Spazioamico

RASSEGNA STAMPA

PRESENTAZIONI

ATEI  e AGNOSTICI

MEMORIE

                                                                  RASSEGNA STAMPA    

                                            2016 - 2017  

2016.
- In Gran Bretagna ha vinto il Brexit.
- Negli U$A ha vinto Trump, e i globalisti bancariofinanziari han perso..
- Gli Italiani hanno respinto la deforma bancarioeuropeista.
- Russi e Siriani hanno cacciato I$I$ da Aleppo.

2017.
SE il nuovo presidente U$A manterrà gli impegni elettorali (SE) ALLORA assisteremo a cambiamenti notevoli.
1) Anzitutto Trump dichiara indispensabile la normalizzazione delle relazioni con la Russia, che non implica solo la fine della "nuova guerra fredda", ma anche delle immotivate "sanzioni commerciali". A quel punto l'Unione Europea si troverebbe isolata nella politica antirussa, e non avrebbe più scuse credibili per mantenere le sanzioni europee (presentate come richieste da Oblablama), la cui fine permetterebbe a molti commercianti europei ed italiani di ripristinare le attività economiche perdute con l'insensato muro eretto negli ultimi anni.Finora, i segnali di distensione tra Trump e Putin sembrano del tutto credibili.
2) Trump si è presentato esplicitamente come protezionista, fatto che non solo gli ha guadagnato consensi tra l'elettroato, ma di cui gli U$A hanno bisogno, per riequilibrare la propria economia interna.
Gli $tati Uniti sono un importatore netto, il che amplifica continuamente il loro debito.
La Germania è un esportatore netto, e gli U$A sono il suo principale sbocco.
Una volta che Trump abbia attivato una politica di dazi doganali mirati la Germania si troverà inevitabilmente costretta a ridimensionare il suo export negli U$A, perdendo una grande fetta di intoiti che difficilmente potrà compensare con il mercato interno europeo, essendo i paesi dell'eurozona in crisi proprio per il cambio monetario fisso che favorisce Berlino, quindi non nelle condizioni di aumentare le proprie importazioni solo per fare un favore a Frau Fhurer Merkel.
Sommando tutto, la già precaria coesione di Unione Europea ed Eurozona Germanocentriche subirà un forte contraccolpo, aumentando il peso delle contraddizioni strutturali.
O gli europei riscriveranno i trattati in forma più debole e meno rigida, o cercheranno di ignorarli di fatto, o il sistema si disgregherà ancora più di quanto già sia (che il progetto euro non avrebbe potuto funzionare lo aveva già spiegato Nicholas Kaldor 45 anni fa, tre decenni prima della sua introduzione).
In ogni caso, dal momento che il corso politico ed economico U$A ha sempre un grande peso in Europa (e specialmente in Italia!) la questione degli strumenti di politica economica nazionali emergerà nuovamente in primo piano ovunque (anche a casa nostra), mentre il liberismo globalista si troverà in difficoltà sempre maggiore, probabilmente avviato al declino.
3) Va aggiunto che una politica di distensione non belligerante e una linea economica antiliberista sono coerenti tra loro, poiché il liberismo del XX secolo ha avuto grande peso nel costruire i presupposti di due guerre mondiali.
4) Tra appena tre settimane potremo cominciare a vedere se alle parole (elettorali) seguiranno i fatti.
Le motivazioni concrete per dare il via ai fatti, però, esistono, eccome se esistono

 

 Ferdinando Imposimato, giudice istruttore del caso Moro 

Morte di Moro, il giudice Imposimato: “Vi spiego il complotto”

di Michael Pontrelli

http://archivio.notizie.tiscali.it/articoli/interviste/13/06/intervista_imposimato_caso_moro.html?redirect=true

 

Ferdinando Imposimato è stato il giudice istruttore del caso Moro di cui ha condotto i primi tre processi. Tra i tanti casi importanti seguiti nel corso della sua lunga carriera quello del rapimento e dell’uccisione del leader democristiano lo ha segnato particolarmente. A distanza di oltre 30 anni, ha fatto riaprire il fascicolo presso la Procura di Roma ed ha raccontato la sua testimonianza nel libro “I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia” pubblicato da Newton Compton Editori

Iniziamo dal sottotitolo del suo libro. Perché Aldo Moro doveva morire?
“Perché c’erano diversi moventi contro di lui. Prima di tutto le ambizioni politiche e private dei suoi compagni di partito tra cui Giulio Andreotti e Francesco Cossiga i quali intervennero, secondo le dichiarazioni di un testimone che saranno accertate dalla magistratura di Roma, per indurre il generale Dalla Chiesa a desistere dall’operazione militare di salvataggio”.

Quindi un movente di antagonismo intermo alla Democrazia Cristiana.
“Esatto, come del resto aveva capito già da tempo lo stesso Aldo Moro il quale disse che all’interno del suo partito c’era un gruppo di destra coinvolto nella strategia della tensione”.

Gli altri moventi?
“Due fattori internazionali. Uno che faceva capo agli Stati Uniti e ad altri paesi dell’occidente come Inghilterra e Germania e un altro che faceva capo all’Unione Sovietica. I servizi segreti di questi Stati hanno avuto un ruolo attivo nella vicenda". 

Perché l’America aveva interesse ad eliminare Moro?
“Per impedire il compromesso storico. Per gli Stati Uniti era inaccettabile il peso del Partito Comunista nel più importante paese del Mediterraneo. Questo fatto costituiva una spina nel cuore dell’apparato difensivo occidentale in quanto all’epoca si pensava che il Pci fosse legato a Mosca”.

La posizione degli Stati Uniti non desta particolare sorpresa. E’ meno facile invece comprendere la contrarietà dell’Unione Sovietica a Moro.
“Anche la Russia vedeva nel compromesso storico una minaccia e questa posizione è confermata dall’offensiva scatenata da Mosca anche nei confronti di Enrico Berlinguer. Nel libro cito un episodio del 1973 che è stato scoperto solamente 18 anni dopo. Si tratta di un attentato organizzato dal Kgb contro il segretario del Pci durante una visita in Bulgaria che si salvò da un incidente stradale simulato solo per puro miracolo. Fu lo stesso Berlinguer a volere che il fatto non venisse divulgato”.

Molti aspetti di questa triste pagina della storia italiana si stanno chiarendo dopo più di 30 anni. Lei è stato il giudice istruttore del caso. Se fosse possibile tornare indietro farebbe le stesse cose di allora? Sarebbe stato possibile far emergere la verità da subito?
“No, non sarebbe stato possibile. Il coinvolgimento dei servizi segreti occidentali e russi cambia lo scenario ma non dal punto di vista esecutivo e organizzativo. Le Brigate rosse hanno materialmente eseguito la strage di via Fani e il sequestro e omicidio di Aldo Moro. La sentenza di condanna delle Br rispecchia i fatti. Quello che io non sapevo all’epoca, e che è emerso solo successivamente, è che la prigione del presidente della Dc era stata trovata da organismi dello Stato e quindi che sarebbe stato possibile evitare la sua morte”.

Possibile che niente facesse pensare fin da allora che qualcosa non tornava?
“All’epoca non c’era il minimo indizio che potesse far credere ad un comportamento simile da parte

 
 Assange e il futuro del mondo

In un estratto dell'intervista di John Pilger ad Assange, prodotta dalla Dartmouth Films e che verrà trasmessa nella sua versione integrale da RT sabato, Julian Assange accusa Hillary Clinton di nascondere agli americani la vera portata del sostegno degli alleati di Washington allo Stato Islamico.

In una email del 2014 pubblicata da WikiLeaks nel mese scorso, Hillary Clinton, che era stata Segretario di stato fino all'anno prima, sollecita John Podesta, allora consigliere di Barack Obama, a "esercitare pressioni" sul Qatar e l'Arabia Saudita "che stanno fornendo supporto finanziario e logistico clandestino all'ISIL [Stato islamico, IS, ISIS] e altri gruppi sunniti radicali."

"Penso che questa sia l'e-mail più significativa di tutte", dichiara Assange. "Tutti gli analisti seri sanno, e anche il governo degli Stati Uniti lo ha accettato, che alcune figure saudite hanno sostenuto l'ISIS e il finanziamento allo Stato Islamico, ma il mantra è sempre stato: si tratta di alcuni" principi canaglia" che utilizzano i loro soldi del petrolio per fare ciò che vogliono, ma in realtà il governo disapprova. Queste email ci dicono che è il governo dell'Arabia Saudita e il governo del Qatar che stanno finanziando l'ISIS".

Assange e Pilger hanno conversato per 25 minuti presso l'Ambasciata dell'Ecuador a Londra, dove il primo è rifugiato dal 2012.

John Pilger:
I sauditi, il Qatar, i marocchini, il Bahrein, in particolare i primi due, davano tutti questi soldi alla Fondazione Clinton, mentre Hillary Clinton era segretario di Stato, e il Dipartimento di Stato approvava massicce vendite di armi, in particolare l'Arabia Arabia.

Julian Assange:
Sotto Hillary Clinton - e le email Clinton rivelano una discussione significativa su questo tema - è stato siglato il più grande contratto di sempre in temi di armi e con l'Arabia Saudita: più di 80 miliardi di dollari. Durante il suo mandato, il totale delle esportazioni di armi dagli Stati Uniti sono raddoppiate.

John Pilger: Naturalmente, la conseguenza di ciò è la nascita del gruppo jihadista noto come ISIL o ISIS. E' stato creato in gran parte con i soldi di persone che finanziavano contemporaneamente la Fondazione Clinton?

Julian Assange: Sì.

http://www.ilblogdellestelle.it/assange_smaschera_la_clinton_sullisis.html

"Julian Assange, il 15 giugno 2012 capisce che per lui è finita. Si trova a Londra. Gli agenti inglesi l’arresteranno la settimana dopo, lo porteranno a Stoccolma, dove all’aereoporto non verrà prelevato dalle forze di polizia di Sua Maestà la regina di Svezia, bensì da due ufficiali della Cia, e un diplomatico statunitense, i quali avvalendosi di accordi formali tra le due nazioni farà prevalere il “diritto di opzione militare in caso di conflitto bellico dichiarato” sostenendo che Assange è “intervenuto attivamente” all’interno del conflitto Nato-Iraq mentre la guerra era in corso. Lo porteranno direttamente in Usa, nel Texas, dove verrà sottoposto a processo penale per attività terroristiche, chiedendo per lui l’applicazione della pena di morte sulla base del Patriot Act Law. Si consulta con il suo gruppo, fanno la scelta giusta dopo tre giorni di vorticosi scambi di informazioni in tutto il pianeta: “Vai all’ambasciata dell’Ecuador a piedi, con la metropolitana, stai lì”. Alle 9 del mattino del 19 giugno entra nell’ambasciata dell’Ecuador. Nessuna notizia, non lo sa nessuno. Il suo gruppo apre una trattativa con gli agenti inglesi a Londra, con gli svedesi a Stoccolma e con i diplomatici americani a Rio de Janeiro. Raggiungono un accordo: “Evitiamo rischio di attentati e facciamo passare le Olimpiadi, il 13 agosto se ne può andare in Sudamerica, facciamo tutto in silenzio, basta che non se ne parli”. I suoi accettano, ma allo stesso tempo non si fidano degli anglo-americani. Si danno da fare e mettono a segno due favolosi colpi. Il primo il 3 agosto, il secondo il 4.
Il 3 agosto, con un anticipo rispetto alla scadenza di 16 mesi, la presidente della Repubblica Argentina, Cristina Kirchner, si presenta alla sede di Manhattan del FMI con il suo ministro dell’economia e il ministro degli esteri ecuadoregno Patino, in rappresentanza di “Alba” (acronimo che sta per Alianza Laburista Bolivariana America), l’unione economica tra Ecuador, Colombia e Venezuela. La Kirchner si fa fotografare e riprendere dalle televisioni con un gigantesco cartellone che mostra un assegno di 12 miliardi di euro intestato al FMI con scadenza 31 dicembre 2013, che il governo argentino ha versato poche ore prima. “Con questa tranche, l'Argentina ha dimostrato di essere solvibile, di essere una nazione responsabile, attendibile e affidabile per chiunque voglia investire i propri soldi. Nel 2003 andammo in default per 112 miliardi di dollari, ma ci rifiutammo di chiedere la cancellazione del debito: scegliemmo la dichiarazione ufficiale di bancarotta e chiedemmo dieci anni di tempo per restituire i soldi a tutti, compresi gli interessi. Per dieci, lunghi anni, abbiamo vissuto nel limbo. Per dieci, lunghi anni, abbiamo protestato, contestato e combattuto contro le decisioni del FMI che voleva imporci misure restrittive di rigore economico sostenendo che fossero l’unica strada. Noi abbiamo seguito una strada opposta: quella del keynesismo basato sul bilancio sociale, sul benessere equo sostenibile e sugli investimenti in infrastrutture, ricerca, innovazione, investendo invece di tagliare. Abbiamo risolto i nostri problemi. Ci siamo ripresi e siamo in grado di saldare l’ultima tranche con 16 mesi di anticipo. Le idee del FMI e della Banca Mondiale sono idee errate, sbagliate. Lo erano allora, lo sono ancor di più oggi. Chi vuole operare, imprendere, creare lavoro e ricchezza, è benvenuto in Argentina: siamo una nazione che ha dimostrato di essere solvibile, quindi pretendiamo rispetto e fedeltà alle norme e alle regole, da parte di tutti, dato che abbiamo dimostrato, noi per primi, di rispettare i dispositivi del diritto internazionale.”. Subito dopo la Kirchner ha presentato una denuncia formale contro la Gran Bretagna e gli Usa al WTO, coinvolgendo il FMI grazie ai file messi a disposizione da Wikileaks, cioè Assange. L’Argentina ha saldato i debiti, ma adesso vuole i danni. Con gli interessi composti. “Volevano questo, bene, l’hanno ottenuto. Adesso che paghino”. E’ una lotta tra la Kirchner e la Lagarde. Le due Cristine duellano da un anno impietosamente. Grazie ad Assange, dato che il suo gruppo ha tutte le trascrizioni di diverse conversazioni in diverse cancellerie del globo, che coinvolgono gli Usa, la Gran Bretagna, la Francia, l’Italia, la Germania, il Vaticano, dove l’economia la fa da padrone. Osama Bin Laden è stato mandato in soffitta e sostituito da John Maynard Keynes. Lui è diventato il nemico pubblico numero uno delle grandi potenze; in queste lunghe conversazioni si parla di come mettere in ginocchio le economie sudamericane, come portar via le loro risorse energetiche, come impedir loro di riprendersi e crescere, come impedire ai governi di far passare i piani economici keynesiani applicando invece i dettami del FMI il cui unico scopo consiste nel praticare una politica neo-colonialista a vantaggio soprattutto di Spagna, Italia e Germania, con capitali inglesi. Gran parte dei file sono già resi pubblici su internet. Gran parte dei file sono offerti da Assange all’ambasciatore in Gran Bretagna dell’Ecuador, la prima nazione del continente americano, e unica nazione nel mondo occidentale dal 1948, ad aver applicato il concetto di “debito immorale” ovvero “il rifiuto politico e tecnico di saldare alla comunità internazionale i debiti consolidati dello Stato perché ottenuti dai precedenti governi attraverso la corruzione, la violazione dello Stato di Diritto, la violazione di norme costituzionali”.
Il 12 dicembre del 2008, il neo presidente del governo dell’Ecuador Rafael Correa (Pil di 50 miliardi di euro, circa 30 volte meno dell’Italia) dichiara in diretta televisiva in tutto il continente americano (l’Europa non ha mai trasmesso neppure un fotogramma e difficilmente si trova nella rete europea materiale visivo) di “aver deciso di cancellare il debito nazionale considerandolo immondo, perché immorale; hanno alterato la costituzione per opprimere il popolo raccontando il falso. Hanno fatto credere che ciò chè è Legge, cioè legittimo, è giusto. Non è così: da oggi in terra d’Ecuador vale il nuovo principio costituzionale per cui ciò che è giusto per la collettività allora diventa legittimo”. Cifra del debito: 11 miliardi di euro. Il FMI fa cancellare l’Ecuador dal nòvero delle nazioni civili: non avrà mai più aiuti di nessun genere da nessuno “Il paese va isolato” dichiara Dominique Strauss Kahn, allora segretario del FMI. Il Paese è in ginocchio. Il giorno dopo, Hugo Chavez annuncia che darà il proprio contributo con petrolio e gas gratis all’Ecuador per dieci anni. Quattro ore più tardi, il presidente Lula annuncia in televisione che darà gratis 100 tonnellate al giorno di grano, riso, soya e frutta per nutrire la popolazione, finchè la nazione non si sarà ripresa. La sera, l’Argentina annuncia che darà il 3% della propria produzione di carne bovina di prima scelta gratis all’Ecuador per garantire la quantità di proteine per la popolazione. Il mattino dopo, in Bolivia, Evo Morales annuncia di aver legalizzato la cocaina considerandola produzione nazionale e bene collettivo. Tassa i produttori di foglie di coca e offre all’Ecuador un prestito di 5 miliardi di euro a tasso zero restituibile in dieci anni in 120 rate. Due giorni dopo, l’Ecuador denuncia la United Fruit Company e la Del Monte & Associates per “schiavismo e crimini contro l’umanità”, nazionalizza l’industria agricola delle banane (l’Ecuador è il primo produttore al mondo) e lancia un piano nazionale di investimento di agricoltura biologica ecologica pura. Dieci giorni dopo, i verdi bavaresi, i verdi dello Schleswig Holstein, in Italia la Conad, e in Danimarca la Haagen Daaz, si dichiarano disponibili a firmare subito contratti decennali di acquisto della produzione di banane attraverso regolari tratte finanziarie in euro che possono essere scontate subito alla borsa delle merci di Chicago.
Il 20 dicembre del 2008, facendosi carico della protesta della United Fruit Company, il presidente George Bush dichiara “nulla e criminale la decisione dell’Ecuador” annunciando la richiesta di espulsione del paese dall’Onu: “siamo pronti anche a una opzione militare per salvaguardare gli interessi statunitensi”. Il mattino dopo, il potente studio legale di New York Goldberg & Goldberg presenta una memoria difensiva sostenendo che c’è un precedente legale. Sei ore dopo, gli Usa si arrendono e impongono alla comunità internazionale l’accettazione e la legittimità del concetto di “debito immorale”. La United Fruit company viene provata come “multinazionale che pratica sistematicamente la corruzione politica” e condannata a pagare danni per 6 miliardi di euro. Da notare che il “precedente legale” (tuttora ignoto a gran parte degli europei) è datato 4 gennaio 2003 a firma George Bush. E' accaduto in Iraq che in quel momento risultava “tecnicamente” possedimento americano in quanto occupato dai marines con governo provvisorio non ancora riconosciuto dall’Onu. Saddam Hussein aveva lasciato debiti per 250 miliardi di euro (di cui 40 miliardi di euro nei confronti dell’Italia grazie alle manovre di Taraq Aziz, vice di Hussein e uomo dell’Opus Dei fedele al Vaticano) che gli Usa cancellano applicando il concetto di “debito immorale” e aprendo la strada a un precedente storico. Gli avvocati newyorchesi dell’Ecuador offrono al governo americano una scelta: o accettano e stanno zitti oppure, se si annulla la decisione dell’Ecuador, allora si annulla anche quella dell’Iraq e il tesoro Usa deve pagare subito i 250 miliardi di euro a tutti compresi gli interessi composti per quattro anni. Obama, non ancora insediato, ma già eletto, impone a Bush di gettare la spugna. La solida parcella degli avvocati newyorchesi viene pagata dal governo brasiliano.
Nasce allora il Sudamerica moderno. E cresce e si diffonde il mito di Rafael Correa, presidente eletto dell’Ecuador. Non un contadino indio come Morales, un sindacalista come Lula, un operaio degli altiforni come Chavez. Tutt’altra pasta. Proveniente da una famiglia dell’alta borghesia caraibica, è un intellettuale cattolico. Laureato in economia e pianificazione economica a Harvard, cattolico credente e molto osservante, si auto-definisce “cristiano-socialista come Gesù Cristo, sempre schierato dalla parte di chi ha bisogno e soffre”. Il suo primo atto ufficiale consiste nel congelare tutti i conti correnti dello Ior nelle banche cattoliche di Quito e dirottarli in un programma di welfare sociale per i ceti più disagiati. Fa arrestare l’intera classe politica del precedente governo che viene sottoposta a regolare processo. Finiscono tutti in carcere, media di dieci anni a testa con il massimo rigore. Beni confiscati, proprietà nazionalizzate e ridistribuite in cooperative agricole ecologiche. Invia una lettera a papa Ratzinger dove si dichiara “sempre umile servo di Sua Illuminata Santità” dove chiede ufficialmente che il Vaticano invii in Ecuador soltanto “religiosi dotati di profonda spiritualità e desiderosi di confortare i bisognosi evitando gli affaristi che finirebbero sotto il rigore della Legge degli uomini”. Tutto ciò lo si può raccontare oggi, grazie alla bella pensata del Foreign Office, andato nel pallone. In tutto il pianeta si parla di Rafael Correa, dell’Ecuador, del debito immorale, del nuovo Sudamerica che ha detto no al colonialismo e alla servitù alle multinazionali europee e statunitensi. In Italia lo faccio io sperando di essere soltanto uno dei tanti. Questo, per spiegare “perché l’Ecuador”.
Per 400 anni, da quando gli europei scoprirono le banane ricche di potassio, gli ecuadoregni hanno vissuto nella povertà, nello sfruttamento, nell’indigenza, mentre per centinaia di anni un gruppo di oligarchi si arricchiva alle loro spalle. Non lo sarà mai più. A meno che non finiscano per vincere Mitt Romney, Draghi, Monti, Cameron e l’oligarchia finanziaria. L’esempio dell’Ecuador è vivo, può essere replicato in ogni nazione africana o asiatica del mondo. Anche in Europa. Per questo JulianAssange ha scelto l’Ecuador. Il colpo decisivo viene dato da una notizia esplosiva resa pubblica (non a caso) il 4 agosto del 2012. “Julian Assange ha firmato il contratto di delega con il magistrato spagnolo Garzòn che ne rappresenta i diritti legali a tutti gli effetti in ogni nazione del globo”. Chi è Garzòn? E’ il nemico pubblico numero uno della criminalità organizzata. E’ il nemico pubblico numero uno dell’Opus Dei. E’ il più feroce nemico di Silvio Berlusconi. E’ in assoluto il nemico più pericoloso per il sistema bancario mondiale. Magistrato spagnolo con 35 anni di attività ed esperienza alle spalle, responsabile della Procura reale di Madrid, ha avuto tra le mani i più importanti processi spagnoli degli ultimi 25 anni. Esperto in “media & finanza” e soprattutto grande esperto in incroci azionari e finanziari, salì alla ribalta internazionale nel 1993 perché presentò all’Interpol una denuncia contro Silvio Berlusconi e Fedele Confalonieri (chiedendone l’arresto) relativa a Telecinco, Pentafilm, Fininvest, Reteitalia e Le cinq da cui veniva fuori che la Pentafilm (Berlusconi e Cecchi Gori soci, cioè PD e PDL insieme) acquistava a 100$ i diritti di un film alla Columbia Pictures che rivendeva a 500$ alla Telecinco che li rivendeva a 1000$ a Rete Italia che poi in ultima istanza vendeva a 2000$ alla Rai, in ben 142 casi tre volte: li ha venduti sia a Rai1 che a Ra2 che a Rai3. Lo stesso film. Cioè la Rai ha pagato i diritti di un film 20 volte il valore di mercato e l’ha acquistato tre volte, così tutti i partiti erano presenti alla pari. Quando si arrivò al nocciolo definitivo della faccenda, Berlusconi era presidente del consiglio, quindi Garzòn venne fermato dalla UE. Ottenne una mezza vittoria. Chiuse la Telecinco e finirono in galera i manager spagnoli. Ma Berlusconi rientrò dalla finestra nel 2003 come Mediaset. Si riaprì la battaglia, Garzòn stava sempre lì. Nel 2006 pensava di avercela fatta, ma il governo italiano di allora (Prodi) aiutò Berlusconi a uscirne. Nel 2004 aprì un incartamento contro papa Woytila e contro il managament dello Ior in Spagna e in Argentina, in relazione al finanziamento e sostegno da parte del Vaticano delle giunte militari di Pinochet e Videla in Sudamerica. Nel 2010 Garzòn si dimise andando in pensione, ma aprì uno studio di diritto internazionale dedicato esclusivamente a “media & finanza” con sede all’Aja in Olanda. E’ il magistrato che è andato a mettere il naso negli affari più scottanti, in campo mediatico, dell’Europa, degli ultimi venti anni. In quanto legale ufficiale di Assange, il giudice Garzòn ha l’accesso ai 145.000 file ancora in possesso di Assange che non sono stati resi pubblici. Ha già fatto sapere che il suo studio è pronto a denunciare diversi capi di stato occidentali al tribunale dei diritti civili con sede all’Aja. L’accusa sarà “crimini contro l’umanità, crimini contro la dignità della persona”. La battaglia è dunque aperta. E sarà decisiva soprattutto per il futuro della libertà in Rete. In Usa non fanno mistero del fatto che lo vogliono morto. Anche gli inglesi. Ma hanno non pochi guai perché, nel frattempo, nonostante sia abbastanza paranoico (e ne ha ben donde) Assange ha provveduto a tirar su un gruppo planetario che si occupa di contro-informazione (vera non quella italiana). I suoi esponenti sono anonimi. Nessuno sa chi siano. Non hanno un sito identificato. Semplicemente immettono in rete dati, notizie, informazioni, eventi. Poi, chi vuole sapere sa dove cercare e chi vuole capire capisce. Quando la temperatura si alza, va da sé, il tutto viene in superficie. E allora si balla tutti. In Sudamerica, oggi, la chiamano “British dance”. Speriamo soltanto che non abbia seguiti dolorosi o sanguinosi.
Per questo Assange sta dentro l’ambasciata dell’Ecuador. Per questo Garzòn lo difende. Per questo la storia del Sudamerica, va raccontata. Per questo l’Impero Britannico ha perso la testa e lo vuole far fuori. Perché Assange ha accesso a materiale di fonte diretta. E il solo fatto di dirlo, e divulgarlo, scopre le carte a chi governa, e ricorda alla gente che siamo dentro una Guerra Invisibile Mediatica. Non sanno come fare a fermare la diffusione di informazioni su ciò che accade nel mondo. Finora gli è andata bene, rimbecillendo e addormentando l’umanità. Ma nel caso ci si risvegliasse, per il potere sarebbero dolori imbarazzanti. Wikileaks non va letto come gossip. C’è gente che per immettere una informazione da un anonimo internet point a Canberra, Bogotà o Saint Tropez rischia anche la pelle. Questi anonimi meritano il nostro rispetto. E ci ricordano anche che non potremo più dire, domani “ma noi non sapevamo”. Chi vuole sapere, oggi, è ben servito. Basta cercare. Se poi, con questo "Sapere" un internauta non ne fa nulla, è una sua scelta. Tradotto vuol dire: finchè non mandiamo a casa l’immonda classe politica che mal ci rappresenta, le chiacchiere rimarranno a zero. Perché ormai sappiamo tutti come stanno le cose. Altrimenti, non ci si può lamentare o sorprendersi che in Italia nessuno abbia mai parlato prima dell’Ecuador, di Rafael Correa, di ciò che accade in Sudamerica, dello scontro furibondo in atto tra la presidente argentina e brasiliana da una parte e Christine Lagarde e la Merkel dall’altra. Perché stupirsi, quindi, che gli inglesi vogliano invadere un’ambasciata straniera? Non era mai accaduto neppure nei momenti più bollenti della cosiddetta Guerra Fredda. Come dicono in Sudamerica quando si chiede “ma che fanno in Europa, che succede lì?” Ormai si risponde dovunque “In Europa dormono. Non sanno che la vita esiste”. " Sergio Di Cori Modigliani, scrittore e blogger
http://www.beppegrillo.it/2012/08/assange_e_il_futuro_del_mondo.html

 

 

 

                                                    vedi:
  SIRIA 

 IL CHIARIMENTO DEL CAOS. PERCHE' GLI USA USANO L'ISIS PER CONQUISTARE L'EURASIA MEGACIP
  La finta cooperazione che flirta con i ribelli islamisti in Siria MEGACIP

 SIRIA situazione

(da WIKIPEDIA e a seguire articoli da resistenza.org, aurora sito.wordpress,..)
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WIKIPEDIA Avvisaglie della crisi (gennaio 2011 - febbraio 2011)

La prima fase dell'insurrezione contro il governo siriano è caratterizzata da una serie di manifestazioni di piazza organizzate attraverso i social network sulla scia di iniziative simili che si stavano diffondendo in Vicino Oriente e Nord Africa (Primavera araba).

In un'intervista concessa al quotidiano statunitense Wall Street Journal, Baššār al-Asad si dice convinto del fatto che siano necessarie riforme e che si stia costruendo una "nuova era" in Vicino Oriente, mentre in altri paesi del Nordafrica si svolgono manifestazioni di piazza senza precedenti.[87] La mobilitazione indetta però in Siria per il 4 e 5 febbraio, in contemporanea con la "giornata della partenza" proclamata in Egitto, nel 2011, non ottiene il risultato sperato e scarse risultano le adesioni da parte della popolazione, soprattutto per la paura di ritorsioni da parte degli organi di sicurezza[88]. Il giorno prima si era rivelato un insuccesso un sit-in indetto davanti alla sede del Parlamento "in segno di solidarietà con studenti, lavoratori e pensionati privi di reddito".[89]

Per limitare le possibili aggregazioni di manifestanti, il governo attua una politica di censura su Internet, impedendo l'accesso a Facebook, Twitter e YouTube[88]. Tuttavia il 10 febbraio Damasco apre definitivamente ai social network e dopo 5 anni fa cadere il divieto che ne prevedeva l'oscuramento.[90] La decisione di eliminare le limitazioni, secondo quanto riferisce il quotidiano filo-governativo al-Waan (La Patria), dimostra "la fiducia del governo nell'uso della rete". Secondo l'opposizione il libero accesso ai social network sarebbe un tentativo delle autorità siriane per contrastare attività sediziose contro il regime.[90] Il 17 febbraio però Tal al-Mallūī, giovane blogger siriana, viene condannata a cinque anni di carcere dall'Alta corte per la sicurezza dello Stato, con l'accusa di aver lavorato per conto della Cia.[91]
L'inizio della rivolta (marzo 2011)

Dal 15 marzo la Siria è di nuovo percorsa da timide manifestazioni anti-regime, che però solo a Dar'a, città della Siria meridionale, capoluogo della regione agricola e tribale del Hawran (tra le più povere del paese), sfociano dal 18 marzo in proteste di massa senza precedenti, represse con le forze militari.[92][93] Numerose persone rimangono uccise durante gli scontri. Il governatore della regione, Fayal Kulthūm, il 23 marzo viene rimosso dall'incarico dal presidente siriano.[92]

Nonostante l'annuncio delle riforme dato il giorno prima dal portavoce del presidente, il 25 marzo le proteste proseguono e sfociano in scontri che provocano numerose vittime a Dar'a, Latakia e Samnin.[94]

Il 26 marzo, mentre manifestazioni si svolgono a Darʿā, i partecipanti al funerale delle vittime dei giorni precedenti danno alle fiamme la sede locale del partito Baʿth e manifestazioni si svolgono anche a Latakia, dove il giorno successivo si apprende che almeno 12 persone (secondo l'opposizione 20), tra cui una decina di militari, rimangono uccise negli scontri.[95][96] A Darʿā ancora il 28 marzo persone scese in strada per protestare contro lo stato di emergenza sono fatte oggetto di attacchi a colpi di arma da fuoco da parte della polizia. Nello stesso giorno il vice presidente siriano annuncia che il presidente Asad prenderà decisioni che saranno "gradite al popolo siriano".[97]

Il 30 marzo, durante la repressione delle manifestazioni, rimangono uccise altre 25 persone a Latakia.[98].

Parallelamente alla repressione delle manifestazioni, il presidente siriano Bashar al-Assad offre una serie di concessioni. Scioglie il governo e nomina l'ex ministro dell'Agricoltura Adel Safar nuovo Premier.[99] La coscrizione obbligatoria viene ridotta da 21 a 18 mesi. Viene rimosso il governatore della provincia di Darʿā. Vengono fatte promesse per la diminuzione delle tasse e la revisione dei salari[100][101].

Assad accusa forze straniere di fomentare la rivolta e condanna i media satellitari come Al Jazeera di sobillare i rivoltosi.[102]
La diffusione (aprile 2011 - maggio 2011)
Situazione delle proteste in Siria al 15 aprile 2011
Manifestazione filogovernativa a Damasco l'8 aprile 2011

Aprile si apre con imponenti manifestazioni che interessano tutte le maggiori città del Paese, ma è a Dar'a, nella Siria meridionale, che si concentrano gli scontri più violenti. A partire dall'8 aprile, numerosi manifestanti rimangono uccisi nel corso di scontri che durano alcuni giorni.[103][104].

A Dar'a, diventata il fulcro delle proteste, viene per la prima volta schierato l'esercito siriano che con 6.000 uomini e mezzi corazzati cinge d'assedio la città[105][106]. Oltre 400 sono i decessi registrati dall'inizio della protesta, mentre circa 500 persone sono tratte in arresto.[107] Oltre a Dar'a, la protesta dilaga in diverse città della Siria: Latakia, Homs, Damasco e Aleppo dove attivisti dei diritti umani riferiscono di numerosi morti e centinaia di feriti.[108]

Il 22 aprile un raduno di manifestanti a Damasco contro il regime viene disperso a colpi di fumogeni.[109]. Altre proteste si svolgono contemporaneamente a Kamichlié e Amuda[109]. In un sobborgo a nord della capitale, Duma, si registrano alcuni morti a seguito di scontri tra polizia e manifestanti, così come in altre città siriane[110][111]. Nel corso della giornata, che vede man mano estendersi la protesta in numerose città del paese, oltre 100 persone muoiono a seguito della repressione[112].
Manifestazione a Baniyas il 29 aprile 2011: il "venerdì della rabbia"

Venerdì 29 aprile manifestazioni si svolgono in numerosissime piazze del paese, compresa Der'a, e per la prima volta compaiono organizzazioni dichiaratamente islamiste, come la clandestina Fratellanza Musulmana messa fuori legge nel paese.[113][114] Dopo un sanguinoso attacco contro la città di Baniyas (una delle roccaforti della protesta) il 7 maggio, l'11 maggio anche la città di Homs, e soprattutto il quartiere di Bab Amr, sono al centro di una vasta operazione dell'esercito siriano[115].

A metà maggio una trentina di manifestanti risultano aver perso la vita negli scontri degli ultimi tre giorni tra manifestanti e forze di sicurezza a Tall Kalakh, nella Siria occidentale a ridosso del confine con il Libano[116]. Durante il "venerdì delle libertà" proclamato per il 21 maggio, circa 40 persone vengono uccise dalle forze di polizia nel corso di manifestazioni nella provincia occidentale di Idlib e nella città di Homs[117][118].

Per tutto il mese di maggio le proteste si susseguono ed aumenta il numero dei morti, arrivando a oltre 1.000. Si contano anche 10.000 arresti tra gli attivisti[119]. A partire dalla fine di marzo, la piazza si riempie anche di manifestazioni a favore del governo caratterizzate da una grande quantità di persone, una buona organizzazione e una forte visibilità sulle televisioni nazionali. Manifestazioni si svolgono a Damasco[120][121], Aleppo[122], Tartus[123] e Lattakia[124].

Inoltre il governo continua ad accogliere parte delle richieste dei manifestanti. Il 21 aprile viene eliminato lo stato di emergenza, che era una delle principali richieste[125].
L'inizio della lotta armata (giugno 2011 - ottobre 2011)
La bandiera della Repubblica di Siria in uso tra il 1932 e il 1958 e adottata nuovamente nel 2011 dall'opposizione siriana.

Il 4 giugno 2011 avviene, per la prima volta, un'azione di protesta in cui i dimostranti prendono le armi e reagiscono violentemente agli apparati di sicurezza. Accade a Jisr ash-Shugur, nella provincia di Idlib, vicino al confine con la Turchia. I dimostranti aggrediscono le forze di polizia uccidendo 8 persone e prendono il controllo della locale stazione di polizia, saccheggiandola e distribuendo le armi contenute al suo interno[126]. Gli scontri continuano per una settimana, nella quale i gruppi armati uccidono un totale di 120 poliziotti[127].

La reazione del governo è delle più dure. Oltre all'esercito, vengono dispiegati i carri armati e alcuni elicotteri[128]. Solo il 12 giugno viene ristabilita la calma in città. Grazie alla vicinanza con la Turchia, 10.000 residenti fuggono dalla battaglia oltrepassando il confine[126].Altre manifestazioni, più pacifiche, compaiono a Maarat al-Numaan[129] e Aleppo[130].

Il 3 luglio 2011 ad Hama si svolge la più imponente manifestazione contro il governo[131]. La circostanza è particolarmente delicata in quanto è la prima azione di ribellione di questa città dopo la sanguinosa insurrezione del 1982 e l'organizzazione islamista dei Fratelli Musulmani è qui ancora molto forte. L'intervento del governo è immediato: viene inviato l'esercito e in un mese viene riportata la calma in città a costo di più di 200 morti[132]. La durissima repressione del governo, senza che si fossero verificate reali ostilità da parte dei dimostranti, genera la prima forte protesta sul piano internazionale, principalmente da Stati Uniti[133] e Unione europea[134].

Fin da inizio giugno, quando la repressione si intensifica, si registrano casi di diserzione da parte di membri della polizia e dell'esercito[126]. Il 29 luglio 2011, un gruppo di ufficiali disertori crea L'Esercito siriano libero (ESL)[135]. Questo evento modifica sensibilmente l'evoluzione dell'opposizione, che, di fatto, si trasforma in un vero e proprio esercito combattente con lo scopo di destituire il governo baatista. L'ESL comincia a creare una catena di comando e ad organizzare i gruppi ribelli, armandoli e addestrandoli. Le due principali città siriane, Damasco e Aleppo, registrano alcune manifestazioni di opposizione, ma il numero di partecipanti è molto basso e non si verificano significativi atti di repressione[136]. Le piazze principali sono invece teatro di oceanici raduni di manifestanti filogovernativi[137].

Il 23 agosto 2011 i vari gruppi di opposizione in esilio creano il Consiglio nazionale siriano (CNS) con sede a Istanbul[138]. L'intento è quello di creare un punto di riferimento politico per l'opposizione siriana e creare un interlocutore con l'ESL. Tuttavia l'opposizione rimarrà sempre un insieme poco amalgamato di gruppi politici da molto tempo in esilio (quindi con poca conoscenza della reale situazione in patria) e diviso su linee ideologiche, etniche e religiose[139].

Con la nascita dell'ESL, gli scontri diventano molto più violenti e, al posto delle dimostrazioni di piazza, si verificano atti di guerriglia, sabotaggio e imboscate. Un esempio è la Battaglia di Rastan, combattuta tra il 27 settembre e il 1º ottobre 2011 in cui i ribelli riescono a sconfiggere l'esercito regolare e allontanarlo dalla città per 4 giorni[140]. Le forze armate governative reagiscono mettendo in campo l'aviazione e la marina[141]. Per tutta la durata di ottobre in Siria si registrano combattimenti in tutte le città, soprattutto a Idlib e nel suo governatorato[142].
Lo scoppio della guerra (novembre 2011 - marzo 2012)
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio:
Referendum costituzionale siriano del 2012 e Bombardamenti di Homs nel 2012.

Sebbene a livello internazionale la crisi siriana non venga ancora ufficialmente considerata una guerra civile, sul campo si verifica un'escalation degli scontri causata anche dal flusso continuo di disertori che ingrossano le file dell'ESL[143]. L'evento più significativo è la serie di attacchi che a fine ottobre vengono compiuti dall'Esercito Siriano Libero nella città di Homs. Vengono uccisi 37 soldati[144]. La reazione dell'esercito regolare incontra un livello di resistenza mai incontrato prima e, a differenza delle operazioni svolte a Dar'a e Hama, la rivolta non viene sedata[126]. L'ESL riesce a conquistare i quartieri nevralgici della terza città siriana e costringe l'esercito ad un'azione di difesa. Il corrispondente di Sky News, Stuart Ramsay, descrive la situazione a Homs come una "chiara zona di guerra"[145]. A causa della tenace resistenza dei ribelli, Homs verrà in seguito definita la "Capitale della rivoluzione"[146].

L'assedio di Homs, anche a causa della sua durata, provoca anche i primi chiari scontri settari tra civili, prevalentemente musulmani sunniti e alawiti[147]. Questi ultimi considerati come sostenitori del regime de facto. Tra novembre e dicembre l'ESL si alimenta grazie alle continue diserzioni[148] e aumenta il numero e l'intensità degli attacchi. In soli due mesi vengono attaccati: la sede dei servizi segreti dell'aeronautica a Damasco, la sede del Partito Baath e un edificio dell'intelligence a Idlib e un aeroporto militare vicino Homs[149].

Il 15 dicembre, grazie a un'imboscata, i ribelli uccidono 27 soldati a Dar'a. È l'attacco singolo più sanguinoso finora avvenuto[150]. Il 28 dicembre, di fronte alle difficoltà sorte nel combattere una guerra asimmetrica, il presidente Bashar al-Assad fa nuove concessioni agli oppositori e libera 755 detenuti politici.[151] Tra le concessioni più importanti vi è la modifica della costituzione, che, tra i punti fondamentali, prevede il tetto alla possibilità di ricandidatura del presidente a 2 anni ed elimina la citazione del Partito Baʿth come partito unico in Siria[152]. La nuova costituzione viene sottoposta a referendum il 26 febbraio e approvata[153].

A gennaio 2012 non si verificano più manifestazioni pacifiche di piazza, che lasciano il posto al conflitto armato su larga scala[154]. L'Esercito siriano libero ottiene importanti vittorie in tutto il paese: a Zabadani l'opposizione controlla l'intera città[155] e avanza nei dintorni di Damasco, soprattutto nella città di Duma[156], dove l'esercito regolare è costretto a ritirarsi. A Idlib, dopo una lunga serie di scontri, i ribelli controllano parte della città[157].

Nel governatorato di Homs l'opposizione armata, dopo una settimana di scontri, ottiene il pieno controllo della città di Rastan e delle cittadine nei dintorni[158]. L'esercito regolare, decimato dalle defezioni, è costretto alla ritirata. Sebbene l'Esercito siriano libero costituisca l'ossatura dell'opposizione armata in Siria, a inizio gennaio compaiono altri gruppi paralleli che operano in maniera più autonoma. Tra essi quello più importante è il Fronte al-Nusra che si costituisce il 23 gennaio[159]. Il gruppo è inizialmente composto da membri della branca irachena di Al-Qaeda (Stato Islamico dell'Iraq) che combatte la presenza americana nel paese. I membri siriani dell'organizzazione, inclusi militanti di nazionalità irachena, tornano in patria vedendo nella crisi siriana l'opportunità di rovesciare il governo di Asad e instaurare uno Stato islamico basato sulla sharia.

Il Fronte al-Nusra, rappresentante l'ala più radicale del fondamentalismo sunnita, opera in maniera indipendente e con finalità diverse rispetto all'ESL. Tuttavia elementi di entrambe le fazioni combattono insieme contro le truppe regolari siriane. Il gruppo introduce tuttavia una strategia di attacco molto più violenta basata anche su attentatori suicidi che eseguono singoli attentati contro istituzioni governative con finalità di puro terrorismo. La strategia degli attacchi suicidi, generalmente per mezzo di auto-bomba, viene inaugurata nel distretto Al-Midan di Damasco il 6 gennaio 2012 con la morte di 26 persone, tra cui molti civili[160]. L'esercito siriano, inizialmente in difficoltà di fronte ai successi dei ribelli, organizza una controffensiva il 2 febbraio che dura circa due mesi e permette al governo di arginare l'avanzata dei ribelli nel Governatorato di Damasco. Il risultato più importante viene ottenuto nella città di Idlib che il 15 marzo viene riconquistata dopo giorni di combattimenti[161].

Alla fine di marzo 2012 il computo totale dei morti in Siria sale a 10.000[162].
Le uccisioni di civili (aprile 2012 - giugno 2012)
Situazione a giugno 2012. Il rosa chiaro indica le aree di conflitto, le zone rosse quelle conquistate dall'ESL.

L'avanzata dei ribelli in molte aree del paese estremizza la reazione del governo. Vengono utilizzati elicotteri d'assalto nei centri abitati[163] e nelle città i soldati governativi impiegano negli attacchi sempre più spesso le milizie shabiha. Tali bande, composte prevalentemente da siriani di religione alawita e senza una reale struttura organizzativa, sono composte da giovani spesso legati alla criminalità comune. Le bande di shabiha compaiono in maniera concomitante alle prime manifestazioni antigovernative del 2011, dove sono protagonisti di gesti di violenza contro i dimostranti. È forte il sospetto che oltre ad essere "tollerate" dal governo, siano una vera e propria milizia non ufficiale[164]. Con l'acuirsi della crisi le milizie vengono impiegate nelle azioni più violente contro i ribelli e i civili considerati sostenitori dell'opposizione. Tale impiego dovrebbe proteggere l'esercito regolare da eventuali accuse di violazione dei diritti umani.

A partire da aprile 2012 l'abuso nell'utilizzo degli shabiha provoca una serie di massacri della popolazione civile che culmina nei due episodi più gravi: la strage di Hula[165][166], in cui vengono uccise a sangue freddo 108 persone[167], e quella di Al-Qubeir[168][169][170], dove vengono uccise 78 persone[171].

In entrambi i casi il governo siriano cerca di negare l'accaduto attribuendo la responsabilità ai gruppi ribelli[172][173]. L'eco delle stragi, amplificate dai media, provoca per la prima volta una forte reazione internazionale. A fine maggio molte nazioni espellono l'ambasciatore siriano per prendere le distanze dal governo di Baššār al-Asad[174][175]. Da giugno 2012, vedendo le difficoltà nella gestione della crisi da parte del governo siriano, molte Nazioni straniere cominciano a prefigurare una prossima caduta di Bashar al-Assad e sostengono apertamente il fronte dei ribelli[176].

La Nazione più attiva è la Turchia che fornisce armi all'ESL e dà rifugio ai vertici militari dell'opposizione[177][178]. USA[179][180], Francia[181] e Gran Bretagna[182] cominciano a fornire equipaggiamenti e finanziamenti, mentre l'Unione europea inasprisce l'embargo sulla Siria[183].

Gli Stati del Golfo Persico, in maniera simile a quanto avvenuto durante le rivolte della Primavera Araba, da aprile 2012 finanziano e inviano armi ai ribelli[184][185]. I destinatari sono prevalentemente i gruppi di ispirazione salafita[186].

La presa di posizione a favore dei ribelli di molte Nazioni, provoca la reazione degli Stati tradizionalmente alleati della Siria. La Russia, che ha un accordo con il governo di Asad per l'utilizzo del porto di Tartus, invia del personale tecnico per la formazione dei militari siriani[187]. L'Iran, che teme di perdere un prezioso alleato regionale, in aprile comincia ad inviare armi e finanziamenti al governo siriano[188]. Sul campo i ribelli continuano a guadagnare terreno, avanzando nel Governatorato di Idlib[189] e soprattutto conquistando il 10 luglio la cittadina di Al-Qusayr[190], posizionata strategicamente su un valico di confine con il Libano e sulla strada che conduce dalla costa ad Homs.
Le battaglie di Damasco e Aleppo ed il fronte curdo (luglio 2012 - agosto 2012)
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia di Damasco e Battaglia di Aleppo.
Graffito a Damasco recante il simbolo dell'ESL e la scritta: "Stiamo arrivando".

Nel mese di luglio le forze ribelli continuano a mantenere l'iniziativa e scatenano la più imponente offensiva contro il governo siriano tentata finora. Le due principali città siriane: la capitale Damasco e Aleppo, cuore commerciale del paese, fin dal 2011 non erano state teatro di forti manifestazioni antigovernative e finora erano state colpite dal conflitto solo in maniera marginale[137]. A Damasco i ribelli erano stati fermati a inizio anno prima che entrassero nei sobborghi della città. Successivamente i danni più ingenti erano stati singoli attacchi terroristici per mezzo di autobomba[191][192][193] contro obiettivi militari o governativi. Anche nella città di Aleppo, a parte poche manifestazioni di piazza[130], non si erano mai verificati scontri armati e la città veniva considerata una roccaforte filo-governativa[194]. I dintorni di Aleppo invece, a partire da febbraio, erano stati oggetto dell'avanzata dei miliziani dell'ESL che provenivano dalle loro roccaforti intorno a Idlib e dal confine turco[195].

A metà luglio i ribelli attaccano entrambe le città. All'operazione partecipano sia l'Esercito siriano libero che tutte le formazioni islamiste. Il 15 luglio 2012 inizia la Battaglia di Damasco[196], denominata "Operazione Vulcano di Damasco"[197]. L'operazione coinvolge brigate ribelli appositamente spostate dalle aree a nord del paese[198]. I miliziani si riversarono in città dando luogo ad una serie di scontri a fuoco con l'esercito regolare e applicando la tattica della guerriglia cittadina[199].

Il 18 luglio una bomba distrugge il quartier generale della Sicurezza Nazionale. Nell'attentato muoiono alti dirigenti militari e del governo[200]. La contemporanea offensiva ribelle verso le aree centrali della città fa presagire ad un imminente crollo del regime[201].

Tuttavia, anche a causa del mancato sostegno popolare dei cittadini di Damasco, i ribelli non riescono a consolidare le posizioni conquistate e le forze armate siriane riescono ad organizzare una controffensiva che allontana i ribelli verso le zone periferiche della città, di cui riescono a mantenere il controllo[202]. La Battaglia di Damasco è una dura sconfitta per l'ESL anche per la sua immagine. Infatti per la prima volta si crea una spaccatura tra i settori della società che solidarizzavano con le prime manifestazioni pacifiche e i ribelli armati.

Il 19 luglio 2012 inizia la Battaglia di Aleppo[203], denominata dai ribelli la "madre di tutte le battaglie"[204], considerando la scala e l'importanza dell'obiettivo. L'attacco, quasi contemporaneo a quello di Damasco, coglie alla sprovvista le truppe governative, orientate alla difesa della capitale. I ribelli, attaccando da sud-ovest e nord-est, riescono ad entrare in città, raggiungendo il centro storico[205]. La contemporanea conquista dei ribelli delle strade di collegamento con la frontiera turca permette di aprire un vitale canale di approvvigionamento[206].

A inizio agosto i ribelli controllano buona parte della città, riuscendo ad unire i due fronti di attacco. Tuttavia grazie al martellante uso dell'aviazione e dell'artiglieria pesante, l'esercito regolare riesce a bloccare l'avanzata delle milizie ribelli e a respingerli dal quartiere strategico di Salaheddine[207]. La battaglia non si conclude ma si trasforma in una logorante guerra di posizione, caratterizzata da poche modifiche territoriali, con ribelli ed esercito governativo che controllano ognuno circa il 50% della città[208].

Sempre nel mese di luglio, a Erbil, in Iraq, i due principali partiti che rappresentano la popolazione di etnia curda siriana, minoranza etnica a lungo discriminata dal governo, siglano un accordo che prevede la formazione di un organo politico unitario (il Comitato Supremo Curdo) e la "liberazione" delle aree a maggioranza curda, in modo da implementare un governo autonomo[209]. La posizione curda è di fatto completamente indipendente sia dai ribelli che dal governo centrale. I ribelli sono considerati degli alleati[210], ma vengono visti con scetticismo per i legami instaurati con la Turchia e la presenza delle fazioni islamiste[211]. Il governo centrale viene considerato il vero nemico ma, di fatto, durante le prime dimostrazioni la repressione è stata molto meno violenta rispetto alle zone arabe. Inoltre la nuova dirigenza curda vuole operare in modo da mantenere inalterata l'amministrazione pubblica siriana, per poi gradualmente sostituirla con quella curda[212].

Il 19 luglio 2012 le Unità di Protezione Popolare (YPG), braccio armato del Comitato Supremo Curdo, iniziano la campagna di liberazione del Kurdistan Siriano entrando in armi nelle città di Ayn al-Arab, Amuda ed Efrîn[213]. La reazione delle forze governative (polizia ed esercito) è estremamente debole: le città vengono abbandonate senza combattere[214]. Il giorno successivo vengono occupati altri villaggi intorno al confine turco[215].

La mossa successiva dell'YPG fu la conquista della città di Qamishli, la più grande città siriana a maggioranza curda nell'est del paese. Tuttavia la forte presenza di popolazione araba e di forze di sicurezza governative porta ai primi scontri armati<ref(EN) Clashes between Kurds and Syrian army in the Kurdish city of Qamişlo, Western Kurdistan, in Ekurd daily, 21 luglio 2012. URL consultato il 6 febbraio 2016. </ref>. Il numero di combattenti YPG sovrasta i militari siriani che si ritrovano presto completamente circondati[216]. In città si genera una "guerra fredda" tra le due fazioni per cui da un lato le truppe regolari rimangono nelle loro caserme, ma dall'altro l'amministrazione statale della città viene mantenuta[217]. Entro il 24 luglio, in meno di una settimana dall'inizio delle ostilità, le forze curde occupano tutte le città a maggioranza curda nel nord del paese. L'operazione comporta un numero ridottissimo di perdite sia per i Curdi che per le forze governative[218]. La veloce e indolore avanzata curda è dovuta a due fattori: il sostegno popolare assoluto nelle aree a maggioranza curda e la volontà del governo siriano di focalizzarsi sui territori a maggioranza araba. La presenza dell'YPG nelle città del nord di fatto "libera" le truppe siriane che vengono dislocate nelle aree "calde" del paese[219].

Il 2 agosto il Comitato Supremo Curdo annuncia la liberazione della maggioranza del territorio del Kurdistan siriano[220].
L'avanzata dei ribelli (settembre 2012 - dicembre 2012)

Il periodo successivo alle battaglie di Damasco e Aleppo, vede i ribelli nuovamente all'attacco in tutte le zone del paese. Il conflitto si allarga all'intero territorio nazionale.

A Damasco l'esercito siriano allarga l'operazione che aveva permesso l'allontanamento dei ribelli dai quartieri centrali e attacca i sobborghi esterni controllati dagli insorti. L'intenzione è sfruttare la momentanea disorganizzazione dei ribelli in ritirata per mettere definitivamente al sicuro la città. Ad agosto l'esercito regolare riconquista la cittadina strategica di al-Tall, a nord della città e sulla strada che porta nella regione di Qalamun[221]. I ribelli avevano qui ammassato le truppe per tentare un nuovo assalto a Damasco[222].

Le truppe governative riescono ad avanzare anche nei sobborghi a sud[223] e ad est della capitale[224]. La riconquista delle zone periferiche di Damasco viene condotta con estrema brutalità dall'esercito, che utilizza in larga misura artiglieria, elicotteri da combattimento e milizie Shabiha[225]. La popolazione di alcune cittadine periferiche è infatti solidale con gli insorti e gli attacchi non tengono conto del loro status di civili[226][227]. Emblematica è la situazione di Darayya, roccaforte degli insorti posizionata sulla strada per l'aeroporto di Mezze. Il bombardamento martellante e l'azione delle milizie filogovernative lascia sul campo più' di 400 morti, la maggior parte vittima di esecuzione[228][229][230].

L'operazione termina a fine settembre, quando l'esercito consolida le posizioni acquisite, che corrispondono a quelle antecedenti alla Battaglia di Damasco.
Miliziani dell'ESL festeggiano la conquista della cittadina di Helfaya (governatorato di Hama).

Si susseguono scontri per tutto il mese di ottobre, con piccole alterazioni dello status quo[231][232][233]. Nello stesso periodo l'ESL conduce una campagna di omicidi mirati di vertici politici e militari[234].

A novembre i ribelli scatenano una nuova offensiva su Damasco avanzando dalle roccaforti a sud e ad est della città[235]. A fine novembre l'offensiva ottiene come successi la chiusura dell'aeroporto civile di Damasco e la cattura di due basi militari a Hajar al-Aswad (sud) e Ghuta (est) dove vengono instaurati i centri direzionali dell'ESL[236]. L'afflusso di armi e finanziamenti permette ai ribelli di migliorare le strategie di attacco e di difendersi anche contro l'aviazione.

L'avanzata dei ribelli viene rallentata dall'afflusso di nuove truppe regolari smobilitate dalle campagne e a prezzo di un gran numero di perdite[237]. L'offensiva rallenta e si prolunga per tutto dicembre e gennaio. I successi più significativi per i ribelli avvengono sul fronte est, dove riescono a conquistare tutto il sobborgo di Ghuta. A sud invece l'esercito lancia una vittoriosa offensiva su Darayya[238].

Il fallimento dei continui assalti alla città da parte dei ribelli sono dovuti al dispiegamento delle truppe migliori da parte del governo che vuole difendere la città a oltranza ed evitare le condizioni che avevano portato ad un passo dal crollo del regime nel luglio 2012. Tuttavia il richiamo di un così ingente numero di soldati lascia sguarniti gli altri fronti interni. Soprattutto a nord della Siria, nei governatorati di Idlib e Aleppo, l'ESL, in collaborazione con le milizie jihadiste, dilaga soprattutto nelle zone rurali, riuscendo a controllare gran parte dei punti di frontiera con la Turchia, vitali per l'afflusso di armi e combattenti[239][240][241]. Verso la fine di settembre viene spostato il centro di comando dell'ESL dalla Turchia alle aree controllate[242].

Il successo strategicamente più' significativo è la conquista della città di Maarrat al-Nu'man tra l'8 e il 13 ottobre. Essa è uno snodo fondamentale che collega Damasco, Aleppo, Idlib e la costa. La Siria viene in questo modo tagliata in due[243]. Il 28 ottobre viene sottratta al controllo dell'esercito anche l'ultimo sobborgo di Idlib: Salqin[244]. La successiva conquista della cittadina di Saraqib permette di isolare completamente Idlib e Aleppo anche dalle regioni costiere[245]. La costa, ovvero i governatorati di Lattakia e Tartus, sono filogovernativi. L'atteggiamento della popolazione è radicalmente cambiato rispetto alle prime manifestazioni del marzo 2011, quando nelle principali città costiere erano scoppiate dimostrazioni di protesta molto numerose. Tale cambiamento è sintomatico della radicalizzazione della guerra civile e la sua deriva settaria. Infatti le regioni costiere, a maggioranza sciita alawita (la stessa religione della famiglia Assad) subiscono il fondamentalismo sunnita salafita dei gruppi jihadisti e la criminalizzazione da parte dei membri dell'ESL. Ad Aqrab, nel dicembre 2012, i ribelli compiono il massacro della popolazione civile di fede alawita, uccidendo circa 125 persone[246].

Inoltre la presenza dei combattimenti genera un deterioramento dell'ordine pubblico causata dall'assenza di organismi statali riconosciuti. La criminalità comune aumenta sensibilmente, spesso confondendosi e appoggiandosi alle forze ribelli. Si susseguono saccheggi e rapimenti a scopo estorsivo[247].
Situazione nella città di Aleppo a novembre 2012. In verde le aree controllate dai ribelli, in giallo dai curdi, in rosso dal governo e in marrone le zone di conflitto.

I miliziani salafiti, col perdurare della crisi, cominciano ad assumere un ruolo di primo piano nel fronte ribelle a causa del loro forte impatto sul campo di battaglia, la crescita del loro numero e la maggiore disponibilità economica garantita dal finanziamento da Qatar e Arabia Saudita. Il fanatismo dei gruppi islamisti (tra cui il Fronte al-Nusra è il più numeroso) provoca la reazione non solo degli sciiti alawiti, ma anche delle altre minoranze etniche e religiose. A metà del 2012 si cominciano a formare gruppi auto-organizzati, denominati "Comitati Popolari", composti da cittadini di origine cristiana, drusa, alawita e sciita con lo scopo di difesa dalle azioni di odio settario da parte delle milizie sunnite[248]. I primi gruppi nascono a Damasco, ma si registrano comitati in tutte le grandi città. Ad Aleppo il comitato popolare cristiano partecipa alla battaglia dell'agosto 2012 per difendere i quartieri cristiani dall'avanzata dei ribelli[249]. Verso la fine del 2012 il governo cerca di "istituzionalizzare" i comitati popolari fondendoli nella Forza Nazionale di Difesa: un'organizzazione alle dipendenze dell'esercito che fornisce armi, addestramento e coordinamento[250].

Nella città di Aleppo, il 27 settembre i ribelli tentano una nuova offensiva, volta a risolvere lo stallo militare[251]. L'attacco parte dai quartieri meridionali e presto raggiunge il centro storico della città. I combattimenti sono molto violenti e si registrano forti perdite in entrambi gli schieramenti[252]. L'avanzata ribelle è molto lenta e si ferma alle porte dell'antico suq di Aleppo che viene completamente distrutto da un incendio generatosi durante gli scontri[253]. Dopo solo 3 giorni di offensiva si raggiunge lo stallo a causa della tenace resistenza dell'esercito regolare senza sostanziali modifiche allo status quo[254].

Una nuova offensiva ribelle su larga scala viene scatenata in novembre, sfruttando il sostanziale isolamento di Aleppo dal resto del Paese. A questi nuovi attacchi partecipano con maggior presenza i miliziani islamisti del Fronte al-Nusra, che assumono anche il comando di alcune incursioni[255]. Anche questa offensiva si risolve in una logorante guerra di posizione, con l'eccezione dei quartieri orientali, dove i ribelli riescono a raggiungere l'aeroporto[256]. A fine anno ad Aleppo si combatte casa per casa. La città è divisa sostanzialmente a metà tra ribelli e forze governative.

Il 16 dicembre 2012 i ribelli, consolidata la presenza nella strategica città di Maarrat al-Nu'man, scatenano un'offensiva verso sud, volta a conquistare la città di Hama, controllata interamente dal governo fin dal 2011[257]. L'offensiva si rivela efficace anche per la ritirata dell'esercito siriano che abbandona le aree rurali concentrandosi sulla difesa della città[258][259]. L'offensiva viene infatti bloccata il 31 dicembre alle porte di Hama[260]. I ribelli riescono a controllare molti villaggi inclusi due a maggioranza alawita dove gli abitanti sono oggetto dell'odio settario[261].
L'ascesa del fondamentalismo islamico (gennaio 2013 - marzo 2013)

Sebbene il comando strategico delle operazioni dei ribelli sia ancora mantenuto dall'esercito siriano libero, i gruppi estremisti cominciano ad acquisire sempre maggiore autonomia sul campo. La presenza di miliziani legati al fondamentalismo islamico è particolarmente forte nelle regioni orientali del paese. Fin dalla fine del 2012 si intensificano i combattimenti nella fascia fertile della valle dell'Eufrate, finora teatro solo di sporadiche scaramucce con l'esercito regolare.

La valle dell'Eufrate è storicamente abitata da tribù un tempo beduine di religione sunnita e molto tradizionalista. Esse sono infatti imparentate con i beduini provenienti dall'Arabia Saudita e molti hanno la doppia nazionalità. In questa regione le incursioni dei ribelli sono guidate dalle formazioni islamiste, quasi sempre il Fronte al-Nusra.
Militante jihadista della formazione Liwa al-Islam.

Il 19 settembre 2012 i ribelli conquistano il valico di frontiera con la Turchia nel centro nord della Siria[262], mentre il 22 novembre 2012 viene conquistato il valico con l'Iraq nella strategica città di Mayadin[263]. Questi passaggi assicurano ai ribelli un continuo flusso di uomini e rifornimenti. In particolare dal valico con l'Iraq possono affluire in Siria i combattenti delle formazioni islamiste irachene che compongono l'ossatura del Fronte al-Nusra.

L'11 gennaio 2013 il Fronte al-Nusra, a capo di una coalizione di gruppi fondamentalisti, ottiene la prima conquista strategica di rilievo operando indipendentemente dall'ESL. Gli islamisti dopo una serie di assalti, ottengono il pieno controllo della base militare di Taftanaz, una delle più grosse nel nord del paese. Gli islamisti possono ora accedere a carri armati, lanciarazzi e altro materiale militare. Il leader di al-Nusra dichiara che per la quantità di materiale ottenuto, l'azione cambierà le "regole del gioco"[264].

Successivamente gli islamisti ottengono una serie di successi lungo l'Eufrate. Il 29 gennaio viene conquistato il ponte di Siyasiyeh, che connette Deir ez-Zor con Hasakah, e permette di agli islamisti di entrare a contatto con la zona d'influenza curda[265]. L'11 febbraio vengono conquistate le cittadine di Al-Thawrah e Tabqa Dam, dove sorge un'importante centrale idroelettrica[266]. Il 14 febbraio viene controllato il valico con l'Iraq di Shadadeh[267].

Il successo più importante avviene tra il 3 e il 6 marzo 2013, quando il Fronte al-Nusra assume il completo controllo della città di Raqqa. La città era considerata "pacifica" e fin dal 2011 non si erano tenute dimostrazioni significative né conflitti armati[268]. La posizione della città garantisce il controllo di buona parte del centro-nord della Siria. I ribelli attaccano da nord e in pochissimo tempo controllano l'intera città, causando la fuga dei pochi soldati regolari che si barricano nella locale base militare[269][270]. I militanti del Fronte al-Nusra, appoggiati da Ahrar al-Sham, issano la bandiera nera della jihad nella piazza principale e cominciano subito un processo di islamizzazione della città[271].
Offensiva dei ribelli a Damasco: in rosso la zona controllata dal governo siriano e la linea del fronte al 6 febbraio 2013, in verde chiaro la zona controllata dai ribelli, in verde scuro le aree contese fino a marzo

La presenza dei fondamentalisti islamici si fa sentire anche sul fronte di Damasco, dove il 6 febbraio 2013 i ribelli lanciano una nuova offensiva verso il centro città, denominata "Battaglia dell'Armageddon"[272]. Ancora una volta è la periferia est che presenta le maggiori difficoltà per l'esercito regolare. I ribelli arrivano fino alla circonvallazione interna della città[273]. Tuttavia l'operazione di sfondamento verso il centro fallisce e la battaglia raggiunge lo stallo con i ribelli alle "porte della città"[274]. I miliziani del Fronte al-Nusra per la prima volta guidano alcuni attacchi e si rendono protagonisti di un'ondata di autobombe che producono 80 morti, per lo più civili[275].

Le fila dei gruppi fondamentalisti si arricchiscono anche di numerosi volontari stranieri che raggiungono la Siria dai Paesi del Medio Oriente o da quelli Occidentali per unirsi alla jihad. A febbraio 2013 vengono stimati in più' di 6.000 morti[276].
La battaglia di Qusayr (aprile 2013 - giugno 2013)
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia di Qusayr.

Ad aprile 2013 la guerra civile siriana vede il costante avanzamento dei ribelli in tutte le regioni del paese, soprattutto nelle aree rurali. Il governo invece riesce a mantenere il controllo sulle principali città, esclusa Aleppo, che controlla solo parzialmente. Indicativamente i ribelli controllano circa il 60% del territorio[277].

Il rafforzamento della componente jihadista della ribellione e il continuo flusso di armi e finanziamenti verso i ribelli da parte di Qatar e Arabia Saudita[278] impensieriscono l'Iran sciita, storico alleato della Siria di Assad e avversario degli Stati sunniti a cui contende il ruolo egemonico nell'area mediorientale[279]. Un'eventuale caduta di Assad e la nascita di una nazione rigorosamente sunnita, provocherebbe la rottura dell'”Asse della Resistenza”, composto da Iran, Siria e l'Hezbollah libanese[280] e, più in generale, della “Mezzaluna crescente sciita”[281], ovvero la macroregione composta dagli stati a maggioranza sciita o governati da esponenti dello sciismo.
Posizione della città di al-Qusayr, al confine con il Libano.

L'Iran già dalle prime proteste in Siria nel 2011 ha fornito supporto alle forze armate siriane in termini di addestramento, rifornimenti e finanziamento[282]. Con l'inasprirsi delle ostilità, il coinvolgimento è aumentato, fornendo armamenti, intelligence e addestratori militari sul campo[283][284].

Ad aprile 2013, constatate le difficoltà del governo siriano sul campo, l'Iran decide di intervenire in maniera più decisiva. Per farlo si affida ai miliziani libanesi di Hezbollah, che hanno le loro roccaforti al confine con la Siria. La situazione in Libano risente della crisi siriana. Soprattutto nelle cittadine di Hermel e Arsal, poste sul lato libanese dei valichi controllati dai ribelli, si forma un canale di approvvigionamento e di afflusso di combattenti[285][286]. Hezbollah finora non è mai intervenuto nella crisi siriana e anche tra gli analisti vi è forte scetticismo su un suo coinvolgimento, reputando più probabile un suo impegno nell'evitare un contagio in Libano[287].

L'11 aprile 2013 l'esercito siriano scatena un'offensiva contro la cittadina di al-Qusayr, controllata dai ribelli dal luglio 2012 e posizionata strategicamente sul confine libanese e sulla strada principale tra la costa, Damasco e Homs[288], ancora teatro di combattimenti. Dal Libano si riversano in Siria più di 700 combattenti sciiti di Hezbollah che si uniscono all'esercito regolare[289]. I combattimenti crescono di intensità e, grazie alla tattica di guerriglia di Hezbollah, i ribelli sono costretti a cedere terreno, abbandonando numerosi villaggi[290][291][292]. La strategia è quella di occupare le aree rurali per circondare e successivamente attaccare al-Qusayr[293]. L'assedio della città viene completato il 19 maggio. L'assalto alla cittadina dura 3 settimane e si conclude il 5 giugno con una completa vittoria dell'esercito siriano, che allontana i ribelli costretti ad una precipitosa rotta verso la regione del Qalamun[294][295][296].

La vittoria governativa è un punto di svolta per la guerra, in quanto i ribelli perdono l'iniziativa e, per la prima volta, sono costretti a cedere ampie zone di territorio. La sconfitta e la ritirata disorganizzata provocano anche tensioni all'interno del fronte ribelle, con accuse reciproche tra i comandanti e la dirigenza politica del Consiglio Nazionale Siriano, considerato lontano dal campo di battaglia e tra le diverse anime della rivolta armata[296]. Anche le cancellerie internazionali sono costrette a rivalutare la forza dei ribelli e considerare nuovamente Assad come un possibile interlocutore politico. La rotta dei ribelli ad al-Qusayr apre la strada per Homs, dove fin dal 2011 continuano ininterrotti i combattimenti che vedono i ribelli mantenere le loro posizioni sui quartieri centrali della città. I rinforzi dell'esercito e di Hezbollah permettono di conquistare il 2 maggio il quartiere di Wadi al-Sayeh[297] che divide le due aree controllate dai ribelli: la città vecchia e il distretto di Khalidiya che sono ora completamente separate e circondate[298].

Il sostegno di Hezbollah galvanizza l'esercito regolare, che, da aprile, ottiene una serie di importanti vittorie anche sugli altri fronti. Il 17 aprile nel governatorato di Idlib l'esercito riesce a rompere l'accerchiamento dei ribelli a Wadi al-Deif, permettendo di riottenere il controllo su due grosse basi militari nel nord[299].

L'impegno nella battaglia di al-Qusayr ha anche sottratto forze ribelli da Aleppo, causando un loro indebolimento anche su questo fronte. Il 2 giugno, verso il termine della battaglia ad al-Qusayr, i vertici dell'esercito siriano chiedono ad Hezbollah un affiancamento per un'offensiva sulla città. Centinaia di miliziani si spostano in profondità nel nord della Siria[300].

L'operazione "Tempesta del Nord" inizia il 9 giugno[301][302]. L'offensiva, nella prima settimana, causa l'arretramento dei ribelli sia in città che nelle campagne circostanti[303]. Tuttavia l'afflusso di nuovi combattenti e nuove armi, tra cui missili anticarro dall'Arabia Saudita, permettono ai ribelli di rallentare l'avanzata e fermarla il 17 giugno[304][305]. L'ESL e i miliziani jihadisti lanciano un'operazione diversiva nei quartieri occidentali di Aleppo il 24 giugno per dividere le forze governative. Tale offensiva viene chiamata "Battaglia di Qadisiyah", in riferimento all'omonima battaglia del 636 quando le armate arabe sconfissero quelle persiane[306]. È chiaro il riferimento all'attuale Iran e di come venga esso ritenuto responsabile della svolta favorevole al governo siriano.

Anche nel sud della Siria l'arrivo dei miliziani Hezbollah aiuta l'esercito regolare a guadagnare terreno nei confronti dei ribelli. L'8 maggio l'esercito conquista la città strategica di Khirbet Ghazaleh, che permette un controllo totale sull'autostrada che porta in Giordania e alla città di Dar'a, oggetto di combattimenti con i ribelli fin dal 2011[307][308].
Offensiva del governo siriano a Damasco: in rosso la zona controllata dal governo siriano e la linea del fronte al 26 marzo 2013, in verde chiaro la zona controllata dai ribelli, in verde scuro le aree contese fino ad agosto

Anche Damasco vede l'avanzata delle truppe governative che, sostenute da Hezbollah, scatenano il 7 aprile un'offensiva su larga scala verso le roccaforti ribelli a est e sud della città[309]. Le aree oggetto dell'attacco sono Ghuta, Otaiba e soprattutto Jdaidet al-Fadl, dove ha luogo una feroce battaglia che causa numerosi morti tra la popolazione civile[310]. Le vittorie governative portano all'isolamento dei ribelli nei sobborghi della città e ad un loro accerchiamento[311].
La rottura nel fronte ribelle (luglio 2013 - agosto 2013)

Gli eventi di Qusayr e la lunga serie di vittorie strategiche da parte dell'esercito regolare hanno un impatto molto forte sul fronte dei ribelli. Sia dal punto di vista militare che politico. Il ruolo di primo piano che l'Esercito siriano libero aveva tenuto fin dagli inizi della crisi comincia a sgretolarsi mentre le formazioni islamiste, che col tempo hanno aumentato la loro influenza nelle battaglie, cominciano ad operare in maniera sempre più autonoma o a prendere la guida delle operazioni.

Il gruppo islamista più violento, il Fronte al-Nusra, viene affiancato da una nuova formazione composta prevalentemente da miliziani non siriani: lo Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (ISIS). Ad aprile 2013, il leader dello Stato Islamico dell'Iraq (ISI) Abu Bakr al-Baghdadi annuncia che al-Nusra non è che un'estensione in Siria dell'ISI, e dichiara la fusione dei due gruppi nello "Stato Islamico dell'Iraq e al-Sham" (ISIS). Tuttavia, il leader del Fronte al-Nusra rifiuta la fusione, e in giugno il leader di al-Qaeda, Ayman al-Zawahiri, interviene per mantenere le formazioni distinte, ingiungendo ad al-Baghdadi di mantenere la sua area di operazione limitata all'Iraq[312][313].

L'ISIS, per la sua natura transnazionale, interpreta la guerra di Siria come un passo verso la Jihad globale e la rifondazione del califfato. L'indebolimento dell'ESL e il contemporaneo afflusso di sempre nuovi combattenti jihadisti porta all'aumento della tensione tra i gruppi ribelli. L'11 luglio 2013 i miliziani dell'ISIS uccidono un alto comandante dell'ESL, Kamal Hamami, e dichiarano guerra a quella frangia dei ribelli che viene definita "secolarista", "eretica" e "foraggiata dagli USA"[314]. