli che si alleano a delle iniziative politiche e dei discorsi razzisti, compresi quelli portati avanti sotto delle bandiere (pseudo)femministe e "gay-friendly"!"

 

(traduzione di Vincenza Perilli per Marginalia)

 

 

http://marginaliavincenzaperilli.blogspot.com/2011/03/no-allislamofobia-in-nome-del.html

 

In Messico i cartelli della droga si impadroniscono delle città: in aumento la tratta delle donne

pubblicata da Anita Silviano il giorno lunedì 15 agosto 2011 alle ore 9.32
 
Si esce e non si ritorna più...

I cartelli (Los Zetas) si impradoniscono di Apocada,Nuevo León : aumenta la Tratta delle donne.

In meno di due anni sono state sequestrate più di 105  giovani donne, denunciano le madri delle vittime.

Obbligate a prostituirsi o a vendere droga.

 La scomparsa di donne in Apocada, Nuovo Leon (Messico), stava diventando lentamente un evento di routine da quando Los Zetas si sono impadroniti di uno dei Comuni con maggiore popolazione e marginalizzazione.

Alcune sono state sequestrate per strada, scelte a caso,per il loro aspetto; altre sono state rapite dallo loro case con armi e minacce; il resto non ha fatto più ritorno all'uscita del lavoro, da una festa, dalla discoteca.

Tutte hanno in comune il fatto di essere povere,giovani e belle. Per le strade le sparatorie sono qualcosa di quotidiano. Decine di donne sono scomparse dall'inizio della guerra contro i narco.

I cartelli della droga hanno diversificato le loro attività.

L'ufficio della Procura di Nuevo Leon non ha statisitche del reato della tratta contro il genere femminile, però l'entità è stata considerata centro di distribuzione per lo sfruttamento sessuale: un affare che coinvolge criminali, politici, funzionari, polizia e imprenditori.

"Solo in Apocada, in meno di due anni abbiamo avuto oltre 105 ragazze rapite", afferma  Martha Alicia Quintanilla Ibarra, madre di Lizette Alicia Mireles, di 22 anni, desaparecida il 2 dicembre dell'anno scorso dopo l'uscita dal lavoro in un casinò.

Senza traccia

Azalea è magra,occhi scuri e obliqui. La  foto  dei suoi quindici anni è nella stanza. Teodora accoglie gli altri. Ha perso la vista e la sua malattia si è aggravata da quando la figlia è scomparsa il 15 febbraio dell'anno scorso. " Alcuni uomini sono venuti a trovarla. Prima le hanno parlato per telefono, poi uno scese dalla macchina e  ha picchiato forte alla porta, urlando. Mi ha solo detto, 'Mamma, torno tra un pò'.

Per nessuna delle giovani rapite è stato chiesto un riscatto. Alcune hanno parlato con i loro genitori dopo il sequestro per chiedere di non cercarle o di sporgere denuncia. Dieci di esse erano amiche o conoscenti e sono state rapite in una settimana.

Il giorno dopo il rapimento di Azalea, scomparve Cecilia Abigaíl Chávez Torres, di 18 anni, incinta di sette mesi.

" Un'amica - dice  Cecilia Morales Torres, di 45 anni - che io credo fosse nelle loro mani è stata il tramite. La chiamò diverse volte e la invitò ad una festa. Non ritorno più. Mia figlia mi telefonò quattro giorni dopo il sequestro e mi ha detto, " mamma, non ti preoccupare, sto bene" e riattaccò. Non mi ha mai più richiamata".

Racconta che la figlia lavorava nella Transformadores Delta e aveva una relazione con Juan Francisco Zapata, soprannominato Billy Sierra o El Pelon, capo zona della piazza de Monterrey arrestato nel mese di agosto dello scorso anno. " E' il papà del bambino. Non l'ho mai incontrato. Mia figlia mi raccontò che El Pelon non le disse che era un sicario. Glielo confessò quando era incinta di quattro mesi. Non volli che venisse a casa mia. Lo vidi sul giornale quando l'hanno arrestato. Lui sa dov'è mia figlia. E voglio che me lo dica lui o la SIEDO (Super-procura antimafia).

Per Cecilia è chiaro che la figlia è vittima della tratta.

L'ufficio statistica del Dipartimento di Stato americano afferma che annualmente in Messico più di 20mila persone sono sequestrate in relazione a questo crimine.

"Le possono fare prostituire o vendere la droga. Queste ragazze sono un grosso business per loro.  E' chiaro che hanno una rete di ragazze. E' la tratta delle bianche.

La storia di Veronica Martinez Casas è segnata da povertà ed esclusione. Si tratta di una dei sette milioni di Ninis  (indigenti)esistenti nel Paese, una madre single di quattro figli.

" Non c'è bisogno che cerchi Veronica, non ritornerà è morta" dissero  al telefono a María del Rosario Martínez Medina, madre di Verónica, desaparecida nello stesso giorno di Cecilia Abigaíl.

Veronica non lavorava. Voglio essere sincera, non mi piace dire bugie: era in contatto con brutte persone, questa è la verità". Insieme al marito cura i quattro nipoti. " "Sento che è viva, che sta bene", aggiunge.

La prescelta

Secondo il ricercatore dell'Università Autonoma di Nuovo Leon,Arun Kumar, autore della studio Una nuova forma di schiavitù umana: La tratta delle donne in Messico, l'organizzazione occupa il sesto posto in termini di incidenza di questo crimine.

Il rapporto rileva che mensilmente entrano ed escono 300-400  donne dallo Stato per sfruttamnto sessuale.

Alcune madri delle scomparse hanno ricevuto messaggi da persone che le hanno visto lavorarare nei bordelli o  nei bar a Monterrey, Camargo, Reynosa e Guadalajara.

"Le possono impiegare come accompagnatrici - afferma Isabel Rivera, madre de Guadalupe Jazmín Torres Rivera, mentre guarda la foto della figlia quindicenne scomparsa nel febbraio dell'anno scorso, un giorno prima del sequestro di Veronica e Cecilia Abigaíl.

Madre single di una figlia di tre anni, Guadalupe era una insegnante di ballo.

La madre racconta che dopo aver lasciato il lavoro " camminava per strada e Evelyn Johana, la ragazza di Juan Carlos Martínez Hernández, alias El Camaleón ,capo Zeta de Guadalupe, le fece dei seganli da un camioncino. Scese giù un tizio calvo, meticcio, con una pistola. Se la presero, lasciando solamente la valigia con dentro i vestiti di ballo".

La polizia di Apocada non ha accettato la denuncia di Isabel Rivera, quando andò al campo miliatre della Settima zona, per aggiungere il nome della figlia tra le disperse.

Poi alla caserma della  Marina, e finalmente la polizia ministeriale ha accettato la denuncia e il DNA è stato testato.

" Mia figlia è stata presa il Martedì, altre tre il Lunedì, altre due il Mercoledì, in una settimana  ne hanno rapite 10 nel quartiere. Hanno continuato sequestrando ragazzine. Sono 46 le rapite quest'anno. E nessuno fa niente. Non è giusto che le rapiscano per soldi. Sono morta. Dio mi ha dato tre figli e li amo tutti e tre. Io non mi rassegno" dichiara mentre mostra una carpetta con otto immagini  di altre ragazze scomparse, le cui madri hanno inizato a riunirsi  per chiedere giustizia.

La maggior parte di esse si sono conosciute nella Settima Zona Militare dove si erano recate per denunciare le sparizioni " Qui non nascondiamo nulla, Io credo che l'abbiano rapite Los Zetas. Tutti conoscono Billy Sierra, che ha sequestrato altre ragazze a Monterrey, Estanzuela, Guadalupe e Escobedo ", ha detto Cecilia Torres.

Le cose sono state diverse nel caso di Blondie Ivonne Williams García, de 23 anni,madre single, scomparsa  il 17 febbraio del 2010, il giorno dopo il rapimento di Verónica e Cecilia Abigaíl. Racconta la madre della giovane: "Venne un'amica e uscì. In quel momento si accostò una macchina e dall'interno le chiesero: " Chi è è Ivonne Blondie? " Lei non rispose. Qualcuno aveva mandato a chiedere di mia figlia. Uno degli uomini uscì dalla macchina e  le sollevò la giacca mostrando un tatuaggio di un sole: " E' lei? disse. Allora, l'altro ordinò : caricala su".

Quando ho sentito questo sono uscita e la stavano mettendo in macchina. Sono riuscita ad afferrare uno dei delinquenti, ma l'altro mi puntò la pistola e mi fermò.

La stessa auto sequestrò 23 ore dopo, Ana Lariza García Rayas. Lavorava come dimostratrice in un'azienda di telemarketing.

"Una ragazza gridò il suo nome e mia figlia uscì salutandola con un bacio. Una decina di minuti dopo la rapirono. Era amica di Blondie e Lupita, anch'esse rapite, ma le altre non le conosceva" - afferma la madre, Ana Francisca Rayas Guevara.

L'ufficio della Procura Generale sta indagando sulla sorte di 525 donne e bambine scomparse in questi ultimi anni in Messico.

Laura Benavides, una residente ad Apocada decise di mettere un annuncio su Internet sul rapimento della figlia avvenuto quattro anni fa in una discoteca,Yarezi Anahi Benavides Luevano, di anni 21.

Piange ogni giorno per sua figlia e per le altre: " Sono tante le giovani donne che vengono rapite. Sto ancora aspettando. Io la amo. Non mi interessa ciò che ha fatto o l'hanno costretta a fare. Io l'aspetto.La vedo che entra dalla porta e l'abbraccio."

http://www.jornada.unam.mx/2011/08/14/politica/002n1pol

(traduzione di Anita Silviano)

Che cos'è il Patriarcato?  Dolors Reguant Fosas Barcelona 2007 (traduzione di Anita Silviano)

http://liadiperi.blogspot.it/2012/03/che-cose-il-patriarcato.html

Che cos'è il Patriarcato?

Il Patriarcato è una forma di organizzazione politica, economica,religiosa e sociale basata sul concetto di autorità e leadership del maschile, nella quale si ha il predominio degli uomini sulle donne, del marito sulla moglie,del padre sulla madre e sui figli e figlie e della discendenza paterna su quella materna. Il Patriarcato è nato dall'insediamento del potere storico da parte degli uomini, i quali si sono appropriati della sessualità e riproduzione delle donne e del suo prodotto, i figli e le figlie, creando allo stesso tempo un ordine simbolico mediante i miti e la religione che lo hanno perpetuato come unica struttura possibile. Il Patriarcato è il costrutto primario sul quale poggia l'intera società attuale.

L'ordine patriarcale crea un'impostura fondata sul principio dell'Assoluto Maschile (Unico, Solo) che esclude le donne. Per questo  ciò che è stato riportato, scritto e interpretato  nel passato del genero umano è solo un'annotazione parziale, che ha omesso la metà dell'umanità. Anche le donne hanno "fatto la storia", quantunque non ci sia alcuna traccia di essa, al di là di quello che attualmente le donne hanno riscattato. Le donne sono state sistematicamente escluse dal compito di elaborare sistemi di simboli, filosofie scienze e diritto.

Va sottolineato che attualmente esistono diversi gradi di oppressione patriarcale sostanzialmente differenti a seconda dell'evoluzione e sviluppo di ciascuna società nella storia, che trovano parallelismo nella maggiore o minore accettazione e rispetto della " Dichiarazione dei Diritti Umani" approvata e proclamata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre del 1948.

 Nelle analisi sul Patriarcato esistono quattro caratteristihe importanti da rilevare:

1 - Il Patriarcato non è SCRITTO nelle nostre società.

Essendo una istituzione iscritta ma non SCRITTA così come lo sono il Codice di Hammurabi, i Dieci Comandamenti, il Corano o le Costituzioni dei paesi moderni, esso non prevale nella memoria collettiva universale. In altre parole, la sua esistenza è invisibile e, pertanto,si inibisce alla memoria e al lavoro educativo.

In questo modo la parola e il concetto " Patriarcato" è escluso dal linguaggio comune. Quasi mai affiora sulla bocca di filosofi, politici, ecc., proprio perché non fa parte della convenzione.

Il Femminismo è l'antitesi del Patriarcato, ma non è il contrario dell'Androcentrismo, anche se il concetto è ampiamente diffuso.

Il Femminismo è un movimento sociale e politico differente dal progetto patriarcale, e cerca un cambiamento del paradigma globale con alternative di sviluppo umano e di libertà tanto per le donne che per gli uomini. E' evidente che sia in questo secolo come negli ultimi decenni del secolo scorso è stata una delle tra le più grandi rivoluzioni di tutti i tempi,socialmente, politicamente e culturalmente. Oltre ad essere stata l'unica che si è prodotta in modo incruento.

 2 - La mascolinità è EGEMONICA o Oggettivazione del dominio maschile

L'universalizzazione dell"io" maschile è uno dei fondamenti del dominio patriarcale. La sua mascolinità egemonica afferma la sua oggettività.

L'uomo si presenta come un termine neutro, oggettivo, soggetto universale, fagocitando la donna. Nel processo di formazione di questo ordine, l'uomo ha creato un mondo a sua immagine, che genera a sua volta, la patologia sia dell'"uno" come dell'"altro" polo della differenza sessuale. Questa svalutazione simbolica delle donne in relazione all'"Altro" è diventata una delle metafore fondamentali della maggior parte delle civiltà del mondo. Il concetto di virilità e di lignaggiosi si collega al concetto di "Onore" versus " Verginità nella donna". La maggior parte dei crimini contro le donne hanno questa origine.

Un problema attuale e universale come l'abuso sulle donne e i crimini di "onore" non si risolveranno definitivamente senza estirpare prima la radice del nucleo che li genera. Tutto ciò senza disprezzare le politiche preventive e l'applicazione delle leggi che su queso tema sono in corso e sono necessarie.

Attraverso le " sopravvivenze culturali" questa sottomissione delle donne si vede come naturale e ri-torna quindi invisibile. Questa naturalizzazione è stata istituzionalizzata e normativizzata.

La violenza simbolica e strutturale che si trasmette nella società patriarcale come "inavvertito culturale" o " inconscio collettivo" attraverso la Filosofia, i Miti, le Religioni, la Scienza serve a legittimare la presenza universalmente riconosciuta delle sue strutture sociali, produttive e ri-produttive fondate sulla divisione sessuale. La somma totale di norme e valori che dominano in una data società integrate nelle sue istituzioni, si traduce nelle relazioni umane.

3 - Si UNIVERSALIZZA il nucleo primario della relazione gerarchica.

Il Dis-ordine nella prima gerarchia uomo-donna genera il nucleo delle altre patologie sociali. La classificazione tra " superiore" e "inferiore" tradotta in "uomo" e "donna" si estende mimeticamente ad altri gruppi basandosi sulla differenza gerarchizzata dell'"uno" contro l'"altro".

La prima discriminazione è pertanto la matrice che permette le altre discriminazioni e, a sua volta, in tutte queste si ri-trova la prima. Infatti, in ogni classe o gruppo antagonista,la donna è oppressa dall'uomo.

La sua azione predatoria fa sì che l'ordine patriarcale si ramifichi oltre l'indicibile.

Essendo il Patriarcato , una società Agonistica (di lotta e competitività) la sua ricerca è diretta verso un'egemonia di ordine piramidale. 

4 - Il Patriarcato  NON E' INAMOVIBILE

Il Patriarcato giace inscritto nella civiltà umana da migliaia di anni. Si è avuto  prima della formazione della proprietà privata e della società di classe. Nasce a partire da un'epoca determinata, dopo le società anteriori chiamate da alcuni storici "matriarcali" che non erano il contrario del patriarcato, anche se del loro studio non ci se ne occupa in questo momento, ci dobbiamo riferire ad esse per contrastare l'idea di un patriarcato astorico,invisibile,eterno, immutabile e, pertanto, inamovibile. Il Patriarcato essendo una convenzione culturale e sociale è soggetto a revisione, riforma o sostituzione con altro costrutto culturale e sociale.

Se vogliamo cambiare e sostituire questo Ordine Patriarcale e tirare fuori dall'invisibilità la logica del dominio che assimila sia il dominatore che il dominato è necessario fare due passi importanti: Nominarlo/Riconoscerlo secondo la sua Esegesi, che in pratica consentirebbe:

1) l'accettazione della sua esistenza/ passando dall'essere INSCRITTO a SCRITTO;

 2) La  SPIEGAZIONE e divulgazione per la sua eliminazione ( aggiunta al testo dell'autora)

Mujer del mediterraneo

Fonte: Breve spiegazione del Patriarcato

(traduzione di Lia Di Peri)

http://www.proyectopatriarcado.com/docs/Sintesis-Patriarcado-es.pdf

http://mujerdelmediterraneo.blogspot.it/2012/03/que-es-el-patriarcado.html

 

 Rosa Casano Del Puglia il giorno Giovedì 2 agosto 2012 alle ore 21.23 ·
 
  DAL  MATRIARCATO  AL  PATRIARCATO : VIAGGIO ATTRAVERSO IL MITO E IL TEATRO TRAGICO GRECO.

