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                                           La teoria razziale dell'inferiorità del mezzogiorno       CULTURA MAFIOSA E MAFIA 
 

      vedi La percezione  del fenomeno mafioso in  Sicilia di Giovanni Lo Monaco 

vedi home cultura mafiosa e mafia

Non ho mai sopportato, ovviamente, il razzismo, ed essendo una siciliana a maggior ragione quello del Nord contro il meridione.
E’ ora di sdradicare certi pregiudizi frutto di incultura e di ignoranza! Grassa ignoranza come dimostra l'articolo apparso sulla Repubblica dell’8 novembre 2007
La via meridionale all´integrazione
di Francesco Merlo che io vi propongo con mie arrabbiatissime note.
 

Ecco l’incredibile articolo a cui forse pochi hanno fatto caso: potenza dei pregiudizi!!  Ho evidenziato in neretto e sottolineato le frasi di Merlo incriminate

Scive Merlo: E´ difficile trovare le parole giuste, ma bisogna pur raccontare che al sud, a Napoli, a Bari, in Sicilia, nella terra delle mafie e dei quartieri criminali, non ci sono significativi, ripetuti e violenti delitti commessi da stranieri – stupri e ferocia omicida – come avviene nel Nord e nel Centro d´Italia.
Al punto che il prefetto di Catania, la signora Annamaria Cancellieri, mi dice: «Paradossalmente quando rientro a Catania io mi sento più sicura e percepisco subito che la gente ha meno paura qui che a Bologna o a Milano o a Verona». Tra le tante nefandezze locali, infatti, nel Sud non ci sono, per strada, le aggressioni sessuali di disperati e rabbiosi immigrati che sfogano contro le nostre donne gli eccessi che covano dentro. E la cronaca nera non racconta l´arancia meccanica di extracomunitari africani, slavi o rumeni.
Il solo assalto in villa che si conosca è avvenuto a Taormina nel settembre del 2005: nove banditi extracomunitari spararono e uccisero il proprietario.
Ma da allora nessuno ci ha mai più riprovato.
Nel centro di Palermo, anche i mendicanti e i lavavetri non sono così aggressivi come qualche volta a Firenze e a Milano, certamente non come sul Périphérique, al semaforo della Porte de Saint-Cloud, a Parigi, dove ho visto dei lavavetri incarogniti aggrapparsi alle vetture in movimento per estorcere qualche euro.
A Lampedusa e a Caltanissetta, dove ci sono due enormi centri di accoglienza, e dove si capisce come la disperazione degli immigrati possa diventare una piaga purulenta, un´infezione che ci tocca e ci contagia tutti, si percepisce disagio ma non paura, certamente non ci sono state violenze contro la popolazione locale né ronde razziste contro gli stranieri. A Palermo, al Circolo del golf, molto frequentato dai professionisti, al giovane cameriere romeno che teme, probabilmente senza motivo, gli effetti del pacchetto-sicurezza, tutti offrono conforto e promettono “protezione legale ´´.
Poi si alza un signore, l´avvocato Zappulli, «apolitico», e dice che «qui la gente ha paura dei picciotti dello Zen e non di romeni e rumene che fanno i lavapiatti, le badanti, i muratori, i braccianti, le cameriere e, mi creda, tra loro e Palermo c´è più tolleranza e civiltà di quanta ce n´è tra i palermitani».
Eppure, ormai anche il commercio ambulante nella celebre Fiera di Catania ha assunto l´aspetto di un suk multirazziale e la grande piazza del Carmine ogni mattina diventa un´ecclesia di naufraghi, la mecca dei dannati della terra. E´ dunque difficile credere che proprio qui, che solo qui, nel Sud indiavolato (1), l´abbattimento dei confini geografici abbia abbattuto anche i confini etnici di cui si compone l´identità degli uomini. Si sa che la dignità umana si difende anche con i confini, che ogni uomo è un´isola di identità e che un uomo senza confini non ha profilo, è un concetto filosofico, un´esercitazione teologica. Deve dunque esserci un segreto che regola la convivenza interetnica alla fiera di Catania, dove, a pochi passi gli uni dagli altri, cinesi, senegalesi, mauriziani. e siciliani trafficano tutti in cd pataccati, cinture in similpelle, camicie e cappotti,(2) ciascuno con l´identica merce del vicino, sempre e comunque «made in China» anche quando è stata fatta a Prato, in competizione certo, ma senza aggressività reciproca.
Chiedo dunque ad un malandrino (3) di un quartiere caldo, dentro una macelleria dove si vende carne di cavallo, come mai a Roma e a Bologna ci sono violenze e stupri commessi da stranieri e qui no. Ecco la risposta: «Siamo lupi. E in un posto di lupi nessuno può imporci logiche di lupi». (4) E vuole dire che c´è un codice di violenza locale che è vincente. Dunque, se un lavavetri si permette di insistere sino a infastidire, la reazione non è razzista, ma è senza mezzi termini: «A calci in culo e non col codice».
E aggiunge: «Se io vado in trasferta a seguire la squadra del Catania, da Firenze a Milano non ho inibizioni, non nascondo la mia sciarpa rosso azzurra e il mio entusiasmo, ma da Roma in giù, anche quando il Catania segna, io per prudenza non mi scompongo, perché so che quelli lì sono come me e li rispetto».(5)
Ecco: i rumeni, i polacchi, i cingalesi che vengono nel Sud fanno lo stesso ragionamento e così i meridionali d´Italia diventano africani, cinesi e rumeni come loro. (6)
Analogamente a Marsiglia, per esempio, un anno e mezzo fa non c´è stata, se non marginalmente, la famosa rivolta delle banlieues che ha coinvolto tutte le altre città francesi che ospitano la globalizzazione. Come tutti sanno, l´epopea di Marsiglia, quella raccontata per esempio dallo scrittore Jean - Claude Izzo, ha per protagonisti gli immigrati che, arrivati adesso alla terza generazione e diventati francesi, sanno come tenere a bada i nuovi immigrati. Allo stesso modo nel Sud d´Italia niuru ccu niuru non tingi, il nero non colora il nero: i simili solidarizzano. Per tradizione molti meridionali si sentono estranei all´unificazione nazionale che già sulla linea battesimale venne rifiutata con il brigantaggio e il banditismo.
L´unità d´Italia è un fenomeno relativamente recente e dunque al contrario del mormorio del Piave – «non passa lo straniero» – qui c´è un silenzio ammiccante e passa lo straniero.
Il paradosso meridionale è che il pacchetto-sicurezza viene vissuto con angoscia proprio dalla parte più ricca della popolazione che rischia di perdere servizi a buon mercato, spesso in nero:(8) dai lavoratori domestici a quelli rurali. Nella Piana di Catania la produzione agrumicola e ortiva è affidata agli stranieri, soprattutto rumeni, e così la serricoltura ragusana, e le imprese vitivinicole del Siracusano. Anche la potente flotta peschereccia del Trapanese ha ciurme di stranieri. Come si può far mormorare il Piave?  E la sera a Catania, in quel corridoio schiacciato tra la ferrovia e il mare che si chiama «Passiaturi», proprio ai margini del centro storico, battono le giovani prostitute polacche, colombiane, slave, nigeriane, pronte a catturare la preda e a trascinarla nei bassi del vecchio san Berillo, un immondezzaio di case nelle antiche viuzze con il pavimento rifatto. Anche l´immaginario sessuale del brancatismo ha cambiato forme e colori, (9) e pure i magnaccia che tranquillamente controllano, accanto al chiosco delle bibite, sono di tutte le razze ma non più italiani, e non solo perché la mafia e la magnacceria non vanno troppo d´accordo, ma anche perché, come tutti i lavori pesanti, questo è stato appaltato ai parvenu, ai nuovi arrivati. Purché rispettino il codice. Perché qui basta uno schiaffo per ricomporre gerarchie e ridestare le strategie di controllo del territorio.
Un mondo illegale, come quello astuto dei meridionali, trova familiare l´illegalità degli immigrati, i loro commerci senza regole, l´uso predatorio del territorio, l´abusivismo, la vita di espedienti. Anche le baraccopoli sono in fondo una vecchia tradizione locale che adesso si rinnova.
Il mondo degli immigrati, mondo di disintegrati, è brodo di coltura per gli apocalittici, per tutti quelli che non hanno legami, per i dominatori degli spazi vuoti che sono gli spazi della marginalità. E´ dunque vero che, in generale, nel Sud non c´è xenofobia da parte di chi accoglie e non c´è violenza etnica da parte di chi è accolto. Ma è integrazione questa? O invece è adiacenza tra disintegrati, (7) una fusione naturale di disintegrati, come un´acqua che si insinua nella sabbia, un liquido che non trova paratie, resistenza, muri, ma carta assorbente? E´ vero che a ribadire l´identità c´è la religione, le feste di san Gennaro, o di sant´Agata, o di santa Rosalia. Ma si sa che non c´è nulla di più pagano di una festa religiosa nel Sud. E dunque durante queste esplosioni collettive dell´anima antica e oscura della città, gli extracomunitari vendono caramelle e sanguinacci, palloncini e santini, magliette della squadra di calcio e petardi. Un tabaccaio mi racconta che molti immigrati del suo quartiere vengono dallo Sri Lanka e sono tutti grandi consumatori di sigari: «Li lasciano bruciare mentre officiano riti incomprensibili». Non so se è vero. Ma è vero che i tremila Tamil che vivono a Palermo si sono convertiti in massa a santa Rosalia (10) quando – raccontano – la santa ha fatto il miracolo di guarire la bimba della cameriera srilankese di una signora palermitana devotissima. Con il risultato che, da qualche anno ormai, la notte del 4 settembre gli srilankesi vanno in processione lungo la salita del Monte Pellegrino, tre chilometri a piedi come vuole l´antico precetto. Anche i palermitani ci vanno. Ma hanno modernizzato la devozione e dunque prendono la macchina. Eccoci arrivati al nocciolo del paradosso: se è vero che nel resto d´Italia, la speranza è che gli immigrati diventino come noi, forse nel Sud la speranza è che noi diventiamo come loro. (11)

(1) generalizzazione Sud indiavolato

(2) merce pataccata fabbricata a Prato viene venduta solo in Sicilia?

(3) il parere di un "malandrino" è dato come "mentalità" dei Siciliani tutti, anzi spiega tutto!!

(4) la Sicilia posto da lupi!!! i lavavetri non infastidiscono le maestre, professoresse, impiefate, casalinghe palermitane come avviene a Firenze perchè le maestre, professoresse, impiefate, casalinghe palermitane sono lupe o moglie di lupi!!

(5) Il malandrino rispetta quelli come lui quindi in Sicilia non succede niente perchè, essendo tutti malandrini siamo rispettati dai malandrini Rom e rumeni. Dovrebbe derivarne che tutti i negozianti di Palermo essendo malandrini dovrebbero essere "rispettati" dai malandrini mafiosi invece di essere taglieggiati!!!!

(6)  i rumeni, i polacchi, i cingalesi che vengono nel Sud fanno lo stesso ragionamento e così i meridionali d´Italia diventano africani, cinesi e rumeni come loro. Tutti malandrini africani, cinesi  rumeni e meridionali!!!!!!!
 

(7) niuru ccu niuru non tingi, il nero non colora il nero: i simili solidarizzano.  Incredibile!!!!!!!!!!!!!!!!!!! tutti disintegrati, tutti malandrini, tutti delinquenti!!!!

(8) lo sfruttamento della manod'opera extracomunitaria sarebbe un fenomeno meridionale. E quindi il Piave non mormora ........ le minchiate di questo articolo non si contano!!!

(9) La prostituzione in Sicilia si spiega con   Brancati!!!!

(10) grassa ignoranza della cultura dei Tamil!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!  Ha mai sentito parlare di sincretismo?

(11) nel Sud la speranza è che noi diventiamo come loro.  Qui manca proprio la logica. Diventare significa in qualche modo cambiare, nel nord la speranza è che gli incivili diventino civili come i cittadini del Nord, e noi incivili meridionali dobbiamo diventare, cioè cambiare come.....? 

Giuseppina

                                                    *****

Davide Ficarra (demetraproduzioni.com/) che conosce bene la realtà di cui parla così commenta le mie note


Concordo pienamente con te Giuseppina. Quando ho girato la puntata  “I mille colori di Ballarò” per la trasmissione un mondo a colori, ho cercato tra la popolazione palermitana qualcuno che mi parlasse male degli immigrati, mi serviva per fare in modo di avere qualche voce in contrasto con la quasi totalità delle interviste che avevo raccolto. Non è stato facile trovare a Ballarò un razzista, magari incosapevole cometà dei razzisti, alla fine uno l’ho trovato e ripeteva una serie di luoghi comuni appresi da Santa Televisione. Bene, parliamo di Ballarò,un quertiere per fortuna ancora popolare nel centro storico di Palermo, con tante contradizioni ma dove la comunanza con gli immigrati non deriva, a mio avviso, dal fatto che i palermitani sono lupi, per cui gli stranieri si comportano bene perché  hanno paura, ma dipende casomai dal fatto che la comunità locale ed i nuovi arrivati condividono gli stessi problemi, la casa, il lavoro, frequentano gli stessi posti: il mercato, le taverne, parlano discutono si immischiano. Il signor Merlo leggendo la realtà attraverso i sentito dire finisce per dare una visione fuorviante di tutto, ma sotto sotto tra le righe sostiene che  -1 Gli immigrati al Sud si comportano bene perché hanno paura 

-2 Probabilmente gli immigrati sono più civili delle popolazioni del sud Italia che essi temono

-3 Il monopolio della violenza che al sud è gestito dalle mafie ha in questo caso una funzione positiva

-4 Se ci fosse la malavita organizzata a Milano fatta da lombardi non ci sarebbero le violenze degli immigrati

-5 La speranza del Sud è che dobbiamo diventare più civili e meno violenti somigliando di più agli immigrati.
La realtà, almeno quella che a Palermo ho toccato spesso con mano mi dice invece:

-1 E’ maggiore l’integrazione tra locali e stranieri nelle fasce sociali più basse della popolazione, più si alza il livello del reddito più si abbassa illivello di integrazione

-2 Gli immigrati si comportano sostanzialmente bene, non tutti ovviamente, non perché hanno paura, ma casomai perché si trovano dentro un’ambiente che non è loro ostile,

-3 La paura del diverso fomentata in maniera folle da giornali partiti e tv spinge sempre più ai margini gli immigrati e vivendo ai margini la rabbia o la ferocia possono esplodere in maniera cieca ed incontrollata, basta vedere quello che è successo nelle Banlieus di Parigi. Tra gli immigrati ci sono criminali, ladri, sfruttatori delle donne, ed altro che vanno perseguiti penalmente senza far cadere le loro responsabilità sull’intera comunità, noi siciliani siamo forse tutti mafiosi?
 Davide

 

Diversamente un carissimo amico del veneto di sinistra e sicuramente, a livello cosciente, antirazzista, a proposito delle mie note all'articolo di Merlo mi scrive che ha avuto diversissima eco dalle sue parti, che è stato recensito e commentato in tutt'altro modo su radio e tv private; criticati certi suoi eccessi (più stilistici che concettuali) è stato accolto come indagine sociologica pregnante e ficcante; non da beceri leghisti, bensì da "progressisti" docenti universitari. (per me incredibile!!!!).

Giuliano Ferrara a Otto e mezzo ha detto che quella di Merlo era una analisi “geniale” proprio così. A rifletterci bene trovo che siccome non si vuole condannare il razzismo nei confronti dei Rom e dei Rumeni allora si preferisce condannare l'accoglienza dei Siciliani: "niuru cu niuru nun tingi", e così tutto torna a suo posto.

Giuseppina Ficarra

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

http://www.domusmazziniana.it/vecchi/1991/91_1/Notiziario.htm

 UNA TESI DI LAUREA ANGELO CIAMPI

 L’inferiorità dimostrata. L’interpretazione razzista della questione meridionale nell’età del positivismo evoluzionistico.

 Tesi di laurea presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Relatore Prof. Rolando Nieri. Tra i tanti aspetti relativi alla questione meridionale, quello legato all’inferiorità razziale e alla polemica che esso ha sollevato, non ha suscitato un particolare interesse da parte della storiografia contemporanea. Le ragioni sono probabilmente rintracciabili nella sconfitta culturale delle teorie razziste nel primo decennio del XX secolo e nella assenza di una loro successiva riproposta. Ciampi ha orientato le sue ricerche verso una comprensione del significato ideologico di quelle teorie che giustificavano l’arretratezza sociale e culturale del Mezzogiorno attraverso parametri razziali, riconducibili agli studi che Cesare Lombroso aveva effettuato sull’uomo delinquente. La tesi si suddivide in quattro capitoli, dei quali solo il secondo tratta in modo analitico dell’interpretazione razzista della questione meridionale. Il primo capitolo si sofferma sullo studio delle nuove concezioni del diritto penale, sorte nella metà degli anni Settanta, che avevano come matrice culturale la grande corrente del positivismo, intesa dall’autore come ideologia della modernizzazione. L’antropologia criminale, la Scuola positiva di diritto penale elaborarono delle teorie che tendevano a giustificare quel modello di società borghese che sempre più andava affermandosi nel nord-Italia. I mali sociali, quindi, non venivano rintracciati in una patologia del sistema sociale stesso, ma in anomalie individuali rintracciabili scientificamente e sanabili attraverso opportune misure preventive e repressive. I delinquenti, gli oziosi, i vagabondi, gli alienati, insomma tutti quei soggetti che mostravano difficoltà ad adattarsi al nuovo ambiente sociale, presentavano dei caratteri razziali primitivi, che dimostravano incontestabilmente come in essi si fossero avuti un’involuzione o un arresto di sviluppo. I caratteri psicosomatici di questi individui rappresentavano la forma fenomenica della percentuale di delinquenza e di inadattibilità in essi presente. Quali conseguenze sociali avevano tali teorie? Scrive l’autore a pag. 12: “Il determinismo biologico di Lombroso ha offerto una potente giustificazione alla riduzione della questione sociale a mera questione di ordine pubblico: i gruppi sociali subalterni non si ribellavano per via delle misere condizioni di vita, bensì per una tendenza innata a non sottomettersi a nessuna forma di potere; essi costituivano una razza a sé, moralmente depravata”. A questa corrente di pensiero si opposero risolutamente Turati e Colajanni che individuarono nei fattori sociali la genesi della delinquenza e della criminalità. A loro avviso i caratteri fisici non erano indice di degenerazione, ma di adattamento a specifiche condizioni di vita. Di conseguenza, non poggiando su una base oggettiva, scientifica, qualsiasi tentativo di classificazione dei delinquenti avrebbe giustificato la necessità di ricorso alla repressione per la salvaguardia dell’utile sociale, in pratica degli interessi dei gruppi dominanti. Come si è detto, il secondo capitolo è dedicato alla trattazione dell’interpretazione razziale della questione meridionale. Alcuni paragrafi sono dedicati allo studio delle origini storico-culturali del razzismo, da Gobineau a Vacher de Lapouge, Gumplowicz e Woltmann. All’interno di questo solco eurocentrico e razzista si poneva la Scuola antropologica italiana, i cui maggiori esponenti erano Lombroso, Sergi, Orano, Ferri, Niceforo. Ciampi afferma che questa Scuola adottò gli stessi criteri di classificazione e la stessa analisi interpretativa che la Scuola positiva di diritto penale aveva adottato per il nord- Italia. A cambiare erano soltanto i destinatari di queste teorie. Nel Settentrione l’ideologia dell'esclusione era applicata a soggetti ritenuti non adatti allo sviluppo e alla società industriale; nel Mezzogiorno, dove non esistevano nemmeno i presupposti per l’industrializzazione, l’esclusione fu operata verso un’intera popolazione: ad essere inserite nel modello ideologico del controllo totale fu un’intera regione. Per quanto riguarda il meridione “l’esclusione sociale - scrive Ciampi - si identificava con quella geografica” (p. 74). Gli antropologi positivisti liberarono la società e la politica dalle loro responsabilità e dall’apporto della verifica storica. Il problema che le classi dirigenti si ponevano era come guidare l’incipiente sviluppo industriale senza creare conflitti e tensioni insanabili. Una questione complessa e dagli innumerevoli fattori caratterizzanti, come quella meridionale, venne così semplificata e ridotta al condizionamento di un’unica causa, la razza, considerata il solo fattore determinante della storia umana. Grazie alle teorie razziali venne sancito il diritto del nord a dominare il sud, il diritto della parte più evoluta ad esercitare il dominio su quella meno evoluta, se non addirittura primitiva. I meridionali furono dipinti in vari modi: come insofferenti verso il lavoro metodico e monotamente svolto, come incapaci di adattarsi ai ritmi ed ai lavori imposti dalle società moderne, dotati di un forte sentimento individuale tipico delle società primitive, mentre era necessario un forte sentimento sociale per vincere la dura lotta contro i popoli più sviluppati. I meridionali, deviando dal modello prefissato di comportamento, vennero descritti come antropologicamente inferiori, destinati a perpetuare all’infinito i comportamenti tipici delle società primitive o di gruppi umani ormai scomparsi. Ma per giungere a simili conclusioni, afferma Ciampi, occorreva individuare dei segni inconfondibili che provassero la naturale diversità tra individui superiori ed individui inferiori. La “diversità” psico-somatica venne a sanzionare una diversità ed una devianza nei comportamenti. Le teorie razziali degli antropo-sociologi, nel sancire la naturalità delle differenze, per colmare le quali nulla era possibile, miravano ad abbandonare il meridione al suo destino di terra soggetta al controllo e al dominio dei popoli più forti. Il terzo capitolo tenta di comprendere le ragioni per le quali le teorie degli antropologi positivisti trovarono largo spazio all’interno del partito socialista. Scrive il Ciampi: “L’immissione del partito [socialista] nel solco della tradizione positivistica, per cui l’avvento di una nuova società era affidato a condizioni deterministicamente avverabili, e l’attenzione espressa verso le nuove concezioni sociologiche e criminologiche, non prive di forti spunti razzistici, destò l’interesse verso le idee socialiste da parte della corrente razzista del meridionalismo italiano” (p. 133). Non era tanto il marxismo ad orientare le elaborazioni teoriche del Partito socialista, quanto l’acquisizione del contenuto positivista. Ma come poteva essere confuso il socialismo dei darwinisti sociali con quello di un Turati o di un Antonio Labriola? Ciampi sostiene che i concetti di razza e di socialismo non erano, per i darwinisti sociali, necessariamente antitetici. I principi base del darwinismo, cioè la selezione dei migliori e la sopravvivenza dei più adatti, potevano benissimo assumere una caratterizzazione socialista. Se si accettava la legge dell’evoluzione, vale a dire di un processo lineare dello sviluppo storico, i più adatti, i migliori, garantivano il progresso del genere umano; gli altri, i più deboli, sarebbero destinati a perire. Per quanto riguarda l’Italia esistevano due civiltà completamente diverse: l’una, al nord, avviata verso grandi traguardi sociali e civili, l’altra, al sud, destinata a rimanere in uno stato di perenne inferiorità. Le classi povere del nord non esprimevano una patologia individuale e sociale, come era per il meridione; esse facevano parte di un grandioso processo evolutivo che le avrebbe portate un giorno ad essere partecipi della transizione del socialismo. Nel nord- Italia il socialismo, come forma do organizzazione sociale superiore a tutte le altre, sarebbe subentrato al capitalismo non appena fossero maturate tutte le condizioni. L’inferiorità del Mezzogiorno stava invece ad attestare, per i darwinisti sociali, l’arresto nella scala evolutiva, e la sopravvivenza, per tale ragione, di forme sociali primitive. Nell’ultimo capitolo sono contenute alcune riflessioni dell’autore sui concetti di “norma” e di “pregiudizio”, su come cioè “un giudizio scientifico viene tramutato in pregiudizio antiscientifico” (p. 172). Per l’elaborazione della sua tesi di laurea Ciampi si è servito di numerosi testi di Napoleone Colajanni e di alcuni antropologi positivisti, nonché di tutti i numeri della “Rivista Popolare”, diretta dal Colajanni, di altre riviste del tempo, e della corrispondenza Colajanni-Ghisleri, reperiti presso la biblioteca della Domus Mazziniana di Pisa.

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