Giuseppina Ficarra

 

 



Note di G.Ficarra

  ..

   

 

 

Uno stereotipo  pernicioso e opprimente è quello che identifica la cultura siciliana con quella mafiosa 

 

 

 

 

 

                                                                                                                                                                                  Indice

                    

Anteprima

 

 

 <<…gli psicologi hanno riproposto il mito della Sicilia inchiodata alla sua diversità, affetta da un sentire e da uno psichismo mafiosi trasmessi transpersonalmente [….] Si propone così una sorta di lombrosismo psichico e si ignora che senza il rapporto con le istituzioni la mafia non esisterebbe e che allo scontro con la mafia si sono mossi in Sicilia movimenti di massa tra i più grandi d'Europa, la cui sconfitta si deve proprio al ruolo della mafia come componente di un blocco dominante e alla sua interazione con il potere costituito >> Umberto Santino Centro Impastato



<<Accade così che in nome della propria identità culturale, una determinata collettività può rivendicare il diritto alla non contaminazione e, pertanto, può esigere che tutti coloro che sono portatori di atteggiamenti, valori e comportamenti “altri” siano tenuti a debita distanza […]. Il culturalismo offre una base teorica sufficiente per legittimare il rifiuto di convivere con i “diversi”>> Luciano Pellicani

 

 

"Se si assume il paradigma interpretativo culturalista, è facile che la spiegazione della diffusione mafiosa venga avanzata sulla base di una variante dell’ipotesi etnica”. Rocco Sciarrone

Secondo il sociologo considerando la mafia innanzitutto una mentalità, una cultura, la sua diffusione può essere rappresentata attraverso la dinamica di un contagio di tipo culturale, di cui si farebbero portatori i meridionali. A questo punto perché non difendersi dal contagio con misure neorazziste?

   

 

 

<<I valori che la mafia dice di avere sono quelli della dignità individuale, dell'onore, del rispetto della "parola": una serie di valori analoghi a quelli della cultura popolare. Il problema è che, mentre i valori della cultura popolare sono realmente perseguiti, voluti, come forme di autorealizzazione, i valori mafiosi sono "detti" per acquisire consenso, e vengono vissuti in maniera però truffaldina, perché servono per coprire il comportamento violento>> Luigi Maria Lombardi Satriani  

 

 

 

  “Invece io credo che esista un’ideologia mafiosa che riflette i codici culturali ma soprattutto per deformarli, riappropriarsene, farne un complesso di regole tese a garantire la sopravvivenza dell’organizzazione, la sua coesione, la sua capacità di trovare consenso, di incutere terrore all’interno e all’esterno” Salvatore Lupo

 

 

                                                PROLOGO

 


 

 Se esistesse un leghismo del Sud simile al leghismo  del Nord si potrebbe  constatare come la qualità dei due leghismi sarebbe profondamente diversa:  quella del leghista del Nord è basata sulla  coscienza e rivendicazione della propria superiorità culturale etica e sociale perché si ritiene più colto, in possesso di una cultura tecnica che il Sud non ha, più laborioso, più pulito, più attento alla legalità  e con un senso della cittadinanza assai  spiccata. Ritiene che se sta meglio e se il Nord è molto più sviluppato e progredito del Sud questo si deve alle qualità degli abitanti dediti al lavoro. Si porta ad esempio il Nord-Est nel quale ogni abitazione privata è diventata una fabbrichetta e poi una vera e propria azienda capace di produrre per l'esportazione e fonte di ricchezza.

  Nel Sud un fenomeno come quello del Nord-Est non si è mai verificato e gli investimenti dello Stato non sono riusciti ad alterare profondamente il sottosviluppo.

  In Sicilia il leghismo del sud prenderebbe la forma del sicilianismo che da un lato è una rampogna contro lo Stato ed il Nord che avrebbero depredato il Sud dall'altro si baserebbe sull'errore ideologico della contrapposizione di tutto il Sud a tutto il Nord ignorando l'importanza storica radicale della unità della classe operaia che non può essere nel sud una parte del sicilianismo e nel nord una parte del nordismo.

   Le menzogne anche se producono danni non reggono alla prova del tempo. Possiamo oggi dire che quasi più nessuno attribuisce alle caratteristiche etniche delle diverse popolazioni il grado diverso di sviluppo economico e culturale ma si assumono le tante motivazioni esistenti nelle realtà. La polemica razzista del Nord contro il Sud ha prodotto  effetti devastanti legati ad un progressivo disimpegno dello Stato che ridusse soltanto alla costruzione del Ponte sullo Stretto  la sua tensione meridionalistica e poi neppure più questa. Ora il silenzio domina incontrasto sulla questione meridionale che ha cessato di esistere.


 

 

     

    

Parliamo di sicilianismo


Scrive Umberto Santino in E allora correggiamo l' epigrafe per Crispi  (Repubblica — 06 agosto):  La storia della Sicilia non ha bisogno di "sicilianismi"  e passa subito a ricordare che

 “Fin dal suo atto di nascita, con il Comitato "Pro Sicilia" ai tempi dei processi per il delitto Notarbartolo (1893) e poi con il separatismo nel secondo dopoguerra, il sicilianismo ha avuto una precisa funzione. Quella di fare da collante ideologico, basato sulla difesa del buon nome della Sicilia e sui "torti" che lo Stato le avrebbe fatto da rimborsare con lo statuto speciale e moneta sonante, per assemblare un blocco sociale.” Si chiede Umberto Santino, giustamente attaccando Lombardo e i suoi seguaci:

A cosa mirano oggi Lombardo e i
 suoi seguaci, lanciando una crociata contro l'Unità d'Italia e in particolare contro Garibaldi e Cavour….?”.


Le parole hanno una storia e quella del  sicilianismo sta per difesa della Sicilia finalizzata ad ottenere benefici. Sicilianismo che si colora di mafiosità come nel caso del delitto Notarbartolo quando chi usa la difesa della Sicilia, anche con argomenti validi, lo fa in modo strumentale per depistare l’attenzione dalla mafia, magari per attribuire  l’esistenza di questa alle malelingue, a chi ci vuole male! Se n’è occupato Umberto Santino in vari testi, come la Storia del movimento antimafia, Dalla mafia alle mafie e  la Breve storia della mafia e dell'antimafia. Ma come dice Vaiana in “Didattica per un’educazione antimafia”:

Sulle origini e sul valore del sicilianismo non c’è fra gli studiosi unità di interpretazione”. Con l’avvento del Regno d’Italia, ci dice sempre Vaiana (op. cit.), “l’ideologia sicilianista si trasforma in sicilianismo, cioè in difesa tout court dell’onore dei siciliani offeso dai nuovi dominatori romani (reazioni antigovernative per i metodi di lotta al brigantaggio, reazioni per gli esiti dell’inchiesta di Franchetti e Sonnino).”


In questo senso il sicilianismo non ha una connotazione negativa, connotazione che assume, come abbiamo visto, quando è usato strumentalmente per ottenere benefici, o peggio ancora per difendere un mafioso (Il Palizzolo).


E’ vero che le parole hanno una storia, ma niente ci vieta di coniarne delle nuove, o di introdurre delle distinzioni di significato, come per esempio tra sicilianismo tout–court, nel senso di difesa della Sicilia dai torti subiti o dal razzismo antimeridionale e sicilianismo di stampo mafioso o reazionario, e ancora di non tenere conto di luoghi comuni o stereotipi.  La lingua è viva, finché la parliamo.


     Sana difesa della Sicilia è quella di Umberto Santino quando dice: “Comunque su uno dei personaggi di cui si è parlato in questi giorni, una "modesta proposta" l'avrei anch'io. Penso a Franceso Crispi e in particolare al monumento dedicatogli in una piazza di Palermo.” E propone di porre una lapide o altro che ricordi i massacri dei protagonisti dei Fasci siciliani, ordinati da Crispi.


   E sicilianista non mafiosa sarei anch’io nel momento in cui facessi la proposta di cancellare la targa della via intitolata a Nino Bixio a Palermo e non solo a Palermo!! Se poi non piace l’espressione sicilianista non mafioso/a considerateci………. semplicemente siciliani adulti che parlano della Sicilia difendendola quando occorre, senza timore di essere considerati, con disprezzo, sicilianisti. E, credetemi, a volte non è facile!

Per quanto riguarda Garibaldi è sicuramente superfluo ricordare, ma mi piace farlo, quanto egli stesso, amareggiato per il comportamento dei Piemontesi in Sicilia e nell'ex regno borbonico, spogliato di tutte le sue ricchezze, ebbe a scrivere nel 1868:

“Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male, nonostante ciò non rifarei oggi la via dell'Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio”       Lo storico Massimo Gangi, come ci ricorda sempre Vaiana (op. cit.) pur respingendo fermamente il sicilianismo reazionario critica fermamente l’«anti-sicilianismo».

 

Ma vediamo qualche definizione


Santi Correnti

il sicilianismo è una esagerazione retorica, perché è una esaltazione esasperata del nazionalismo isolano, molto simile al germanesimo esasperato dei tedeschi del "Deutschland ùber alles in der Welt", che vuole "la Germania sopra ogni cosa nel mondo".

 

Tullio De Mauro

http://www.demauroparavia.it/

si|ci|lia|nì|smo s.m. movimento
politico e atteggiamento intellettuale che rivendica l’autonomia culturale e politica della Sicilia rispetto alla restante Italia


Nella definizione di De Mauro il sicilianismo non ha una connotazione negativa, e non si colloca storicamente. Cosa, questa, attribuire una data alla nascita del sicilianismo, che invece fa Umberto Santino nel suo articolo: “Fin dal suo atto di nascita, con il Comitato "Pro Sicilia" ai tempi dei processi per il delitto Notarbartolo (1893)…”  e ci spiega anche la funzione che ha avuto il sicilianismo:
“Quella di fare da collante ideologico, basato sulla difesa del buon nome della Sicilia e sui "torti" che lo Stato le avrebbe fatto”. (Su questo condizionale non sono d’accordo perché fanno parte della storia i torti subiti dalla Sicilia e lo stesso Santino, come abbiamo visto, a questi torti reali e non fantomatici si
riferisce quando parla del Crispi.)