Fin dal Paleolitico, l’insopprimibile  esigenza umana di ricercare un “Principio” , che desse ragione del mondo ,  del mistero della vita... ebbe come esito la creazione di un archetipo  "femminino" , una divinita’ onnipotente, onnisciente che crea da se stessa, una Grande Madre , dea senza volto simbolo della terra,   della fertilita’ della donna e dei campi , dell’eterna palingenesi del ciclo delle stagioni.

Raffigurata con simboli radicati profondamente nell’inconscio collettivo , la Grande Madre  ha ispirato la realizzazione di  numerosissimi manufatti : " le Veneri del Paleolitico", rinvenute in tutta Europa,  preziose testimonianze di un passato dell’umanita’ inconcepibilmente remoto. La dea  e’ raffigurata quasi sempre  gravida, i  tratti iconografici  ne enfatizzano gli attributi sessuali,  a volere sottolineare quel potere che solo a lei appartiene :  dare la vita.

Probabilmente il culto della Grande Madre  nacque in societa’ che sentivano un mistico senso di appartenenza alla natura, e dove mentre gli uomini si dedicavano alla caccia, le donne raccoglievano frutti ,radici ,piante commestibili per sfamare la comunita’ , acquisendo con l’esperienza  una serie di conoscenze su luoghi ,tempi e modalita’ di crescita di alcune piante ( il riso ,il grano) sui  loro poteri curativi o velenosi, tramandando cosi' da  madre in figlia quelle conoscenze  che  poi diventarono  patrimonio comune del gruppo.

 A partire dal Paleolitico tutti i popoli mediterranei hanno  lasciato tracce del culto della Grande Madre ,  considerata , nell’arco di questi millenni, partenogenica, capace di generare la vita da se stessa. La Grande Madre  e’ Signora dello spazio nella sua totalita’  cielo –terra –acque (il dio maschile proprio delle societa’ patriarcali sara’ solo Signore del Cielo), e Signora del Tempo, presiede  infatti , al ciclo della nascita – vita – morte –rinascita ,   Tessitrice , quindi, della vita vegetale ed umana . (Ancora oggi chiamiamo “tessuti” una parte fondamentale del corpo umano. Omero  chiama le dee greche de fato “klotes” vale a dire filatrici.) Piu’ tardi ,nel Neolitico, con la scoperta  fondamentale dell’apporto maschile nella creazione della vita si assiste ad una rivoluzione epocale ,testimoniata dalla comparsa del dio della vegetazione:”  il paredro “ della grande dea ,dio maschile  che nasce e muore annualmente. Siamo attorno al  V millennio , in quest’epoca  si comincia  a celebrare con veri e propri riti la nascita e la morte umana e vegetale. Proprio nei  Misteri eleusini , sicuramente  il culto misterico piu’ affascinante dell’antichita’, attestato nelle fonti del  VII secolo ,ma la cui fondazione si puo’ fare risalire al XV sec , al periodo minoico –miceneo, il “paredro, quel dio maschile, spirito della vegetazione e dio stagionale  era destinato ad essere sacrificato, per cedere il posto , l’anno successivo, ad un dio piu’ giovane.  

   Dunque col passare dei millenni ,in eta’ neolitica,la Grande Madre si trasforma , si accompagna  al suo “paredro” e   assume  valenze simboliche nuove, adattandosi  alle esigenze dei gruppi umani divenuti ormai stanziali. Ora, La troviamo rappresentata o come le precedenti Veneri paleolitiche , o piu’ spesso  con  tratti iconografici nuovi e nuove valenze simboliche, e’ Signora degli animali,  ,delle tenebre ,della luce, del giorno,  dei leoni etc. In Asia Minore e’ Potnia Theron”(nell’Iliade , Artemide viene chiamata Signora delle belve, XXI , vv .470 ss),   in Frigia e’ Cybele , per gli Etruschi  era Uni  etc.. Nel Mediterraneo e’  soprattutto la civilta’ cretese a mostrare un legame strettissimo tra la dea e la terra ; Creta ,infatti , gia’ nel VII millennio, era abitata  da agricoltori che, anche se usavano ancora aratri di pietra, conoscevano  la coltura dei cereali ,introdotta, piu’ tardi, nel resto della Grecia da Demetra, dea delle messi  figlia della cretese Rhea.

Ma qual e’ il significato del   compagno stagionale della Grande Madre il “paredro”?  Il termine paredro significa “che siede accanto”; nell’antica Grecia , indicava il coadiutore degli arconti. Nella  dimensione religiosa  l’ abbiamo ritrovato come un dio minore destinato al sacrifico, ma quello che piu’ interessa,in questa sede, e’ il paradigma sociologico  e sotto questo profilo , illustri studiosi quali  Bachofen, Neumann, Schreiber ed altri ancora  concordano nel ravvisare  nel binomio Grande Madre – Paredro  quel lungo  periodo della storia dell’umanita’ ,durante  il quale  si  verificano i primi scontri, che col passare dei millenni  e con le invasioni  di popoli indoeuropei, segnarono la fine delle societa’ matrilineari.

 Bachofen , storico svizzero,  analizzando le culture tribali ginecocratiche e diversi miti greci ha formulato l’ipotesi che un momento reale della storia dell’Occidente ,identificabile nel Paleolitico, sarebbe stato caratterizzato  da un’organizzazione sociale matriarcale, nell’ambito della quale alle donne sarebbe spettato il potere familiare ,politico e religioso.  (SEGUE) 

 

PS. 1) "Potnia = Venerabile Signora

       2) E' probabile che la figura del "paredro" sia comparsa verso la fine del Paleolitico.

parte seconda

Questa tesi, condivisa tra l’altro da autorevoli storici ed archeologi ,ha trovato conferme oltre che in numerosi rinvenimenti archeologici ,nella lettura ,in chiave sociologica ,dei miti e del teatro tragico greco.I miti non possono in alcun modo essere riconducibili ad un mondo fantastico, essendo, per certi versi storia ,nel senso che rappresentano il patrimonio di valori ,le idee che i nostri lontani antenati avevano del loro passato; “i miti sono un adombramento della storia”, scriveva G.B.Vico.

Stando a queste fonti dirette e indirette ,pare che la frattura tra matriarcato e patriarcato vada ricercata tra il 3500 e il 2500 e sia stata causata da massicce invasioni di popoli indoeuropei giunti dall’est,in seguito alle quali le societa’ matriarcali, tipiche delle societa’ agricole, furono soppiantate da una cultura di tipo maschile basata sulla guerra , sulla caccia e su un’economia predatoria. La cultura indoeuropea,gia’ nel V millennio ,nella zona del Volga presentava la fisionomia di una societa’ patriarcale, fatta di guerrieri e interessata piu’ alla caccia e alla guerra come attivita’ economica di predazione che all’agricoltura. Nel II millennio quella cultura dilago’ nell’Europa danubiana , nel vicino oriente , nell’area dell’Egeo. Parti, Medi, Achei, Persiani, Dori adoravano dei maschi violenti e litigiosi, la Grande Dea fu soppiantata da un dio maschile rimanendo come sua consorte o molto piu’ spesso assumendo i caratteri negativi delle Furie, delle Arpie, delle Meduse. Nella penisola ellenica , quel massiccio movimento migratorio avverra’ tra il 2000 e il 1000 a.C., quelle genti indicate come indoeuropei o Indoarii sconvolgeranno gli insediamenti millenari e cancelleranno ,almeno in superficie, civilta’ antichissime.

Alle migrazioni dei popoli indoeuropei, bisogna aggiungere che con l’avvento dell’agricoltura praticata dagli uomini,il ruolo della donna si restringe sempre piu’ cosi’ col tempo la troveremo impegnata solo nell’ambiente domestico, nella cura dei figli. Sicuramente l’incremento della popolazione ebbe un peso notevole , conducendo ad una piu’ consistente domanda di generi alimentari e alla conseguente necessita’ di coltivare campi anche lontani dai villaggi ,difficilmente raggiungibili dalle donne impegnate nella gestione della famiglia o del gruppo; cos' le donne furono costrette a cedere all'uomo la gestione delle attivita' produttive, fu questo un primo passo verso la loro millenaria sottomissione.

Il passaggio dalle societa’ ginecocratiche a quelle fallocratiche si svolse in un lungo arco di tempo e non fu privo di momenti drammatici e di autentici scontri armati. Tracce di queste lotte di potere si riscontrano nei miti delle Amazzoni, nelle Argonautiche di Apollonio Rodio, nel teatro di Eschilo e in altre fonti ancora.

 

LE AMAZZONI

Nelle antiche fonti greche le Amazzoni sono donne guerriere, guidate da una regina,la loro patria di origine si sarebbe trovata sulla costa meridionale del mar Nero. Si trattava di una societa’ matriarcale dalla quale gli uomini erano esclusi o secondo altre fonti costretti a vivere in schiavitu’, e nella quale tutte le attivita’ principali erano riservate alle donne che governavano lo stato,maneggiavano le armi,combattevano a piedi o a cavallo con lance, archi, spade per difendere il loro territorio. Si legge ancora, che ogni anno le donne in primavera andavano nei paesi vicini per farsi ingravidare. Secondo un’altra versione del mito, si trattava di donne Sciite ,che avevano ucciso o cacciato i loro uomini dai quali erano maltrattate. In verita’ tante sono i miti che hanno come protagoniste le Amazzoni ,piu’ significativo al nostro scopo e’ quello che tratta della nona fatica di Ercole, questi si sarebbe recato in Scizia per impadronirsi della cintura della regina delle Amazzoni, Ippolita, e portarla ad Argo per regalarla ad Era. In questa spedizione l’eroe greco, accompagnato da Teseo, avrebbe rapito una principessa amazzone : Antiope della quale si era innamorato. Per vendicare il rapimento le Amazzoni marciarono contro Atene , qui si scateno’ una grande battaglia, le Amazzoni furono sconfitte e costrette a ritirarsi su una collina, che fu poi chiamata Aeropago (la collina di Ares). La vittoria di Teseo ,nell’antica Grecia ,veniva celebrata dalla propaganda patriottica come la prima volta in cui gli ateniesi avevano respinto gli stranieri. Secondo alcuni interpreti del mito ,le Amazzoni sono la precisa traccia di uno stato sociale e religioso pre – ellenico, contemporaneo all’epoca nella quale il culto della grande Dea , nella Russia meridionale ed in Anatolia, si era sviluppato come matriarcato, con aspetti precisi di tipo militare e politico. Le Amazzoni sarebbero pertanto fedelissime guardie del corpo della Grande Madre anatolica.

parte terza

LE ARGONAUTICHE - LA” COUVADE”

Nelle Argonautiche ,Apollonio Rodio riferisce un’usanza dei Tibareni, popolo conosciuto dagli Argonauti durante il loro viaggio in Colchide. La strana consuetudine consisteva nel simulare la maternita' attraverso la “couvade” : gli uomini fingevano di essere madri, simulando le doglie del parto ; la finalita’ era quella di impadronirsi del potere attraverso la maternita’ , che in ultima analisi aveva portato ad una divinizzazione della donna adombrata nel culto della Grande Dea Madre. Ecco cosa scrive A. Rodio :” Qui ,quando le donne partoriscono figli ai mariti / sono essi, i mariti, che si mettono a letto e che gemono,/ con il capo bendato, e le donne provvedono al cibo/per loro e preparano i bagni rituali del parto” (Arg, vv 1011 -1014)

Secondo lo storico Bachofen , presso i Tibareni, a prevalere sarebbero stati gli uomini che avrebbero impostoi nuove regole ,fondate sul principio della paternita’: sulla natura prevale la lo spirito, sulla terra il cielo, sulla luna il sole, sulla notte il giorno. Tutto questo portera’ al superamento dell’accettazione passiva delle leggi della natura, al rispetto delle leggi umane, al predominio del pensiero razionale, all’obbedienza al principio d’autorita’. Non e’ un passaggio breve ne’ indolore ,i miti lo riportano come un contrasto tra il principio paterno e quello materno, la vittoria del primo e’ chiarissima nel teatro tragico greco, in particolare nella trilogia di Eschilo :L’Orestea.

parte quarta

LA GENESI DEL TEATRO TRAGICO GRECO

L’origine  della tragedia  greca  e’ una questione ancora oggi dibattuta, alcuni studiosi sostengono che il teatro tragico greco ,le cui prime  rappresentazioni risalgono al 535 / 533 a.C. ,sia  stato  fin dall’inizio strettamente connesso al culto di Dioniso, le cui solennita’ ricorrevano 3 volte l’anno ,in periodo invernale.Sicuramente si trattava   di rituali propri  di una civilta’ essenzialmente  agricola, che considerava Dioniso patrono della fertilita’ dei campi. Ma Dioniso ,questo dio , che abita ancora le nostre coscienze,  era anche il dio delle orge, dei misteri, insomma  un dio che simboleggiava  uno spazio psicologico ,etico, sociale,religioso , luogo di “coincidentia oppositorum”, di conflittualita’ irriducibile e  lacerante da cui avrebbe tratto origine il teatro tragico greco.

Creazione  massima del genio attico ,la tragedia era una rappresentazione della realta’  in tutti i suoi aspetti, da qui la necessita’  di leggerla calandola nel suo tempo e di recuperare    anche  quella dimensione  mitologica che, in tempi ancor piu’ remoti ,abitava l’immaginario collettivo e a cui  spesso gli autori attingono prescindendo dalla loro stessa intenzionalita’. Perche’ in fondo la tragedia greca rispecchia   in chiave mitologica i problemi relativi alla societa’ pre – ellenica.

Della funzione catartica della tragedia  si era gia’ occupato Aristotele, ma dovremo aspettare il 1871 ,  anno che vede la pubblicazione  dell’opera di Nietzsche :”La nascita della tragedia”, perche’ si aprano nuovi orizzonti  relativi alla genesi del teatro tragico greco. Il filosofo tedesco opera infatti,una distinzione tra  spirito apollineo e spirito dionisiaco,il primo proprio del sogno   si traduce in immagini di compostezza e si  esprime nelle arti figurative, il secondo proprio dell’ebbrezza attiene  alle pulsioni sotterranee dell’inconscio ,si esprime nella musica. Il senso del tragico scaturisce , per Nietzsche,  da questa conflittualita’ irriducibile,lacerante  presente  in tutti gli aspetti  della vita e delle vicende rappresentate nel teatro greco. Cosi’  il mito di Dioniso, il dio dal doppio volto ,il dio della “coincidentia oppositorum” costituira’  il punto di partenza  per un dibattito tra umano e divino,  tra androcrazia e ruolo della donna, tra leggi della natura e leggi della polis, mondo aristocratico  e civilta’ borghese   in sostanza tra una serie infinita di antinomie  grazie  alle quali  la coscienza tragica  dal mondo rarefatto delle saghe eroiche   si cala nella realta’ concreta del presente.

Altre tesi ,elaborate di recente contestano  la genesi dionisiaca del teatro tragico greco ,fondando la loro analisi sul significato del termine “tragedia” che  vorrebbe dire “canto del capro “ o “canto per il capro”  alludendo  o alle maschere  caprine che indossavano i coreuti  o al fatto che il capro sarebbe stato  un premio  nelle gare sonore  o la vittima di un sacrifico.

Qualche altra  informazione, in merito alla nascita della tragedia greca , ci perviene  da Erodoto il quale scrive che  Clistene , nemico degli abitanti di Argo avrebbe voluto  eliminare dalla sua citta’ il culto di Adrasto eroe  argivo,  onorato  con cori tragici riferentesi alle sue dolorose vicende.  Erodoto racconta della vittoria di Clistene  e della abolizione  del culto di Adrasto . Pare che le vicende dolorose di Adrasto si adattassero bene al contenuto luttuoso della tragedia, che in questo modo attingerebbe non al culto di Dioniso ma a quello  dell’antico epos  eroico ,insomma Dioniso sarebbe un intruso ,il vero protagonista del dramma tragico sarebbe un eroe. Ma quale eroe?  (SEGUE)

parte quinta

 TEATRO TRAGICO GRECO -LA TESI DEGLI ANTROPOLOGI -

Il noto antropologo J.G. Frazer , nel suo “Ramo d’oro”  ,scrive di popolazioni primitive nella cui religiosita’ aveva un peso notevole il culto degli antenati e degli eroi , culto che e’ presente anche in Grecia ,tant’e’ che nelle tragedie greche i coreuti erano soliti evocare il “tragos” cioe’ lo spirito di un eroe defunto.

E ancora in Grecia ,come in tutte le altre comunita’ agricole ,i cicli delle stagioni  si aprivano e chiudevano con rituali religiosi che avevano come protagonista il “Re Sacro”o dio del grano, che provvedeva alla fertilita’ della terra e degli armenti e che veniva  sacrificato annualmente  o quando le sue energie venivano meno. Lo si ritrova sempre associato a una dea ,sotto cui si cela  l’antichissima  divinita’ mediterranea la Grande Madre, rispetto alla quale  il dio del grano viveva in posizione subalterna . E’ chiaro ,a questo punto,  che dietro il dio del grano o Dioniso o Adrasto si cela una divinita’ ancora  piu’ antica :il “Paredro” della Grande Dea  ,destinato a morire. Lo spirito tragico del teatro greco, deriverebbe, secondo la scuola antropologica dal dissidio tra religiosita’ mediterranea ,che rimanda ad una societa’                               agricola matriarcale  e religiosita’ olimpica importata dagli Indoeuropei, di tipo patriarcale  che identificava  il suo dio supremo col “Padre del cielo luminoso”. Uno scontro di civilta’ sarebbe dunque alla base della nascita della tragedia greca. 

parte sesta

DAL MATRIARCATO AL PATRIARCATO -VIAGGIO ATTRAVERSO I MITI E IL TEATRO TRAGICO GRECO - pubblicata da Rosa Casano Del Puglia il giorno Mercoledì 15 agosto 2012 

Pare che il momento di frattura tra societa’ le societa’ ginecocratiche e quelle fallocratiche , conseguente alle migrazioni di popoli indoeuropei, si collochi tra il 3500 e il 2500 a.C.

Il primo documento giuridico nel quale si trova istituzionalizzata l’inferiorita’ della condizione femminile e’ un atto legislativo del re Urukagina 2352 /2342 a.C. circa, nel quale il sovrano, volendo riportare sulla terra l’ordine voluto dagli dei, vieta alle vedove di risposarsi e prevede che le donne irrispettose o disobbedienti nei confronti degli uomini siano sfigurate.

Altro documento, databile tra il 1796 e il 1750 a. C., proveniente dalla Mesopotamia, e’ il Codice di Hammurabi, composto da 282 leggi di cui 75 riguardano il matrimonio ,la posizione e gli obblighi sessuali delle donne . Questo scritto sara’ la base di partenza per la legge ebraica che arrivera’ a sancire la completa proprieta’ della donna da parte dell’uomo.

Al 1205 circa, risale un documento di Gueda Lagash, dove si legge che le donne, se provenienti da famiglie povere, possono essere avviate alla prostituzione commerciale per saldare i debiti della famiglia, , se provenienti da famiglie nobili sono considerate merce di scambio per alleanze e matrimoni. In breve le donne diventano strumenti di cui la famiglia dispone a pieno titolo e i loro servizi sessuali parte fondamentale delle loro prestazioni lavorative.

TRILOGIA DI ESCHILO – EXCURSUS -

Ripercorriamo le tappe che portarono dalla ginecocrazia alla fallocrazia ,attraverso la trilogia di Eschilo :Orestea . L’opera si compone di tre tragedie :Agamennone, Coefore, Eumenidi . In ogni tragedia ,Eschilo affronta ,in chiave mitologica, un determinato momento di quell’iter che portera’ alla societa’ patriarcale , cosi’ nell’Agamennone ritroviamo i riti propri del matriarcato, ,nelle Coefore il drammatico momento di scontro tra le due civilta’ , nelle Eumenidi il trionfo della societa’ patriarcale.

L’AGAMENNONE - L’ INTRECCIO -

“Clitemnestra ,sposa di Agamennone ,in assenza di costui ,impegnato nella guerra di Troia , ha governato il paese come un re ,si e’ scelta un compagno Egisto ,col quale complotta di uccidere ,al suo ritorno, Agamennone . Ritornato quest’ultimo ,porta con se’ la profetessa Cassandra che gli predice il suo assassinio del re per mano della moglie; infatti Agamennone sara’ ucciso da Clitemnestra con un colpo di ascia”.

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A Creta ,prima dell’irruzione dei Micenei ,che importarono dei guerrieri, era profondamente radicato il culto della Grande Madre, la Potnia Theron , che ,a differenza della Grande Madre anatolica piu’ che Signora della vegetazione , era vissuta come Signora degli animali, la si ritrova spesso accompagnata dal suo paredro :il Signore dei tori. ; a Creta , simboli sacri dell’antica madre come corna taurine , doppie asce

Sono stati rinvenuti nei fregi e nelle decorazioni dei palazzi.

M. Understeiner ritiene di poter identificare in Clitemnestra la Potnia , mentre in Agamennone la figura del paredro destinato a morire. A conferma di questa ipotesi e’ il fatto che l’assassinio del re avviene con la sacra “labrys” e si consuma nella vasca da bagno ,riferimento ai riti di purificazione che precedevano la morte della vittima .Il toro e’ la vittima sacrificale per eccellenza, in esso si potrebbe incarnare la figura del paredro . A conferma di questa ipotesi , sono i versi che Eschilo mette in bocca a Cassandra, mentre fa la profezia : “ Ahi ,ahi Dalla vacca/ allontana il toro / fra i pepli lo afferra , con l’arnese dalle corna nere /colpisce (vv 125/128) Il toro e’ Agamennone , la vacca e’ Clitemnestra che sta per colpirlo con le corna ,ovvero il “labrys” piu’ volte raffigurato come l’attributo della dea cretese:la minoica Potnia ,dominatrice del mondo animale e quindi del suo paredro maschio ,il signore dei tori . Il sacrificio del dio- toro –Agamennone rientra nelle categorie delle morti rituali del dio della vegetazione , ed esprime il conflitto tra mondo pre – ellenico che sta scomparendo e mondo indoeuropeo impersonato da Oreste (nella seconda tragedia della trilogia). E’ significativo anche che Cassandra ,nel delirio che precede la sua morte, veda uccidere non il re ma un toro, vittima per eccellenza del sacrifico.

 

 

Corano, Femminismo e Manipolazione Patriarcale

di Nasreen Amina

 

Sono mussulmana, perché sono femminista. Dopo tre anni di studi dell'Islam, di ricerca sull'ermeneutica e l'esegesi del Corano,posso affermare in tutta tranquillità che le sole idee come religione misogina e radicata in un machismo vendicativo nei confronti delle donne, provengono da due fonti extra-coraniche: l'ignoranza della gente e gli sforzi del patriarcato per assicurare la sua egemonia dentro le nostre comunità. L'Islam è l'unica religione che stabilisce espressamente la parità tra uomo e donna e regola norme di convivenza con persone di altre religioni. Tuttavia l'Islam è stato oggetto di manipolazione da parte di quei potenti alleati con i veri nemici dell'uguaglianza. Ad una parte del mondo conviene una immagine dell'Islam come nemico per antonomasia dei diritti umani e come principale oppressore delle donne; questa idea può essere usata per  giustificare così,invasioni, occupazionie l'esportazione dell'ideologia  " Democrazia-cerca-petrolio" che non ha portato né sviluppo, né pace né più rispetto dei diritti umani, né tantomeno ha migliorato la situazione delle donne mussulmane.

 

D'altra parte  a certi potenti mussulmani conviene questa idea dell'Islam, perché così mantengono il loro  business del petrolio, che a sua volta, alimenta le guerre e gli permette la supremazia politica, ideologica e finanziaria nel mondo islamico. La sfrontatezza con la quale si manipola l'Islam nei confronti del suo messaggio è avvolta da uno strato di petrolio e fondata su accordi geo-politici.

Non c'è alcuna contraddizione tra Islam e femminismo. Può essere contraria al femminismo una religione che stabilisce l'uguaglianza tra i membri dell'umanità come base fondamentale della convivenza sociale? Può essere in contrasto con l'Islam una prospettiva a favore della Giustizia Sociale di Genere?  Credo di no, assolutamente no. Questa idea è un trucco del patriarcato in cui cadono, purtroppo, molte donne, con l'unico risultato che alcune escludono altre e promuovono la diffidenza nei confronti di quelle che sono diverse.

Di seguito mostro alcuni miti sull'Islam,la verità del Corano e l'insegnamento su di essi. Mi baso per questo di un articolo sul tema, al quale ho aggiunto le mie considerazioni.

 

1. Islam come una religione intollerante.

Il Corano dice che " nessuno ha il diritto di imporre agli altri le asserzioni di fede. Inoltre, la stessa citazione coranica  stabilisce che il Profeta durante la sua missione condannò un mussulmano per avere ucciso un cristiano ed esiste un hadith (detto del Profeta),che afferma " il mussulmano che si comporta male nei confronti di un non-mussulmano non odorerà il paradiso". L'islam infatti dice che " uccidere un essere umano è come uccidere tutta l'umanità".La violenza e l'intolleranza non fanno parte della nostra etica. L'unica volta in cui un mussulmano è autorizzato a rispondere alla violenza è per legittima difesa e per causa manifesta. Tutti coloro che non la pensano come noi non sono nemici, quindi, tutti gli atti di violenza, provocazione e il terrorismo, sono fuori dalla nostra fede.

 

2. La jihad o yihad,e la guerra santa

Il termine Jihad in arabo significa sforzo. Il Profeta chiese ai suoi compagni un patto con il quale essi si impegnavano a fare jihad, cioè lo sforzo di resistere alle aggressioni sia morali che fisiche.  Il Corano parla di jihad sempre in questo senso, non ha nessun legame con la Guerra.La jihad è una lotta interiore contro gli aspetti del nostro essere che ci impediscono di vivere pienamente e in armonia con il resto della creazione. Purtroppo, questo concetto è stato manipolato per strumentalizzare la rabbia e il risentimento degli strati più poveri ed emarginati delle popolazioni mussulmane, per fargli credere che sono gli altri e non i propri governanti i colpevoli della loro miseria e, pertanto, l'unica soluzione giusta per uscirne è la violenza " per la causa di Allah", morendo in nome  del fondamentalismo religioso, per andare in Paradiso, dove troverà il cibo che non hanno nella vita reale.

 

3. Il velo e il burqa.

Il velo appare solo una volta nel Corano come raccomandazione all'interno del  comportamento della decenza. Ma questa raccomandazione serve allo stesso tempo,sia per gli uomini che per le donne. Il problema risiede nella sua interpretazione maschilista, imponendo che il velo è un principio fondamentale per una "buona" moglie mussulmana, quando invece il Corano non specifica nulla in merito. Gli uomini e le donne devono essere liberi di utilizzarlo o no,  ed è per questo che  anche la proibizione del velo è contro il diritto di decidere sul corpo.

Essere donna musulmana va al di là di un pezzo di stoffa.

Il concetto di hijab è più che  il velo islamico. Riguarda la modestia nel comportamento, il rispetto della vita privata, e con il tenere un atteggiamento dignitoso in ogni momento. Il velo è solo un modo di esteriorizzare un elemento dell'identità della donna mussulmana; non ha il potere magico di proteggerla contro le cattive intenzioni delle persone - come dicono alcuni - né di trasformarla automaticamente in una persona pia -  come sostengono altri. Solamente il patriarcato piò creare queste cose e si dedica a promuoverle con lo stesso entusiamo - che vorrei -  usasse per porre fine a pratiche che non sono islamiche, anche se vengono identificate con l'Islam, come le mutilazioni genitali femminili e il matrimonio forzato delle bambine.

Per quanto riguarda il burqa, è una tradizione che esisteva prima dell'arrivo dell'Islam, e quindi ha nulla a che fare con la religione. Nessun testo del Corano parla sull'uso del burqa. Infatti, per l'algerina Wassyla Tamazli, la sua origine non è che un simbolo di dominazione e di privazione della libertà delle donne.

 

 4. Islam e violenza contro le donne

 

Il 17 marzo 2012, centinaia di donne sono scese per le strade di Rabat per denunciare la legge che obbliga le minori a sposare il loro stupratore. La settimana prima, Amina, di 17 anni, si suicidò  per essere stata costretta a sposare un uomo che l'aveva violentata.I suoi genitori preferivano questo matrimonio, ad avere una figlia disonorata. . Il Corano condanna lo stupro e lo stupratore, tuttavia, il marito di Amina è libero e senza nessuna  accusa. Questo a causa di una legge che colpevolizza la vittima e lascia in libertà lo stupratore.

In Spagna ha suscitato molto clamore il caso dell'imam di Fuengirola, che dalla moschea autorizzava a picchiare le donne con stracci bagnati per non lasciare segni.Queste azioni, seppur realizzate in nome dell'Islam non hanno nulla a che vedere con l'Islam. Secondo il Corano, le ultime parole del Profeta prima di morire furono : trattare bene le donne", promuovere l'uguaglianza tra donne ed uomini, il rispetto e la tolleranza. Nulla a che vedere con la religione elaborata dal Corano che, viceversa, condanna la violenza contro le donne e questo tipo di azioni.

Ma c'è di più. Il sonetto ayat (versetto) 04:34 dove secondo alcuni si ordina di battere le donne è la conseguenza di una cattiva traduzione dell'arabo. La parola araba usata nell'originale è Daraba, un verbo polisemico  con oltre 300 significati; solamente uno di questi è picchiare. Dall'esegesi dell'ayat in particolare e della sua comparazione con l'uso della parola Daraba in altre ayat del Corano, con lo spirito generale dello stesso e con l'esempio di vita del Profeta Muhammad, la logica conclusione è che mai il significato possa essere "picchiatele".

Piuttosto ciò che sembra suggerire il Corano è che se come conseguenza del disaccordo coniugale non c'è possibilità di comprensione è possibile " dare una impressione". E che tipo di impressione? L'esempio del Profeta è la guida per l'interpretazione. Davanti ad un momento di grave disaccordo con le sue spose egli si ritirò a meditare lontano da esse, senza visitarle, parlarle, né cercarle e in questo modo ha dato  ad esse modo di riflettere. Se anche i problemi continuano il Corano dà la possibilità di divorziare, quindi, la violenza non è mai la soluzione accettabile. Lo scorso febbraio, 34 imam insieme a diversi leader islamici legati al Supremo Consiglio Islamico del Canada hanno emesso una fatwa dove si spiegava che la violenza contro le donne è contro i principi islamici:" Ricordare ai mussulmani che i delitti d'onore, la violenza domestica e l'odio contro le donne sono atti non mussulmani, che sono considerati dall'Islam come crimini [...]Questi crimini sono grandi peccati all'interno dell'Islam e  vengono censurati dai tribunali e da Allah l'Onnipotente. "

 

5. La poligamia

I versetti 3 e 129 della sura quarto del Corano, An-Nisa, danno all'uomo la possibilità di sposare le orfani e le vedove per proteggere i loro interessi e proprietà con giustizia.

Questo frammento è stato rivelato dopo la battaglia di Uhud, quando secondo il Corano, molti compagni del Profeta furono martirizzati. Così, la poligamia ha senso in questo caso, perché promuove lo spirito di giustizia e protezione. Ma non in tutti i casi, in quanto il Corano afferma anche  che si può avere più di una moglie, ma solamente se si trattano in modo euguale. Qualcosa che è raro che avvenga. Allo stesso modo,  il Corano afferma (al-Ahsad: 4):" Dio non ha dato a nessun uomo due cuori in un solo corpo". il Profeta si riferisce al fatto che un uomo non può amare due donne in modo euguale, dimostrando così che per il Corano, la poligamia non sempre è giusta visto che non offre uguaglianza a tutte le spose. In conclusione, la poligamia potrebbe essere accettata solamente nel caso che le donne fossero orfane o vedove dovendo proteggerle e salvaguardare i loro interessi e la giustizia sociale.

 

6. Sesso e Omosessualità

Il Corano dice che  sia gli uomini che le donne hanno il diritto alla soddisfazione sessuale.  In tema di omosessualità ci  sono molte idee diverse.  La società sessista e patriarcale ha sempre detto che l'omosessualità è vietata dall'Islam e alludono alla storia di Sodoma, come dimostrazione che Dio non approva l'omosessualità. Ma  vi sono altri studiosi musulmani che credono che l'Islam e l'omosessualità siano perfettamente compatibili.  Amanullah De Sondy, professore di teologia di origine pakistana, dopo una ricerca in materia, ha concluso che la storia Sodoma non domostra che Dio non approva l'omosessualità, ma  che Dio non approva lo stupro.  E l'Imam Muhsin Hendricks, ha un'opinione simile a favore dell'omosessualità nell'Islam: ""Nella storia coranica su Lot e la sua gente, gli uomini rappresentati sono eterosessuali e sposati con donne che disprezzavano per un desiderio guidato dalla cupidigua e avidità. La distruzione divina di Sodoma aveva più a che fare con il fatto che erano politeisti, ladri, intrusi ..." L'Imam afferma che nella storia di Sodoma spiegata dal Corano i suoi abitanti furono condannati da Dio perché cattive persone non perché omosessuali.

 

7. Matrimonio

L'Islam permette il matrimonio tra musulmani, cristiani ed ebrei, mentre vi è rispetto tra le religioni (sura 5, versetto 5). L'interpretazione sessista del Corano afferma che solamente gli uomini mussulmani possono sposarsi con donne di altre religioni e non viceversa, perché se il marito non è mussulmano non rispetterà  le credenze della moglie. Questa è un'interpretazione machista ed erronea, dato che il matrimonio deve basarsi secondo il Corano,nel rispetto e quindi in un matrimonio in cui entrambe le parti si rispettano reciprocamente.

 

8. Divorzio

Ndeye Andujar,  la vice presidente della Giunta Islámica Catalana, coodirettora del Congresso Internazionale sul Femminismo islamico e direttora del corso UNED “Esperto in Cultura e Religión islamica”, ha scritto qualche anno fa un articolo intitolato "Il divorzio e la Legge Islamica"che si occupa di questo argomento. 

" La donna deve ottenere l'autorizzazione dell'uomo per includere le condizioni nel contratto matrimoniale e la Talaq ( lasciare libero) può continuare esercitata dal marito senza avocare i tribunali, mediante una semplice formulazione unilaterale. Pertanto, la donna non ha il diritto di divorziare in modo completo ed autonomo ".

Il diritto alla casa e alla manutenzione è molto meno sicuro. La maggior parte dei codici di famiglia non rispettano questo diritto anche se è stabilito nel Corano e nella Sunna.E 'incredibile che tali leggi così importanti come quelle che fanno riferimento ai diritti delle donne divorziate che si basano sul Hadith siano manipolate nascondendo il loro vero senso, come è la storia di Fatima bint Qays ".

Per coloro che vogliono  recuperare il messaggio di liberazione che ha segnato l'arrivo di Islam è un dovere esigere la parità tra uomini e donne. Il che non significa distruggere la famiglia islamica, al contrario,ciò che si tenta è rimuovere tutto ciò che è stato aggiunto nel corso dei secoli e che ha finito per essere codificato in leggi ingiuste e discriminatorie.

La convinzione che il femminismo è un nemico dell'Islam nasce dall'idea che si tratta di un'invenzione occidentale. E se guardiamo da vicino le politiche di genere e la posizione delle donne in molti paesi mussulmani, sembrerebbe che è l'Islam il peggiro nemico delle donne. Entrambe le posizioni sono sbagliate. 

Coloro che sostengono la prima tesi sono molto ignoranti sulla loro stessa fede. L'Islam è stata la prima rivoluzione femminista nella storia del genere umano. Grazie alla rivelazione coranica le donne sono passate dall'essere creature vergognose che meritavano di essere sepolte vive ad esseri umani con dignità e pieni diritti. Nell'Islam non vi è alcuna assegnazione di ruoli sociali in base al sesso biologico. L'Islam consacrò prima di qualsiasi legislazione dell'antichità, il diritto della donna all'eredità, al divorzio, a godere dei frutti del loro lavoro, a ricevere l'istruzione e partecipare all'amministrazione della cosa pubblica. Se ciò non fu una rivoluzione femminista, allora che cosa è stata?

I sostenitori della seconda, si sbagliano anche loro. Quello che si vede non è l'applicazione della rivelazione coranica, ma una miscela di regole del patriarcato, errata interpretazione della sharia e leggi occidentali al tempo della colonizzazione europea.

La Sharia non è ciò che vediamo per televisione o quello che ci arriva attraverso le campagne anti-lapidazione.  La Sharia è lo spirito del Corano,che è, Giustizia Sociale,  Ragione, Libertà: questa è la giustificazione della rivelazione. Coloro che accusano la sharia di essere la colpevole dell'oppressione delle donne, in realtà stanno indicando il Fiqh, che è la giurisprudenza, le leggi basata sulla interpretazione della Sharia, le quali naturalmente possiedono un terribile pregiudizio di genere nei confronti delle donne. Il Fiqh che si applica attualmente e che viene identificato con la Sharia ha in alcuni casi, più di quattro secoli. Essendo l'Islam la religione della Fede ragionata e l'etica della vita pratica è assurdo ed inaccettabile che il Fiqh non sia oggetto di revisione e aggiornamento, considerato che questa deliberata negligenza attacca le basi dell'uguaglianza e dignità che il Corano instaurò a favore delle donne.

Mariposa en la tormenta

traduzione di Lia Di Peri

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FEMMINISMO ISLAMICO CONTRO LE LEGGI DEL PATRIARCATO: Sì. Il Corano è anche mio e lo gestisco io

Pubblicato da Associazione Donne - Unite nel Mondo il giorno venerdì 19 marzo 2010

Femministe & musulmane: il velo non è legge. Sì esistono. E per loro, il Corano è per l’uguaglianza dei sessi, ma è stato stravolto da letture maschiliste e di padri-padroni. Si sono riunite a congresso a Barcellona. E tra loro c’era anche una donna Imam che ha guidato le preghiere.

Ovvero femministe islamiche. Così hanno scelto di chiamarsi le donne musulmane che si sono riunite a congresso a Barcellona lo scorso novembre. XL è andato a incontrarle. Siamo partite insieme a Leila Karami. È iraniana, ha 36 anni e da 16 vive in Italia, dove ha una borsa di studio.

Femminismo islamico? «Anche se non vuoi avere a che fare con la religione, è impossibile. Da noi non è separata dallo Stato. Nel mondo musulmano bisogna cambiare l'interpretazione del Corano per poter cambiare i codici di famiglia e quindi migliorare la vita delle donne». Il muro che hanno di fronte è la Shari’a, la legge islamica. Quella delle lapidazioni delle adultere, dei divorzi impossibili, degli stupri non puniti. Ma non c’entra Dio, è maschilismo e patriarcato, così dicono le donne che rivendicano il «messaggio egualitario del Profeta».

Eccole al congresso. In 400 affollano un albergo alla periferia della capitale catalana. Sono arrivate da tutto il mondo. Dall’Australia come dal Messico, passando per l’Africa e la vecchia Europa. Sono giovani e meno giovani, velate e non. Vestiti occidentali mischiati a coloratissimi teli africani, sari e jeans. Hanno in comune l’esilio, per scelta o per obbligo. Alcune relatrici nei loro paesi non ci possono tornare, gli uomini le vorrebbero morte. Altre sono emigrate per poter studiare ed ora siedono nella sala e ascoltano, prendendo appunti. C’è anche la signora Livia. Lavora a Perugia con le migranti che difficilmente riesce a far uscire di casa. E comunque mai senza mariti.

Apre i lavori l’americana-egiziana Margot Badran, ideologa del movimento: «Il termine femminismo non è solo occidentale. La lotta al patriarcato per l’uguaglianza e la giustizia sociale è globale, senza confini e differenze tra gli stati più ricchi e quelli più poveri. Senza differenze religiose. Questi sono i principi che vogliamo diffondere quando ci definiamo femministe islamiche, in armonia con quelle occidentali». A salire in cattedra è Shaheen Sardar Ali. È stata presidente della Commissione nazionale sulla condizione delle donne in Pakistan. «Nel mio paese uno dei problemi fondamentali è la Zina, (l’adulterio) condannato con la lapidazione, che io in quanto musulmana non ho ritrovato nel Corano. Oltretutto in caso di stupro perché il violentatore sia punito, è necessario che quattro testimoni oculari, uomini, adulti e musulmani di buona reputazione, facciano una deposizione. Impossibile».

«In Darfur – continua Codou Bop, Senegal - lo stupro è considerato tale solo sulle bambine sotto i nove anni. Così una donna difficilmente può denunciare un violentatore senza essere accusata d’adulterio e quindi condannata». Prima del pranzo ci si raduna nella Moschea allestita in una sala dell’albergo, è l’ora della preghiera. A guidare la cerimonia una delle rare donne imam: Amina al-Jerrahi ha fondato una comunità islamica in Messico, legge dal Corano e predica. «Ci sono diversi modi di interpretare il Corano, ma in tutti bisogna prendere l’ispirazione direttamente da Dio per abbattere l’oppressione, soprattutto sulle donne. Le parole sono una catena, una dentro l’altra. La luce della libertà brilli sulla nostra generazione». Riprendono i lavori. Le ragazze velate sono tutte sedute in prima fila. All’ultima moda con jeans e tacchi a spillo, difficilmente potrebbero tornare vestite così nei loro paesi d’origine. Nella sala non c’è più un posto libero. Diversi gli uomini con barba e turbante: sono venuti - e lo dicono- a controllare che non si offenda l’Islam. Ci raggiunge Siham Drissi. Una trentenne nata in Francia d’origine marocchina. Da 3 anni vive in Italia lavorando nella cooperazione. «Sono diventata femminista a Roma. Con la vostra tv fatta di veline e pubblicità ti viene una rabbia...». Dopo l’11 settembre anche lei, come molte ragazze francesi, aveva pensato di mettersi il velo, per protesta verso quell’Occidente che demonizza tutto l’Islam. «Alla fine ho deciso di no: non volevo sentirmi, come donna, usata per una scontro politico. Certo in Francia la situazione è difficile, esplosiva. L’Islam è diventato anche un simbolo della lotta contro le discriminazioni...».

L’algerina Malika Abdelaziz sono anni che lavora con le donne che emigrano. «La seconda generazione si trova spesso stretta tra le regole della cultura d’origine e i modi di vita delle loro nuove patrie. Ma parlare solo del velo è un modo per tacere i veri problemi che le migranti vivono nei paesi d’accoglienza. La sanità, il contrasto tra le leggi e la Shri’a, il lavoro». È la tunisina Amel Grami a continuare: «Alcune mettono il velo per status o per imitare la tv come in Egitto. In nessuna parte del Corano c’è scritto che le donne devono portare il velo. L’interpretazione del testo è fatta dagli uomini ed è ovvio che dicano quello che più gli conviene». Alcune ragazze velate sedute in prima fila chiedono quanto il femminismo condannando il velo limita invece la libertà delle donne. Margot gli risponde coprendosi la testa con un foulard: «Adesso parliamo dei veri problemi delle donne!».

Qualcuna dal pubblico fa il pollice verso, altre applaudono. Leila conosce bene l’argomento. Lei in Italia il velo non l’ha mai portato ma quando va in Iran è obbligata. «Mi devo are tutta - esclama – è per questo che ci torno poco e solo quando sono costretta per studio». .

http://www.ilportaledelsud.org/matriarcato-patriarcato.htm   

 

La Sindrome di Medea  Crista Wolf

Malgrado le diverse impostazioni, la lettura del mito corre fin qui nell'alveo prestabilito da Euripide che sfocia nell'infanticidio. Indubbiamente, al di là del doppio tradimento - prima di Medea verso le sue genti, poi di Giasone verso un...a moglie che gli intralcia la carriera - il dato sconcertante resta quell'atroce violenza perpetrata dalla barbara della Colchide sulla propria prole. Ora è proprio questo che Christa Wolf mette in discussione.

Ripercorrendo a ritroso i variegati sentieri del mito fino alle fonti precedenti alla versione euripidea, la scrittrice rintraccia una figura diversa : una donna travagliata sì dall'amore, ma ancor più dall'incapacità degli abitanti di Corinto di integrare una cultura come quella della Colchide, per sua natura non incline alla violenza. Non un'infanticida, dunque,al contrario una donna forte e generosa, depositaria di ub remoto sapere del corpo e della terra, che una società intollerante emargina e annienta negli affetti fino a lapidarle i figli.

La Wolf rielabora frammenti di un mito provenienti da fonti diverse, attestate soprattutto da Apollonio Rodio. Infatti, che Euripide avesse manipolato la vicenda per assolvere gli abitanti di Corinto - colpevoli di aver massacrato i figli di Medea - emerge anche dalla storiografia antica, onorario compreso : quindici talenti d'argento, ricorda Robert Graves, sarebbero stati versati al drammaturgo per questa storia di disinvolta cosmesi di stato, utile per presentare al meglio Corinto sulla scena del teatro greco durante le feste di Dionisio.

(...) Avvezza a lasciar sbirciare il pubblico nella sua officina letteraria - si pensi alle Premesse di Cassandra (1983) - l'autrice ha chiarito il percorso della sua ricerca, maturata durante un lungo soggiorno negli Stati Uniti. Movendo dall'etimo positivo del nome - Medea, ossia "colei che porta consiglio" un etimo aderente alle raffigurazioni più antiche che vogliono la donna della Colchide dea, e successivamente guaritrice - la Wolf ha indagato i motivi dello scadere di questa figura a emblema di una passione selvaggia e disumana

"Nel corso dei millenni la figura di Medea è stata ribaltata nel suo opposto da un bisogno patriarcale di denigrare lo specifico femminile. Ma qualcosa non mi tornava : Medea non poteva essere un'infanticida perché una donna proveniente da una cultura matriarcale non avrebbe mai ucciso i suoi figli. In seguito rintracciai - con la collaborazione di altre studiose- le fonti antecedenti a Euripide che confermavano il mio assunto di fondo. Fu un momento straordinario".

Medea non rappresenta l'oscuro inabissamento nell'irrazionale, al contrario essa rivendica l'archetipo della chiarezza, lo scandalo della ragione. Donna di semenza vigile e ostinata, la barbara della Colchide non si lascia irretire dai precetti di Acamante, l'astronomo di corte che la vorrebbe ligia e devota a una liturgia del potere destinata a celare i crimini del palazzo. Medea nega la separazione tra Amt e Person - tra pubblico e privato - e non riconosce altra autorità se non quella del proprio intuito. E' questo suo "secondo sguardo" che la spinge a seguire Merope - regina muta e sepolcrale - fin nelle viscere della casa reale carpendone il segreto murato nel sottosuolo: nel timore di perdere il trono il re Creonte le ha ucciso la figlia primogenita, Ifinoe. Quel regno che si pretende vessillo di gesta gloriose è dunque fondato su di un crimine. E' proprio questa scoperta a travolgere Medea: Corinto reagisce prima con la diffamazione, poi, devastata dalla peste, identifica in lei, nella donna diversa, irriducibile alla norma dei potenti, il capro espiatorio. Aizzata dalla corte sarà la folla a lapidarne i figli. E sarà Corinto o meglio la ragion di stato - complice Euripide - a consegnare ai posteri l'immagine di una Medea sfregiata dall'accusa di infanticidio, istituendo con ipocrita cura un rito di riparazione per un delitto da lei non commesso.

Crista Wolf, Meda- ediz. e/o, 1996

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‎" La Sindrome di Medea" è l'ultima trovata, in ordine di tempo, dei maschilisti e dei misogini.

Ovviamente, la loro ignoranza è pari solamente alla quantità del loro odio di genere...

Medea  di Christa Wolf

(Postafazione di Anna Chiarloni)

Medea non è una fattucchiera. E tanto meno un'infanticida. Questo, in sintesi, il senso del romanzo di Christa Wolf. Un'interpretazione del tutto contro corrente in quanto da Euripide a Heiner Muller il mito di Medea rappresenta l'esito di un tragico scontro tra il mondo arcaico e instintuale della Colchide e quello civile e raziocinante dei Greci.

Questo perché la storia ci è nota come ci è stata tramandata dal drammaturgo ateniese. Un intreccio di amore, gelosia e tradimento: ingannando il padre e il fratello, Medea aiuta Giasone e gli Argonauti a riconquistare il vello d'oro e fugge con lui a Corinto. Qui, abbandonata dal marito che medita di sposare Glauce per ottenere il trono di Creonte, Medea incendia la città, provoca la morte della rivale e uccide i figlioletti avuti da Giasone.

Ci sono state, è vero altre interpretazioni. Rispetto al testo di Euripide, teso ad affermare la superiorità della ratio greca sul tenebroso mondo dei barbari, il mito è stato riletto, soprattutto a partire dal romanticismo, in funzione di un crescente interesse per la sfera del sentimento, accompagnato - è il caso di Grillparzer (1821) - da un certo scetticismo nei confronti della techne ellenica, sentita come espressione di una cinica volontà di dominio. Anche nel film di Pasolini (Medea, 1969) il furto del vello d'oro diventa simbolol della moderna rapina nei confronti di un mondo primigenio e inerme : Giasone è la "mens momentanea", il tecnico dell'oggi circoscritto nell'opaca prassi razionale. Medea rappresenta invece il tumulto del cuore emergente da un mondo integro, che ancora conosce la dimensione metafisica.

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