Al carattere ideologico del
sicilianismo fa riferimento anche Renda nella sua definizione di sicilianismo: “Il sicilianismo non era di per sé ideologia mafiosa, ma si prestava ad essere utilizzato in chiave ideologico mafiosa.  Sotto il profilo ideologico, nella interpretazione sicilianista della mafia, si trovano accomunati  campioni dell'antimafia come Napoleone Colajanni, intellettuali di livello nazionale come Mosca, e studiosi di segno sicilianista inconfondibile come Pitrè. Sotto il profilo politico, lo schieramento era diverso. Colajanni, Mosca e Sturzo stavano da una parte, e Pitrè dall'altra”. (Francesco
Renda Storia della mafia  Sigma edizioni 1997 Pag. 164 ).
 E veniamo a Napoleone Colajanni: proprio nel contesto del processo Notarbartolo fa una appassionata difesa della Sicilia. Era affetto da “becero” sicilianismo? Era un mafioso? Certamente no! Vediamo cosa ci dice la storia:
<<In effetti. il dibattito processuale che porta alla incriminazione del Palizzolo si svolge in un clima che non si limita alla valutazione di quanto avviene nell’aula, ma trascende in animosità che riflettono ed esasperano le conflittualità esistenti fra Nord e Sud. Un esempio che va oltre il segno è quello di Alfredo Oriani. In un articolo titolato Le voci della fogna, apparso su Il Giorno dell’ 8 gennaio 1900, scrive che “l’ isola è un paradiso abitato da demoni”, che “si rivela come un cancro al piede dell’Italia, come una provincia nella quale né costume né leggi civili sono possibili”. Napoleone Colajanni reagisce rimandando al mittente “l’insulto sanguinoso”, giacché “nella  fogna hanno diguazzato allegramente e vi hanno portato un lurido e pestilenziale materiale i Balabbio, i Venturi, i Venturini, i Codronchi, i Sacchi, i Cellario, i Mirri… nati e cresciuti tutti al di la del Tronto” Il Colajanni coglie anche l’occasione per rilevare e lamentare che “nella fogna ha voluto diguazzare un poco la magistratura di Milano”>>. (Francesco Renda op. cit. Capitolo VI  I processi Notarbartolo pag.154).


       Non dovrebbero esserci dubbi a questo punto che difendere la Sicilia non significa tout - court essere “sicilianisti mafiosi”. Le visioni della Sicilia e dell’Italia meridionale ai tempi del delitto Notarbartolo erano, a dir poco, razziste! Ricordiamo per tutte quanto ebbe a dire  il presidente Lanza a Rattazzi: “Je ne vous demande qu’un faveur: Muselez (mettete la  museruola) le méridionaux. Le danger pour l’Italie est dans le Sud”.

E il razzismo antimeridionale è più 
che mai vivo anche ai nostri giorni! Mi riferisco agli attacchi continui che possiamo leggere sulla stampa, ma anche, perché secondo me più perniciosa, a tutta quella letteratura pseudo-psicologica, che fa risalire tutti i mali dell’isola alla nostra “cultura”. Parlo dell’impostazione culturalista di tutti quei siciliani che si sentono in dovere di attribuire al “carattere” dei siciliani tutti i mali della nostra storia, compresa la mafia. (Tra questi però non ho mai trovato un magistrato!!!). Qualcuno ha detto: Il paradosso dei paradossi è che hanno inculcato al Popolo Siciliano il pregiudizio razziale su se stesso.


Non mancano infatti i Siciliani che potremmo definire   antisicilianisti di stampo culturalista,  che amano riferirsi ad ogni pie’ sospinto all’ideologia mafiosa, al sentire mafioso, alla cultura mafiosa del popolo siciliano. Costoro amano anche citare quanti, uomini illustri, hanno parlato male dei Siciliani o dei meridionali in genere, affinché questi  non abbiano mai a dimenticare di che mala carne sono fatti!! Amata la citazione del messinese Scipione Di Castro della seconda metà del Cinquecento, (epoca in cui certamente il concetto di razza era ben lungi dall’essere superato!),  il quale negli “Avvertimenti a Marco Antonio Colonna quando andò viceré in Sicilia”  traccia, fra l’altro, il carattere dei siciliani.  Questi, egli dice – “generalmente sono più astuti che prudenti, più acuti che sinceri, amano le novità, sono litigiosi, adulatori e per natura invidiosi; sottili critici delle azioni dei governanti, ritengono sia facile realizzare tutto quello che loro dicono farebbero se fossero al posto dei governanti.” Ripeto a questo proposito, quanto ho avuto modo di dire in altre occasioni: Attribuire alla “cultura di un popolo” comportamenti negativi è razzismo! Infatti il razzista oggi, non potendo più fare riferimento alla razza, concetto scientificamente superato, parla di cultura. Per costoro ecco l’antidoto usato da Umberto Santino: “Raccontare la storia delle lotte contro la mafia dall'ultimo decennio del XIX secolo ai nostri giorni” questo, dice Santino, “ ci sembra il modo migliore per dare una risposta, più convincente di mille polemiche, a tutte quelle visioni della Sicilia e dell'Italia meridionale legate a schemi teorici tanto gratuiti, in tutto o in parte, quanto fortunati.”  (http://www.centroimpastato.it/publ/online/augusto_cultura_siciliana.php3)


A  tutti i culturalisti, assieme ad Alessandra Dino, la quale sostiene che l'approccio culturalista è sbagliato, privo di basi scientifiche e controproducente sul piano del contrasto al fenomeno mafioso (“come si fa a sconfiggere una cultura?”), ha dato una risposta, come sappiamo, Salvatore Lupo quando dice: “Invece io credo che esista un’ideologia mafiosa che riflette i codici culturali ma soprattutto per deformarli, riappropriarsene, farne un complesso di regole tese a garantire la sopravvivenza dell’organizzazione, la sua coesione, la sua capacità di trovare consenso, di incutere terrore all’interno e all’esterno.” (Salvatore Lupo Storia della mafia Donzelli 2007 pag.168)


Giuseppina Ficarra


Note

 

     ()      Di stereotipi parla Umberto Santino quando dice “Si appaia allo stereotipo sicilianità-sicilitudine, lo stereotipo sicilianista, una vera e propria ideologia mafiosa o
filomafiosa.”
(http://www.centroimpastato.it/publ/online/subcultura.php3)

 

- A proposito di stereotipi, Salvatore Vaiana (op.cit.) assieme ad altri, studiosi della “cultura” siciliana, ci dice  che “Il sicilianismo si alimenta di sub-valori, concetti, sentimenti che ne sostanziano la filosofia, sia quella del senso comune sia quella elaborata della intellighenzia: il silenzio («’A megghiu parola è chidda ca ‘un si dici»), ......, l'onore ........, la cavalleria ....etc. 

 

 A parte il fatto che il proverbio siciliano sul silenzio ha l'equivalente nel proverbio toscano: "La parola è d’argento, il silenzio è d'oro",  ecco quello che scrive Salvatore Lupo per sfatare questo stereotipo:
“L’omertà, intesa come ripulsa «morale» nei confronti del ricorso al sistema legale, .... non è una guida per l’azione dei mafiosi”  e ci spiega diffusamente il perché in  Salvatore Lupo Storia della mafia Donzelli 2007 pag.168  
 

 

 

 

Il testo è stato pubblicato sulla rivista il Puntodue  (http://www.ilpuntodue.it/?q=node/282) e  su   Perlasicilia ……………………………               http://salvatorevaiana.blogspot.com/2009/11/parliamo-di-sicilianismo-di-giuseppina.html   

 

 

 

 

 

 

Palizzolo  Cuffaro e il Comitato pro-Sicilia

pubblicato in http://perlasicilia.blogspot.com/2011/01/salvatore-vaiana-riflessioni-sul.html   

 

Nessun Comitato-pro Sicilia si è costituito in difesa di Cuffaro. Qualcosa è cambiato? Non credo. Il parallelismo Palizzolo Cuffaro regge anche sotto questo aspetto. All’epoca del processo al Palizzolo il comitato Pro-Sicilia, lo dice lo stesso nome, cavalcato dai difensori di Palizzolo, viene in verità costituito in difesa della Sicilia.  Il processo al Palizzolo infatti era diventato un processo ai siciliani attorno ai quali si disse a quel tempo “quel che Lombroso o Niceforo nei loro libri non osarono mai  scrivere”.

 

Intanto osserviamo che diverso è il clima in cui si svolgono i due processi.

Nella nota “Parliamo di sicilianismo” ho già riportato l’appassionata arringa di protesta di Napoleone Colajanni proprio nel contesto del processo Notarbartolo. Il Colajanni contestava il clima in cui si svolgeva il dibattito processuale: “In effetti. il dibattito processuale che porta alla incriminazione del Palizzolo si svolge in un clima che non si limita alla valutazione di quanto avviene nell’aula………….” Sempre riportato  in Renda (op.cit.) in proseguo, a proposito della magistratura, Napoleone Colajanni così continua: ”Verso la stessa magistratura meneghina non manca neppure una qualche legittima censura anche sul piano strettamente processuale. Il procuratore generale di Palermo protesta col Guardasigilli per lo spazio che il tribunale milanese dà “all’ignobile e nauseabondo spettacolo di una privata vendetta”. E ineffabilmente il procuratore generale milanese si giustifica con lo stesso Guardasigilli, argomentando che su certi episodi il giudizio va demandato “alla pubblica opinione, la quale spesso non falla e distribuisce a chi spetta. secondo giustizia, la lode e il biasimo”.


 Da questo clima, come abbiamo detto, nacque il Comitato pro-Sicilia in difesa, appunto della Sicilia, come chiarito nella nota:  Delitto Notarbartolo alla luce del "Il ritorno del Principe"  

 

Oggi il processo e la condanna di Cuffaro non ha mai trasceso in manifestazioni di animosità Nord-Sud anche perché il Paese è in ben altre faccende affaccendato. E di conseguenza nessun Comitato pro-Sicilia a conferma che non sorgono in Sicilia pubblici comitati in difesa di mafiosi o collusi con la mafia. Ci aveva tentato Casini a salvare Cuffaro nominandolo senatore! 

      E a proposito di parallelismo Palizzolo Cuffaro ricordiamo che manifestazioni contro Palizzolo si ebbero allora come oggi contro Cuffaro.

Renda:  “….. infine, il partito antipalizzoliano, (che) a Palermo può finalmente rialzare la testa, e sotto la guida di un comitato diretto dai principi di Camporeale e di Trabia, ma del quale molto significativamente sono partecipi anche i socialisti, promuove una grande manifestazione antimafia. la prima forse della storia. simile a quelle che poi saranno promosse negli anni ‘80 e ‘90. Al corteo che percorre Corso Vittorio Emanuele e via Maqueda. “per onorare la memoria di Emanuele Notarbartolo in senso di affermazione dei principi di moralità e di giustizia, e di protesta contro gli autori dell’esacrato delitto”, ma anche per promuovere “una sottoscrizione per un busto in marmo da collocarsi nell’atrio del Banco di Sicilia e per sostenere le spese del processo’. perché il popolo siciliano vuole contribuire direttamente alla scoperta e alla condanna dei rei”, partecipano più di 30 mila persone, 10 mila secondo la polizia. Renda op. cit.).”

 

      Oggi si vedano le manifestazioni di giubilo dei palermitani a piazza Politeama per le dimissioni di Cuffaro nel 2008 ("Cuffaro Dimettiti": Siciliani in piazza il 19 gennaio 2008

http://www.youtube.com/watch?v=p6frSW2IjUY&feature=related

 

Cuffaro si dimette: Siciliani in strada festeggiano

http://www.youtube.com/watch?v=htEanBvi9Fo&feature=related).


 Giuseppina Ficarra

 

Oggi potrebbe essere interessante fare un altro raffronto, quello tra

Cuffaro e Berlusconi

 

Mentre Cuffaro dal giorno stesso della condanna si trova al Regina Coeli senza chiedere privilegi, Berlusconi a distanza di sette mesi dalla condanna definitiva è indisturbato in libertà. 

 

 

 



 

 

     

Parliamo di familismo amorale …………

 

(pubblicato nel blog perlasicilia.it   di Salvatore Vaiana)

 

 Bossi junior al Pirellone. Renzo Bossi è il "primo eletto della Lega" in provincia di Brescia. Lo ha annunciato il padre Umberto Bossi parlando con i giornalisti nella sede del Carroccio in via Bellerio. Alla domanda se il figlio poteva essere il suo delfino, in passato, Bossi aveva replicato: "Non vedete che è una trota?". Ora il ministro delle Riforme, soddisfatto per il successo elettorale della Lega, ma anche per quello personale del figlio, ha commentato: "Renzo è bravo e mi dà una mano, corre da tutte le parti e viene a tutti i comizi. Forse ha trovato la sua strada". (http://milano.repubblica.it/cronaca/2010/03/29/news/urne_chiuse_al_via_lo_spoglio_ma_finora_ha_vinto_l_astensione-2987246/).

Nessuna meraviglia: l'Italia non è la Repubblica dei raccomandati? Come ebbe a dire Filippo Ceccarelli in un articolo apparso su Repubblica il 16.11.2007  “Nella repubblica dei raccomandati Lo è (raccomandato n.d.r.)  un italiano su due”.


“E' incredibile - scriveva  il giornalista - come l'Italia sia condannata incessantemente a cambiare per rimanere sempre più uguale a se stessa. Il mercato del lavoro, per dire: dopo la riforma del collocamento, dopo il culto della flessibilità, dopo la nascita delle agenzie interinali, dopo le controversie sulla legge Biagi, ecco che da una ricerca dell'Isfol viene fuori che il 40 per cento della gente ha trovato un posto grazie a parenti, conoscenti o potenti”

L’occasione è buona per parlare di familismo e precisamente di familismo amorale.

Questo fino a non molto tempo fa era considerato un marchio prettamente meridionale e per molti lo è ancora.

Ma che di stereotipo si tratta lo hanno affermato gli storici Umberto Santino e Salvatore Lupo, il sociologo Giovanni Lo Monaco, la sociologa Alessandra Dino e altri.

Umberto Santino in Scienze sociali, mafia e crimine organizzato, tra stereotipi e paradigmi considera il familismo amorale uno degli stereotipi più longevi!. Così scrive Santino  “Mi riferisco in particolare a uno degli stereotipi più longevi, come il "familismo amorale", la tesi dell'antropologo Edward Banfield [1958] che, sulla base di una ricerca molto poco scientifica, ha individuato nell'ethos della famiglia ristretta la chiave di volta del sottosviluppo meridionale. Così tutto il Mezzogiorno, che è stato ed è una realtà ben più complessa, è diventato una grande Montegrano, il paesino lucano scenario della ricerca di Banfield.”

(http://www.centroimpastato.it/publ/online/scienze_sociali.php3)   


Il sociologo  Giovanni Lo Monaco  ci informa che  in una ricerca realizzata nel 2007 presso la Facoltà di Scienze della Formazione di Palermo a supporto della propria tesi di laurea (relatrice, prof.ssa Alessandra Dino) dal titolo “La cultura mafiosa e il sistema valoriale degli adolescenti a Palermo, è stato analizzato il valore “famiglia”. Dai dati ottenuti messi a confronto con le risultanze di altre ricerche, svolte, sia a livello nazionale (rapporto IARD, 2002) che a livello locale (Sciarrone, 2005) é emerso che la famiglia risulta importante per  il 92% dei giovani palermitani, per il 90,3% dei giovani corleonesi e per l’85,3 % del resto dei giovani italiani. (1)

In un interessante articolo apparso su Repubblica  il 10/9/1999  Mezzogiorno di gloria torna il sud riabilitato Francesco Erbani si chiede “..non è vero che in altre regioni italiane - nelle Marche, in Veneto, in Emilia Romagna - il nucleo familiare è alla base di quella civilizzazione industriale fondata sulle piccole imprese che tanti apprezzamenti riscuote da noi e all' estero? E allora perché la famiglia è risorsa al Centro-Nord e ingombro al Sud?”

(http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1999/09/10/mezzogiorno-di-gloria-torna-il-sud-riabilitato.html)


Ma chi contribuisce a demolire lo stereotipo del familismo amorale che farebbe parte della “subcultura mafiosa” presente, a detta di alcuni, in “parte non marginale” del popolo siciliano, è soprattutto Salvatore Lupo Lupo, nella sua Storia della mafia Donzelli 2007   .

Racconta Lupo che al processo alla cosca dei fratelli Amoroso nel 1870 avviene uno scambio di battute tra il Presidente e l'imputato Carmelo Mendola dal quale hanno origine visioni distorte riguardo la cultura, la "mentalità" dei siciliani, nonché lo stereotipo del familismo amorale attribuito a detta cultura.

 

Presidente: Non facevate parte della mafia?

Imputato: Non so cosa significa

 

Il sociologo Henner Hess  pose questo scambio di battute in una epigrafe al suo libro sulla mafia prefato da Leonardo Sciascia per sostenere la tesi della mafia come figlia della cultura siciliana. Hess sostiene che l'imputato non sa cosa sia la mafia  perché  chi sta tutto  "dentro"  una cultura regionale non può - proprio perché ci sta dentro - averne consapevolezza!


Scrive Salvatore Lupo (op.cit.):

“Lo scambio di battute apparirà rivelatore a Hess che lo porrà in epigrafe al suo libro, a Sciascia che più volte lo richiamerà: il mafioso non saprebbe effettivamente cosa la mafia sia, rappresentando la legalità per i siciliani un concetto astratto, portato di uno Stato del tutto estraneo, ed essendo quello che noi chiamiamo mafioso l’unico possibile modello di comportamento in questa società. [....] Hess ha interpretato una fonte tremendamente intenzionale qual è quella giudiziaria come se essa potesse rispecchiare la cultura «dei siciliani», non venendogli in mente che i siciliani possano dire, o non dire, a seconda delle convenienze: convenienze politico-ideologiche (o di altro genere?) per Pitré, disperato tentativo di salvarsi per i protagonisti di un processo destinato a concludersi con tante condanne a morte.”


Lo storico ci fa poi notare come proprio da queste deposizioni degli inquisiti del processo Amoroso siano state erroneamente derivate  teorie socio-antropologiche, ad esempio sul familismo dei meridionali.

Ci ricorda Lupo che l’imputato Caravello, sempre al processo alla cosca dei fratelli Amoroso, alla domanda se i membri della cosca siano suoi amici risponde che lui è amico solo di sua moglie e dei suoi figli. L’imputato Emanuele Amoroso alla domanda se ha odi di “partito” afferma: «Il mio partito sono mia moglie e i miei figli». Sempre nel corso di questo processo quando i fratelli Amoroso vengono accusati dallo zio Giuseppe Amoroso di avere assassinato il di lui figlio, (loro cugino), l’imputato Emanuele Amoroso sfida lo zio a giurare sull’anima del padre loro ascendente comune. Alla perplessità del Presidente su un siffatto giuramento che non è quello previsto dalla legge, l’avvocato difensore, Marinuzzi, insiste: «quello non va per il caso [...] perché il volgo non vi crede». Il volgo crederebbe di più ad un giuramento che richiama in causa il valore sacro della famiglia..


 

Scrive Salvatore Lupo (op. cit.):

Per Hess questa sarebbe la riprova della distanza socio-culturale che separa lo Stato dai Siciliani, della «lacuna tra socialità e morale statale» che genera il comportamento mafioso. A me invece pare si tratti di un’abile messa in scena di Marinuzzi, tendente a costruire davanti agli occhi dei giurati (e forse dello stesso teste) l’immagine dei suoi difesi come personaggi ingiustamente accusati, che credono nei medesimi valori familistici della gente comune e che quindi non possono essere i feroci assassini a sangue freddo di un loro stretto congiunto. Ma è chiaro che tale strumentalizzazione della cultura tradizionale può confondere le idee ad un sociologo tedesco solo attraverso una complessa mediazione colta, nella quale proprio Pitrè ha un ruolo centrale e che la cultura avvocatizia isolana contribuisce a diffondere.”


Per  concludere potremmo dire che da Hess ha origine  quello che il sociologo Giovanni Lo Monaco chiama uno  stereotipo pernicioso e opprimente come quello che identifica la cultura siciliana con quella mafiosa.  Tesi questa, dell’identità della cultura siciliana con quella mafiosa, decisamente smentita, come abbiamo visto nelle note precedenti, dal sociologo Luigi Maria Lombardi Satriani e dallo storico Salvatore  Lupo.

 

Il discorso si farebbe troppo lungo e ci porterebbe lontano se volessimo affrontare infine l’argomento portato “erroneamente”  a sostegno della tesi che vorrebbe essere la cultura mafiosa presente in buona parte del popolo siciliano, cioè l’assunto marxista che dice che <<la cultura diffusa in ogni popolo è quella della sua classe dominante>>. Dico “erroneamente” perché i borghesi mafiosi (i “facinorosi della classe media” di Franchetti) fanno parte, si, della borghesia, classe dominante, ma si guardano bene, proprio perché è interesse della mafia rimanere “sommersa”, “silente”, dal mostrare codici culturali diversi da quelli accettati dalla classe borghese e di riflesso dal popolo. Falcone si è trovato a processare e condannare uomini che erano stati suoi intimi amici. Conosco persone di indubbio rigore morale che per anni sono stati in buona frequentazione con persone che poi sono state condannate come mafiosi.………..

 

Giuseppina Ficarra

 

Note

 (1) Nell'ambito della suddetta ricerca sono state concesse interviste da: D. Gozzo (magistrato) 11/10/06; A. Consiglio (magistrato) 11/10/06; P. Blandano (preside scolastico, già responsabile di Libera-Scuola) 13/10/06; M. V Randazzo (magistrato minorile) 20/10/06; A. Pardo (magistrato minorile) 20/10/06; A. Ingroia (magistrato) 26/10/06; N. Fasullo (direttore della rivista Segno) 26/10/06; S. Lupo (storico) 3 1/10/06; R. Borsellino (deputato all’Assemblea Regionale Siciliana) 03/11/06; R. Scarpinato (magistrato) 03/11/06; F. Di Maria (psicologo) 21/11/06.

 


 

 

 

 

Delitto Notarbartolo alla luce del "Il ritorno del Principe"

     

 

Secondo una versione schematica e semplicistica del processo per il delitto Notarbartolo,  la Corte d’assise di Bologna giudica  colpevole il Palizzolo  con sentenza del luglio 1902, condannandolo a 30 anni di reclusione, ma, a seguito della  pressione esercitata dal Comitato “Pro Sicilia” (*), la Corte di Cassazione, poco dopo, il 27 gennaio 1903, annulla la sentenza di Bologna per un “vizio di forma”, aprendo così la via all’assoluzione del Palizzolo.

Questa versione, oltre ad ignorare il fatto storico di una grande manifestazione antimafia, la prima forse della storia, promossa dal partito antipalizzoliano   (Renda in  Storia della mafia pag.154,  Umberto Santino Antimafia civile e sociale), ed attribuire erroneamente al “sentire mafioso” dei Siciliani l’esito del processo,  non tiene conto che nella vicenda del processo per il delitto Notarbartolo, durata 10 anni, sono da tenere in considerazione  vari  fattori di natura politica e la concomitanza con importanti eventi storici. (Come fa notare Renda op.cit.paf.150 “Quando si scopre il cadavere del Notarbartolo sul treno fra Termini e Trabia, gli ospedali di Palermo sono ancora pieni dei feriti di Caltavuturo…. Non passano  che alcune settimane, e il movimento dei Fasci dei lavoratori dilaga impetuoso”  e più avanti: “Tecnicamente, fra la denuncia contro i fasci accusati di mafia e la mancata denuncia contro il Palizzolo come mandante in assassinio non vi è alcun rapporto. Nella realtà, il legame è assai profondo. Intanto per le autorità. Il clima di tensione. che subito dopo l’assassinio del Notarbartolo si instaura a Palermo, è tale che politicamente ne nasce un turbinio di situazioni difficili da classificare per ordine di importanza, chiamando magistratura e polizia a indagare contemporaneamente sulla mafia «vera» che ha eseguito l’omicidio dell’ex direttore generale del Banco di Sicilia e sulla mafia «presunta» che dovrebbe mettere a ferro e fuoco la Sicilia.).     

In “Il ritorno del Principe” di Saverio Lodato e Roberto Scarpinato (pag.206), leggiamo:
“un eventuale condanna definitiva di Palizzolo era, dunque, incompatibile con gli equilibri politici esistenti?  Direi proprio di si.”  E ancora: “L’assoluzione del Palizzolo non era un’eccezione, ma un caso paradigmatico di quella che era la normalità” invece “ La consegna di mafiosi dell’ala militare, (ilFontana, esecutore materiale del delitto) mediante patteggiamento all’interno della classe dirigente con gli esponenti dell’alta mafia è sempre rientrata, nelle tradizioni del sistema mafioso”. (op. cit.pag.207)


Il presidente del Consiglio Depretis alcuni anni prima, nell’ottica di questi equilibri politici, per mantenere un assetto di potere “che ripartisce le potestà sovrane dello Stato tra borghesia industriale del Nord e classe dirigente meridionale”  (in Il ritorno del Principe pag.202), aveva rifiutato di emanare il decreto ministeriale necessario a dare esecuzione all’articolo 7 della legge di pubblica sicurezza con il quale si disponeva che per esercitare la funzione di guardia campestre occorreva avere la fedina penale pulita. Una norma necessaria per contrastare la mafia.

………………………...
     A questo proposito scrive Renda (op. cit. pag 125):“Esisteva la legge,  ma si faceva in modo che per legge non fosse impedito che il mafioso fosse campiere, curatolo o guardiano”. Caso emblematico del prevalere della logica degli equilibri politici era stato anche quello del procuratore generale  Tajani, del mandato di cattura da lui fatto spiccare contro il questore Albanese e degli ostacoli  e mancato sostegno che gli furono opposti dalle autorità governative locali e dallo stesso Ministero, delle sue dimissioni dalla magistratura in senso di protesta. (vedi ai nostri giorni De Magistris, Forleo, etc!)  

Diceva Sciascia: “Il potere non è nel Consiglio comunale di Palermo. Il potere non è nel Parlamento della Repubblica. Il potere è sempre altrove. …...”


In “Il ritorno del Principe” di Saverio Lodato e Roberto Scarpinato leggiamo: “Le imposture del potere non servono infatti solo a legittimarlo ma anche a celare la sua oscenità. Il vero potere è sempre “osceno”. Opera cioè nel fuori scena”.

Nel 2006 la voce della società civile siciliana riesce ad imporre nelle primarie la candidatura di Rita Borsellino. Ma la reazione dei vertici fu immediata e Rita fu lasciata priva di sostegno! (Il ritorno del Principe pag.23) Nel 2008 viene respinta a larghissima maggioranza la proposta di impedire che facciano parte  della Commissione Parlamentare Antimafia soggetti inquisiti per mafia e di detta Commissione entrarono a fare parte soggetti condannati per fatti di corruzione con sentenza definitiva. (Il ritorno del Principe pag.48)

Non ci sono due Sicilie, non c’è nessun “spartiacque”: condanna di Palizzolo, assoluzione di Palizzolo, repressione dei fasci siciliani, “assoluzione” di Andreotti, Cuffaro senatore, vicenda di Rita Borsellino e quant’altro. Prevale sempre il potere osceno! Finora!

   

Leggo in una presentazione del libro Il ritorno del Principe: La mafia oggi appare cancellata dalle priorità di chi governa. I cittadini che ancora le si oppongono, le associazioni di Addio Pizzo, Ammazzateci Tutti, la Confindustria Siciliana fino a quanto potranno reggere la battaglia (contro il pizzo, contro la 'mdrangheta, contro la mafia) se lasciati isolati?
La battaglia contro il Principe deve essere una rivoluzione civile che mette assieme tutte le componenti dello stato: magistratura, polizia e politica.
Il Principe deve sentirsi isolato, escluso dalla società, dal mondo istituzionale.
E' lui l'anomalia.

Amaro il finale del magistrato, nella lunga intervista con il giornalista:

"Se il meridione dovesse essere abbandonato al suo destino, le mafie - quelle alte e quelle basse - avrebbero finalmente coronato l'antico sogno di riaffermare la loro totale supremazia su quella parte del paese. Verrebbe da dire: buona fortuna, Italia".

 ( http://unoenessuno.blogspot.com/2008/07/il-ritorno-del-principe-di-saverio.html )


“Negare la specificità e la portata nazionale della mafia e coinvolgere in essa solo la Sicilia e i Siciliani, nonché la loro storia e relative mentalità e abitudini, (n.d.r il loro presunto “sentire mafioso”),  non consente di leggere e affrontare  la realtà con l’intelligenza necessaria.” (Renda op. cit. pag.177)


Note


(*)Per quanto riguarda il comitato «Pro-Sicilia», Salvatore Lupo in Storia della mafia Donzelli 2007  a  pag.156/157  scrive:                

“Il «Pro-Sicilia» guadagnò forze e consensi ben oltre l’area palermitana, ma nel corso di questa espansione geografica il riferimento allo specifico del caso Palizzolo si fece più tenue mentre prevalevano temi modellati sugli argomenti nittiani di Nord e Sud, sulle polemiche liberiste a proposito del «mercato coloniale», sulle altre ragioni della protesta meridionale.”


A  questo proposito Renda (op. cit.)  ci dice che “il processo al Palizzolo divenne un processo ai Siciliani, e se ne disse quel che Lombroso o Niceforo nei loro libri non osarono mai scrivere.”



 

pubblicato nella rivista: http://www.ilpuntodue.it/?q=node/295

 

 

Io insegnante meridionale nel profondo Nord


Chi ha elevato il livelli della scuola 
del Nord?

 ...

                                      
Caro direttore,

 

 ero emigrata a Pieve di Cadore, in provincia di Belluno, dove mi era stata assegnata una cattedra di lettere alla scuola media. Come tutti gli insegnanti avevo corretto e consegnato in presidenza il "mio" primo pacco di compiti in classe di italiano. Una collega di Agordo già mi aveva chiesto come mai "laggiu" (la terra è rotonda e non ci può essere un giù e un su!) non ci mandano a scuola di dizione. Io allora ero molto timida e con il complesso di inferiorità o "sicilianite", come direbbe Umberto Santino, e non ho saputo rispondere che mi sarebbe veramente piaciuto andare a scuola di dizione, ma per imparare a parlare con la cadenza catanese o messinese, non certamente per parlare come lei che aveva una cantilena eccessiva, proprio dialettale (chi è stato ad Agordo sicuramente mi può dare ragione). Un bel giorno comincia a terrorizzarmi, lei che già insegnava da alcuni anni e "sapeva come andavano le cose!": «Guarda che il Preside si legge i compiti ad uno ad uno e non è mai contento di come li correggiamo e del voto assegnato», mi diceva. Io ero veramente preoccupata, m'avesse avvisato prima, l'agordina, avrei fatto le nottate su quei compiti da correggere prima di consegnarli, per essere sicura di non fare una brutta figura! Volle il caso che il Preside ci convocasse di lì a qualche giorno assieme, noi due, e lei per strada continuava ad assillarmi: «Vedrai, non è mai contento!». Il Preside, senza tanti preamboli si rivolse per prima a me dicendomi che era molto soddisfatto di come avevo corretto i compiti, che forse ero stata un tantino troppo esigente, nel senso che correggevo anche le virgole. Era altresì molto soddisfatto del mio criterio di valutazione che giudicò «molto obiettivo». Poi si rivolse alla mia collega e le disse: «Signorina, lei dovrebbe adeguarsi al criterio di valutazione della Professoressa Ficarra». Sono passati 50 lunghi anni e il ricordo è ancora vivo! E oggi aggiungo che, visto che nel Nord da sempre insegnano molti meridionali, questi contribuiscono a tenere alto il livello della scuola della Padania! Non oso pensare come potrebbe abbassarsi il livello di questa scuola del Nord se Bossi riuscisse a mandare via tutti gli insegnanti meridionali: dovrebbe fare ricorso a insegnanti di fortuna del posto, tirando fuori dalle fabbriche e mettendo in cattedra magari gente con solo il diploma triennale!

Giuseppina Ficarra


pubblicato su Liberazione del 29-08-2008 a pag.18

 


 

 

Ancora io insegnante meridionale . "Contro la Lega, sciopero politico della scuola"

 

----- Original Message -----
From: Giuseppina Ficarra
To: liberazione
Sent: Saturday, August 01, 2009 1:58 PM
 

 

Ho letto l’articolo pubblicato ieri su Liberazione

"Contro la Lega, sciopero politico della scuola"

e naturalmente non posso che condividerlo al cento per cento con il solo rammarico di non potere partecipare a questo sciopero perché ormai da tempo pensionata. Ma già negli anni ’50 come ebbi a scrivere in una lettera pubblicata su Liberazione proprio un anno fa dal titolo <<Io insegnante meridionale nel profondo Nord>>  ebbi a sperimentare il razzismo nei confronti degli insegnanti provenienti dal sud. Allora mi si rimproverava di non essere andata a scuola di dizione, ma devo supporre, alla luce dei fatti odierni, non per avere una buona dizione, che quella per una insegnante è cosa utile, ma per parlare con la loro cadenza dialettale visto che a farmelo notare fu un’insegnante di Agordo che parlava con una cantilena veneta molto pronunciata. Oggi agli insegnanti si chiede di conoscere anche il dialetto oltre che a saperlo pronunciare bene!

Io allora percepii non solo un certo razzismo, ma come un'antipatia nei confronti dei siciliani e non era certamente complesso di persecuzione o mania la mia.

Anche il nostro grande Leonardo Sciascia ebbe a scrivere <<dell’antipatia che i siciliani godono in quanto siciliani>> prima parlando di Borgese (si veda articolo o sul Corriere della Sera, 2 settembre 1984 e inserito nel volume “A futura memoria” pag.85) e poi di Quasimodo, (ivi), ricordando l’ostilità con la quale l’Italia “letteraria” reagì all’assegnazione del Nobel al poeta siciliano e cioè “Come ad una offesa””! Il verso di Quasimodo “Uomo del Nord che mi vuoi / minimo o morto per tua pace..” è un grido mosso da motivi personali ma che possiamo leggere come universali, “come espressi da un’infelice comunità insidiata dall’egoismo di uomini materiali”. E sempre Sciascia in quell’articolo notava come invece la Spagna franchista si rallegrò, a differenza nostra che pur già eravamo Repubblica democratica fondata sul lavoro, del Nobel assegnato a Juan Ramon Jimenez fuoriuscito, in esilio.

Mi piace riportare testualmente le parole conclusive di Sciascia che ancora oggi suonano attualissime. “Ora se questo accade, come accade, a livello di “civiltà perfezionata”, non c’è da meravigliarsi che tale antipatia, digradando e degradandosi in certe piaghe di stupidità collettiva, arrivi ad invocare l’Etna a che dia lava a seppellire intera la Sicilia con tutti i siciliani”


Giuseppina Ficarra

Palermo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Falone e Borsellino vent’anni dopo

 

 

  Di Lello in un interessante articolo Perché la mafia non è stata sconfitta  apparso sul Il Manifesto il 24.02.2012  ci offre un'interessante riflessione sull’'illusione della via giudiziaria  alla sconfitta della mafia e ci propone una similitudine con un’altra illusione, la stagione di mani pulite cui non è seguita la sconfitta dell’illegallità ma addirittura un “peggioramento dello stato di corruzione politico-istituzionale”. (*)

Anche se ci mette in guardia dal considerare inutili le due stagioni dell’antimafia e dell’anticorruzione, “se si è fatto allora, - dice -si può fare anche oggi”, il magistrato si chiede perché le mafie continuano ad espandersi in piena salute nel resto del Paese e di pari passo continua a dilagare la corruzione politica-istituzionale e le ruberie di stato.

E qui Di Lello gramscianamente ci spiega la causa di ciò con l’adesione "culturale" di larghi strati della nostra società ad un modello di “illiceità diffusa” offerto dalla classe dominante (“il potere berlusconiano”) “con pensieri, legislazione e opere”, modello accattivante – ci dice Di Lello – e trasversalmente imitato”.

La politica -  infine, dice Di Lello - ha esercitato un ruolo "pedagogico", un’egemonia culturale, potremmo aggiungere, devastante. Ha colpito le fasce più deboli ed emarginate della società  e ha lasciato  indisturbati i potenti “nei loro affari di mafia e corruzione”.

Il problema, conclude Di Lello torna ad essere quello di una immoralità politica che è refrattaria all'opinione pubblica e non riesce a trovare sanzione nelle leggi.

 

Il Prof. Giuseppe Carlo Marino allargando il problema affrontato da Di Lello alla società internazionale, nella sua ultima opera  Globalmafia  scrive: “Si va formando una “società civile” internazionale (nel senso gramsciano) nella quale un sostanziale metodo “mafioso” dei potenti viene occultato da enfatici richiami alle libertà, affermandone nel contempo – tramite un tanto ostentato quanto falsante a-ideologismo trasmesso alle masse dei subalterni come messaggio di concretezza e senso collettivo dei valori democratico-liberali – un’ineluttabilità valutata come di per sé virtuosa, in coerenza con il contestuale mito delle “virtù” attribuite al cosiddetto “libero mercato”.
…………..

Giuseppina Ficarra

 

Note (*) Perché la mafia non è stata sconfitta di Giuseppe Di Lello

Il manifesto : 24.02.2012

 http://www.eddyburg.it/article/articleview/18611/0/418/   

 http://www.spazioamico.it/Giuseppe_Di_Lello.htm

 

 

 

 

                                                                                            

                                              Lo “scandalo della Sicilia”

Lo “scandalo della Sicilia” come lo chiama Giuseppe Carlo Marino (*)

 

La cultura mafiosa del popolo siciliano è effetto di “EGEMONIA”. Cosi scrive infatti Giuseppe Carlo Marino

 

<<In qualsiasi sistema organico di egemonia, ha ben spiegato Antonio Gramsci, si crea una situazione nella quale le forze egemoni conseguono un’autorevolezza che in genere gli egemonizzati accettano senza obiezioni, tendendo addirittura ad avvalersene e a nutrirsene essi stessi, comunque avvertendo il dominio che li sovrasta come l’espressione di un ordine necessario assimilabile[N1] all’ordine naturale del vivere e del pensare. (……..) Di qui, tramite il comune registro delle tradizioni, si è realizzato un costante travaso al popolo dei valori elaborati e presidiati dai ceti dominanti. (….) E furono loro (i baroni e i gabellotti n.d.r.) – pervadendo dall’alto del loro conseguito potere, come si è già ricordato, e giova ripetere, il mondo culturale tradizionalista di una società di poveracci analfabeti – ad “istruire” il popolo, mostrando come l’illegalismo possa generare ricchezza, come dalla ricchezza comunque conseguita, e tenacemente preservata dal poco al molto, scaturiscano le condizioni sociali della “valentia” e del “rispetto” e, quindi, dell’onorabilità e dell’”onore”; e chiamando tutto questo, con enfasi e passione, “Sicilia”.>>


Per fortuna, ci ricorda Marino, con Gramsci, esiste la CONTROEGEMONIA e quindi abbiamo i Fasci siciliani e le lotte contadine del dopoguerra di cui ti occupi nel tuo libro.

Scrive ancora Marino:

 <<In seguito, l’aprirsi della democrazia alla storia del socialismo avrebbe esercitato un ruolo determinante nel liberare dalla passività ampie masse popolari (dalle lotte dei Fasci dei lavoratori di fine Ottocento a quelle ancor più drammatiche contro i latifondisti e i gabelloti nel primo e nel secondo dopoguerra) generando una sempre più ampia e capillare consapevolezza sociale dell’oppressione e inducendo contestuali tentativi di riscatto e di liberazione mediante organizzate azioni “antimafia” interne al conflitto tra le classi.>>

 

Ed ecco il punto del discorso di Marino che più mi interessa focalizzare e cioè quello che egli chiama “lo scandalo della Sicilia” . Scrive Marino:

 <<Resta comunque da rilevare (purtroppo) che UN’EGEMONIA ANTAGONISTICA non è mai riuscita in Sicilia a prevalere nettamente e, meno che mai, a stabilizzarsi. Il fronte cultura politica progressista+democrazia popolare, nei fatti, è risultato sempre sconfitto. Drammaticamente, spesso tragicamente, sconfitto; lasciando sul terreno centinaia di vittime e di martiri. Ed è questo il più inquietante dei retaggi che la storia siciliana continua a lasciare all’Italia e al mondo, un retaggio tenace che, in altro opera [Marino, 1993] si è già indicato come “lo scandalo della Sicilia” : uno scandalo da non riferire ad un’antimodernità e a un’arretratezza cronicamente tutelate e addirittura rivendicate in nome di speciali “valori” e tradizioni, ma che consiste, piuttosto “nel costante riassorbimento delle spinte innovatrici, e persino dei loro parziali esiti positivi, da parte dell’egemonia politico-culturale della società mafiosa”.

 

Sintetizzando possiamo dire che i tre punti della questione sono:

1) c’è un popolo siciliano pervaso di cultura mafiosa per effetto di EGEMONIA 

2) C’è stata una CONTROEGEMONIA che ha dato luogo a lotte popolari contro la mafia di grandi proporzioni

3) “lo scandalo della Sicilia”, cioè il “costante riassorbimento delle spinte innovatrici, e persino dei loro parziali esiti positivi, da parte dell’egemonia politico-culturale della società mafiosa”

Si tratterebbe di un concatenarsi di “verità”, l’una non separabile dall’altra, l’una non spiegabile senza l’altra. Ma se delle tre verità sopra evidenziate una non “funziona” allora potrebbe essere possibile dubitare delle altre?

 

Ecco cosa secondo il mio modestissimo parere non funziona. Non è vero che il grande movimento dei Fasci e l’altro grande movimento delle lotte contadine sono stati RIASSORBITI da parte dell’egemonia politico-culturale della società mafiosa. I contadini siciliani sconfitti non sono stati risucchiati passivamente dalla cultura mafiosa della classe dominante, con buona pace di Gramsci; sono semplicemente EMIGRATI, hanno SCELTO di emigrare.

 Un MILIONE di siciliani sono emigrati dopo la sconfitta dei Fasci, un MILIONE E MEZZO nel dopoguerra, una vera ferita nel corpo della Sicilia, la cui “onda lunga” come la chiama Umberto Santino, ancora si fa sentire.

E se i Siciliani dopo la sconfitta del Movimento dei Fasci e dell’occupazione delle terre,(Vedi Umberto Santino Centro Impastato) piuttosto che fare affidamento sulla mafia,  hanno scelto di emigrare in massa non funziona neanche l’assunto del primo punto:
1) c’è un popolo siciliano pervaso di cultura mafiosa per effetto di EGEMONIA 

Quello che mi chiedo infatti  è come può per effetto di egemonia essere inculcata nel popolo una “mafiosità” che la classe dominante “borghesia mafiosa” fa di tutto per occultare! La mafia “liquida” e con una sempre maggiore capacità di mimetizzazione, la mafia che è entrata in borsa si presenta infatti con le vesti del perbenismo

 

Ed ecco che Marino a pag.18 (op.cit.) a proposito, (ed erroneamente a sostegno, come dirò) della “cosiddetta mafiosità” che ”indubitabilmente definisce un fenomeno reale di mentalità e di costume” (n.d.r.  la prima verità) ci dice che trova “impeccabile” quanto ha rilevato sull’argomento, in una recente intervista, il noto antropologo Luigi Maria Lombardi Satriani (2) il

quale, cita Marino, afferma che:


 «La mafia non è solo comportamento, è anche una cultura mafiosa nell'accezione antropologica, come maniera di sentire, pensare e agire».


Sempre a pag.18 Marino, continuando a citare il noto sociologo, dice di  trovare inquietante questa frase di Satriani:
  «Io, da quando ho cominciato a riflettere da antropologo sulla società meridionale, ho cercato di capire come la mafia poteva trovare consenso» [Lombardi Satriani, 1997].                                                                


Frase che Marino commenta dicendo che <<è una constatazione, questa del consenso, della cui oggettività è difficile dubitare. Sempre che l’esistenza di una “cultura mafiosa” non sia incautamente assunta ─ lo si è già detto e pare opportuno insistere ancora sull’argomento ─ come un dato antropologico da riferire ad una astratta “natura” dei siciliani in quanto siciliani.>>.

 Più avanti, a pag.25 Marino continua dicendo che  le affermazioni di Lombardi Satriani sulla cultura mafiosa  sono  “condivisibili solo e soltanto a condizione di considerare responsabili del rapporto organico tra sicilianità e cultura mafiosa i ceti dominanti dell’isola, e non genericamente i siciliani.” 

 
Non me ne voglia il Prof. Marino, ma io trovo impropri i suoi due precedenti commenti a Satriani.  A me sembra infatti che non è certo il Satriani  che può indurci ad assumere incautamente la cultura mafiosa come un dato antropologico dei siciliani o a considerare questi in qualche modo responsabili di un presunto rapporto organico tra sicilianità e cultura mafiosa. Non solo, ma non trovo neanche inquietante (come dice Marino) che Satriani  abbia cercato di capire come la mafia abbia trovato consenso.

 

Ed ecco perché. Il sociologo nel prosieguo della sua intervista dice:


“I valori che la mafia dice di avere sono quelli della dignità individuale, dell'onore, del rispetto della "parola": una serie di valori analoghi a quelli della cultura popolare. Il problema è che, mentre i valori della cultura popolare sono realmente perseguiti, voluti, come forme di autorealizzazione, i valori mafiosi sono "detti" per acquisire consenso, e vengono vissuti in maniera però truffaldina, perché servono per coprire il comportamento violento.”

 

 

Marino invece, pur escludendo che il consenso alla mafia si possa fare risalire:

 

 “ad una qualche originaria affinità antropologica tra la cultura popolare siciliana e la mafiosità ovvero a una qualche  misteriosa predisposizione del popolo siciliano a generare la mafia, quasi “per generazione spontanea”

 

 a pag.19 ci dice che la mafia ha trovato “ampio e radicato consenso permeando la cultura popolare”, (n.d.r.  la prima verità), e non come spiega ampiamente Satriani, assumendo come propri i valori della cultura popolare (che è cosa ben diversa).

 

Lo stesso concetto del Satriani è affermato dallo storico Salvatore Lupo il quale in Storia della mafia Donzelli 2007  Cap. III 6 Culture: dentro e fuori l’organizzazione a pag.163 scrive:

  <<Invece io credo che esista un’ideologia mafiosa che riflette i codici culturali ma soprattutto per deformarli, riappropriarsene, farne un complesso di regole tese a garantire la sopravvivenza dell’organizzazione, la sua coesione, la sua capacità di trovare consenso, di incutere terrore all’interno e all’esterno>>

 

Riepilogando due sono le posizioni in merito:
1) Marino
   La mafia ha trovato “ampio e radicato consenso permeando la cultura popolare”.


2) Satriani e Salvatore Lupo
  La mafia trova consenso assumendo come propri i valori      della cultura popolare, valori semplicemente “detti”, ma vissuti in maniera truffaldina

 

Se accettiamo, come io accetto, la tesi di Satriani e di Salvatore Lupo bisogna aggiungere che la mafia militare pesca in Sicilia consenso e manovalanza nella disoccupazione, nella miseria e nell’ignoranza.  

 

Il consenso, invece, di chi ad alti livelli finanziari  fa affari con la mafia è uguale in Sicilia come nel resto del paese e del mondo. E è il prof. Marino che ci spiega come  (pag.125 op.cit.) 

“Si va formando una “società civile” internazionale (nel senso gramsciano) nella quale un sostanziale metodo “mafioso” dei potenti viene occultato da enfatici richiami alle libertà, affermandone nel contempo – tramite un tanto ostentato quanto falsante a-ideologismo trasmesso alle masse dei subalterni come messaggio di concretezza e senso collettivo dei valori democratico-liberali – un’ineluttabilità valutata come di per sé virtuosa, in coerenza con il contestuale mito delle “virtù” attribuite al cosiddetto “libero mercato”. 

 

In conclusione Marino, quando parla della mafia globale, sembra sposare la tesi n.2, cioè pensa anche lui che il consenso la mafia lo trova “occultando un sostanziale metodo mafioso” con “enfatici richiami alla libertà” e alle virtù del libero mercato,  cioè, possiamo dire, con l’inganno (i valori “vissuti in maniera truffaldina” di Satriani).
 D'altronde sarebbe difficile sostenere che “C’è un popolo GLOBALE pervaso di cultura mafiosa per effetto di EGEMONIA” 

Quando invece parla della Sicilia sostiene la tesi n.1:
   La mafia ha trovato “ampio e radicato consenso permeando la cultura popolare”.

 

Ma Marino, che prima che storico è un “compagno” attento ai problemi sociali, ci parla anche di “giustizia sociale” da realizzare se vogliamo veramente combattere la mafia.  

“Non esiste – egli dice -  una qualsiasi legalità che sia degna di essere tutelata e difesa se non coincide con la giustizia sociale negata dal capitalismo” (3)

Infatti, solo una RIVOLUZIONE socialista, realizzando la giustizia sociale, può sconfiggere la mafia.

Giuseppina Ficarra

(*)Ho tratto le citazioni di Giuseppe Carlo Marino dalle bozze del suo libro, "Globalmafia. Come combatterla" che ho scaricato dal sito dell’università: http://www.unipa.it/scienzepolitiche/dispense/nuovo_saggio_mafia_globalizzata.doc

(*) Umberto Santino Centro Impastato:  Gli psicologi hanno riproposto il mito della Sicilia inchiodata alla sua diversità, affetta da un sentire e da uno psichismo mafiosi trasmessi transpersonalmente, cioè inconsciamente, in cui il familismo amorale non consente lo svilupparsi del senso dello Stato, della polis, e i comportamenti controcorrente si limitano a pochi personaggi considerati alieni [F. Di Maria - G.Lavanco 1995; I. Fiore 1997; G. Lo Verso 1998; F. Di Maria 2005]. Si propone così una sorta di lombrosismo psichico e si ignora che senza il rapporto con le istituzioni la mafia non esisterebbe e che allo scontro con la mafia si sono mossi in Sicilia movimenti di massa tra i più grandi d'Europa, la cui sconfitta si deve proprio al ruolo della mafia come componente di un blocco dominante e alla sua interazione con il potere costituito [U. Santino 2000a]. http://www.centroimpastato.it/publ/online/scienze_sociali.php3   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                             LE DUE ITALIE DELLA MATURITA’

Giuseppina Ficarra·Sabato 27 agosto 2016

 

L’articolo di Gian Antonio Stella (*) come sospettavo è privo di qualunque fondamento. E da esperta di valutazione scolastica proverò brevemente a spiegare il perché. Quello che Stella vuole contestare è il fatto che <<I numeri pubblicati ieri raccontano di un Mezzogiorno che trabocca di giovani diplomati con 100 e lode, con la Puglia che gode di una quota di geni proporzionalmente tripla rispetto al Piemonte o al Veneto, quadrupla rispetto al Trentino, quintupla rispetto alla Lombardia.>>

E come fa? Si avvale delle prove INVALSI, cioè della valutazione scientifica. Si proprio cosi, valutazione oggettiva e quindi scientifica e perciò a maggior ragione credibile più di quanto possa esserlo una valutazione soggettiva. Benissimo! E Stella cita il rapporto Invalsi 2015 che dice: «Il quadro generale delineato dai risultati delle rilevazioni, che non è particolarmente preoccupante a livello di scuola primaria, cambia in III SECONDARIA DI PRIMO GRADO, assumendo le caratteristiche ben note anche dalle indagini internazionali (...): il Nordovest e il Nordest conseguono risultati significativamente superiori alla media nazionale, il Centro risultati intorno alla media e il Sud e le Isole risultati al di sotto di essa». E si stupisce il povero Stella che solo dopo due anni (terzo e quarto anno del superiore) le cose cambiano e si e ci chiede: <<Allora, come la mettiamo? Come possono i monitoraggi nazionali e internazionali sui ragazzi fino a quindici anni segnalare nel Mezzogiorno una scuola in grave affanno e i voti alla maturità una scuola ricca di spropositate eccellenze? >> La spiegazione è semplice. Gli alunni che arrivano al quarto superiore hanno superato due serie prove di valutazione: la prima quella della terza media e la seconda l’ammissione al quarto superiore. Soprattutto all’ammissione al quarto superiore avviene una fortissima selezione,e al sud, come testimonia il rapporto INVALSI del 2015 citato da Stella, i risultati sono molto al di sotto della media. Come dicevo prima gli alunni che arrivano al quarto superiore e poi alla maturità sono alunni che hanno superato una forte selezione. Fino al terzo superiore la popolazione scolastica rispecchia il quadro socioeconomico di questo Sud povero. A mano a mano che gli studi si fanno più difficili l’appartenenza ad una determinata condizione sociale più che ad un’altra conta e come. I figli di avvocati, ingegneri, professori, di gente benestante hanno maggiore possibilità di farcela perché dispongono di un supporto culturale ed economico (ripetizioni private) che altri non hanno. E sono in larga parte questi ragazzi più fortunati assieme ad altri anche poveri ma superdotati (e al sud proprio non ne mancano) che superano le forche caudine dell’ammissione in IV secondaria.
 Ebbene, questi ragazzi selezionati che ora frequentano la quarta e quinta classe e giungono alla maturità diciamo che socialmente mostrano ora quadro socioculturale simile a quello dei ragazzi del Nordovest e il Nordest!!!
MA CONSEGUONO RISULTATI MIGLIORI!!
Apriti cielo… questo è quello che il Nordovest e il Nordest LEGHISTI e il FAZIOSO Stella non possono accettare!! E a questo punto si passa a considerazioni vergognosamente offensive, leghiste appunto!! Ecco cosa scrive Stella: Ecco cosa scrive Stella: << probabile la tesi che i professori del Sud, per una sorta di solidarietà meridionale basata sul comune sentimento di emarginazione e di abbandono, abbiano verso gli studenti la manica un po’ più larga>> Cioè Stella accusa i professori del sud di falso ideologico.   E mi risulta che estimatori di Stella, fedeli lettori del Corriere, aggiungono anche l’accusa di sicilianismo!!! Incitano infatti i siciliani “a non assumere una posizione culturale subalterna e gridare all’antimeridionalismo, all’attacco del Nord contro il Sud, non assumere cioè una sterile posizione vittimista.” E invece proprio di becero antimeridionalismo leghista si tratta e non altro!!

 Concordo pienamente con quanto scrive in proposito Pietro Ancona e cioè che
 c'è una campagna in corso per denigrare e quindi escludere da incarichi dirigenziali i meridionali che surclassano regolarmente altri nei pubblici concorsi”. Non c'è dubbio, continua Ancona, che “il livello culturale del Sud finora si è sempre imposto laddove è più visibile: nella pubblica amministrazione. I gradi altissimi ed alti della Magistratura, della Polizia, dei Carabinieri, delle amministrazioni dello Stato sono in grande parte occupati legittimamente da meridionali. Non è raro che Presidenti di Tribunali o Provveditori alle Opere Pubbliche giunti alle loro cariche perchè vincitori di concorso siano meridionali cioè compaesani di Archimede, Pitagora, Benedetto Croce, Leonardo Sciascia,.GB Vico.... E' un attacco studiato a tavolino quello in corso che tuttavia ha finalità non solo antimeridionalistiche ma anche generali-Si vuole denigrare un grande patrimonio culturale umano che ha fatto per la crescita dell'Italia la sua parte come la fabbrichetta del Nord. Si vuole raccogliere il pregiudizio leghista contro il sud frutto spesso di invidia e di malanimo per creare una ampia zona di favore ed un privilegio su quanti finora si sono sentiti frustrati dal successo dei meridionali nella competizione.”

 

Giuseppina Ficarra

 

 

 p.s. Da notare che, come risulta da indagini statistiche varie, agli scrutini finali delle classi del superiore (e quindi anche della terza classe) nel Mezzogiorno d’Italia c’è uno scarto di 2-5 punti tra i tassi degli alunni non promossi della Sicilia e Sardegna rispetto a quello delle altre regioni. C’è da pensare che i docenti delle Isole adottano criteri di valutazione più rigidi dei loro colleghi del resto d’Italia, altro che manica larga come sostiene il leghista Stella e non solo lui!!!

Tenuto quindi conto della forte selezione nelle classi precedenti oltre che naturalmente delle eccelse doti di molti dei nostri alunni, sono più che comprensibili i risultati eccellenti del Sud con buona pace di Stella e dei suoi estimatori leghisti!

https://www.facebook.com/notes/giuseppina-ficarra/le-due-italie-della-maturita/189651748105019 

 

 

(* )  http://www.corriere.it/digital-edition/CORRIEREFC_NAZIONALE_WEB/2016/08/12/1/le-due-italie-della-maturita_U43210906242481KWH.shtml   

 

Commenti:
Giuseppe Carlo Marino E' sempre andata più o meno come Giuseppina, giustamente indignata, ha ben spiegato. Anche nell'Ottocento le cose andavano così nel rapporto Nord-Sud. Si pensi che negli anni trenta dell'Ottocento una regione come la Sicilia era agli ultimi posti in Italia per l'alfabetizzazione, ma aveva un numero di laureati - per Stella sarebbe inspiegabile e "truffaldino" - che era tra i maggiori d'Italia. Dellka questione mi occupai tanti anni fa nel mio fortunato libro "La formazione dello spirito borghese in Italia" (La Nuova Italia, 1974) che pochi ormai, anche tra i cosiddetti "esperti", conoscono, almeno in Italia (ben al contrario di quanto avviene ancora all'estero). Ogni tanto un'autocitazione ci vuole, se non altro perché la fatica di "fare storia" può ormai contare, assai drammaticamente, soltanto su se stessa, mentre la gente tende a dar credito ai pennivendoli. Essere umili, da queste parti, non paga.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

APPENDICE

 

 

 Il 20 ottobre 2011 moriva barbaramente trucidato Muammar Gheddafi.di Giuseppina Ficarra


“E’ morto il 20 Ottobre 2011, lui che aveva liberato il popolo libico dal giogo della monarchia, dell'arretratezza e del colonialismo è stato brutalmente eliminato senza processo dai sedicenti amanti della libertà, della giustizia e della democrazia, a riprova di quanto potesse essere d'impaccio per quei servi dell'imperialismo e del colonialismo europeo”. Da
Epitaffio a Muammar Gheddafi”
(1)

 

Non.era.un..dittatore. come . l’Occidente  democratico, esportatore di “democrazia” si ostina con disprezzo a chiamarlo affinché la guerra, oltre che giusta, diventi anche “santa”.

 
In Wikipedia si legge:     “Per quarantadue anni è stato la massima autorità del proprio paese, fino alla sua deposizione da parte del Consiglio nazionale di transizione (CNT) durante la Guerra civile libica del 2011, senza ricoprire stabilmente alcuna carica ufficiale ma fregiandosi soltanto del titolo onorifico di Guida e Comandante della Rivoluzione della Grande Jamāhīriyya Araba Libica Popolare”.(2)


Non era neanche un capitalista filo imperialista


Chi si accinge a scrivere la storia dalla parte dei vincitori, per distruggere moralmente la Guida della Rivoluzione della Grande Jamāhīriyya Araba Libica Popolare, si premura infatti di farci sapere:

“quanto importanti e lucrosi siano stati i contratti conclusi con Tripoli tra il 2004 e il 2010 da British Petroleum, Exxon Mobil, Halliburton, Chevron, Conoco, Marathon Oil e da giganti del complesso militare-industriale yankee quali Raytheon, Northrop Grumman, Dow Chemical, Flour, Generai Dynamics.” (da Il cuneo rosso n.1  luglio 2012 Marghera/Venezia).


Questi  aspiranti “storici”  non ricordano che lo stesso Lenin con la fine della guerra civile, per procedere verso il socialismo  e ridare fiato all'economia non aveva disdegnato di ristrutturare le aziende anche con la collaborazione del capitalismo mondiale.
(3)

E’ quello che ha fatto per un certo periodo la Libia stretta dall’embargo per ridare fiato alla propria economia a tutto vantaggio di uno dei welfare più alti conosciuti.


La domanda è: quando mai gli USA hanno fatto la guerra ad un dittatore capitalista filo imperialista?

Ma ad un antimperialista e filo-palestinese SI!

E Gheddafi   antimperialista e filo- palestinese  lo era!

Ecco un suo Intervento alla Tv libica – 1985  (Il manifesto
” 27 agosto 2011):

Tripoli, 17 aprile - Il colonnello Muammar Gheddafi ha parlato iersera alla televisione libica. Dopo un saluto alle popolazioni arabe, Gheddafi ha  chiesto alla nazione araba di interrompere le relazioni  diplomatiche con gli Stati Uniti.  [……] Gheddafi ha poi detto: «Allah è il più grande. Più grande dell'America, più grande del patto Nato.  La grandezza, qui, è di un piccolo stato che fronteggia da solo le flotte americane e nordatlantiche. […..] «Noi in Libia lavoriamo per unificare la nazione araba e per liberare l'intera Palestina. »
Ansa-Jana, 17 aprile 1986 (4)

 

E a proposito di “democrazia”:

per Gheddafi il Parlamento italiano   commise un crimine autorizzando i bombardamenti sulla Libia. "Ma - disse - ci rendiamo conto che non esiste un Parlamento in Italia, né tanto meno la democrazia.   Solo l'amico popolo italiano vuole la pace".

 

Come scrivevo circa un anno fa su fb (5), queste parole di Gheddafi mi hanno fatto riflettere quanto sia sbagliato giudicare altre forme di governo, di tipo socialista, oggi esistenti nel mondo (Cuba, la Libia prima che fosse distrutta e pochi altri) con il metro della democrazia. Per essere valido un criterio di valutazione deve essere in grado di "misurare" ciò che vogliamo valutare. Con il metro della "democrazia" possiamo valutare soltanto altre democrazie. ………………………..
(Criterio viene da setaccio, in siciliano "crivo" , strumento a maglie più o meno sottili. Non posso usare un setaccio buono per selezionare piselli e classificarli, per esempio, come "finissimi" per valutare la misura di biglie per il golf! o peggio qualcosa che non sia neanche di forma sferica!!).

Negli anni '50 mai avremmo valutato con questo metro il governo dell'Unione sovietica. Che poi questo governo sia imploso é un altro discorso. Alcuni compagni da allora "studiano" un modo per rifondare il Comunismo (partito della Rifondazione…..).

Non mi risulta che abbiano nel frattempo trovato un criterio per giudicare i governi di Cuba, Libia, etc. Se così volessero fare, usando il criterio della "democrazia", dovrebbero catalogare i suddetti governi come dittature "fasciste". Compagni, siamo proprio sicuri che quella di Cuba  sia una dittatura fascista?

Che cosa possiamo ragionevolmente valutare allora se parliamo di Cuba o della ex Libia senza essere arroganti ed eurocentrici, senza mancare di rispetto e comprensione per altre forme di organizzazione della società determinate da altra storia e altre culture? Possiamo giudicare, per esempio, il livello di vita dei cittadini, il rispetto dei diritti umani. L'ONU in tal senso meno di un anno prima dell’aggressione, aveva dato una "buona" pagella alla Libia!!!

 

Ricordo che nel libro verde Gheddafi aveva esposto  la sua visione della democrazia e dell'economia. Rigettando l'insieme dei principi della democrazia liberale, auspicava una forma di democrazia diretta basata sui comitati popolari.

Gheddafi nel testo accusava i sistemi antecedenti di non essere democratici, poiché in questi sistemi al popolo viene concesso solo di eleggere i loro rappresentanti. Questi rimangono distanti e indipendenti nel loro agire; di qui, Gheddafi asserisce che non vi è diretto influsso del popolo sul sistema politico né della democrazia né del comunismo. Quindi fa una proposta di sistema: la partecipazione del popolo al processo politico deve essere assicurata attraverso gli strumenti del "Congresso popolare" e dei "Comitati popolari".

 Gheddafi definì la sua come la "Terza teoria universale", che si proponeva come alternativa al capitalismo e al comunismo, nel solco del socialismo arabo. Negli anni successivi, i principi del libro verde vennero messi in pratica nell'organizzazione della Jamāhīriya libica.)

 

Quest’uomo il 20 ottobre del 2011 è stato barbaramente trucidato perché non “parlasse” più, perché fosse cancellato dalla storia.

 

      Cito da Perché anonimo siciliano di Angelo Ficarra (6):

 

      “Condannati ad essere cancellati dalla storia. Cancellati loro e le loro idee. Condannati perché hanno osato dire di no e perciò eretici. Rimossi per accreditare più facilmente la vulgata, lo stereotipo con cui hanno diffuso la menzogna che gli ha consentito di costruire il loro potere”.

Giuseppina Ficarra      

 

p.s. dedicato a quanti pensavano con Paolo Ferrero che “la costruzione di una Libia democratica - senza il dittatore Gheddafi - fosse un obiettivo legittimo”.…………………
http://lnx.paoloferrero.it/blog/?p=3877

 

Note:

(1) Epitaffio a Muammar Gheddafi
http://russiacommmunity.forumcommunity.net/?t=48335976#lastpost

(2) http://it.wikipedia.org/wiki/Mu%27ammar_Gheddafi
(3) Lenin e la democrazia Lettere agli operai d’Europa e d’America http://www.facebook.com/notes/giuseppina-ficarra/lenin-e-la-democrazia-lettere-agli-operai-deuropa-e-damerica/10150426242244605     

(4) http://salvatoreloleggio.blogspot.it/2011/09/citazioni-del-colonnello-gheddafi-dai.html     
 
(5).https://www.facebook.com/note.php?saved&&note_id=10150186272819605#!/note.php?note_id=10150177725484605

(6) Perché  anonimo siciliano di Angelo Ficarra http://anonimosiciliano.wordpress.com/   


Scheda curata da me sulla Libia e Gheddafi in:
http://www.spazioamico.it/Egitto,_Tunisia_Libia.htm  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

INDICE
0

    Prologo

1
-  Parliamo di sicilianismo

 

2- Palizzolo  Cuffaro e il Comitato pro-Sicilia  

 

3- Parliamo di familismo amorale

 

4Delitto Notarbartolo alla luce del "Il ritorno del Principe"  

 

-5Io insegnante meridionale nel profondo Nord  

 

-6Ancora io insegnante meridionale
 …….

- 7Falone e Borsellino vent’anni dopo

 

8Lo “scandalo della Sicilia” come lo chiama Giuseppe Carlo

Marino

 

9LE DUE ITALIE DELLA MATURITA’

 

 

APPENDICE

 

10- Un anno fa moriva barbaramente trucidato Muammar Gheddafi.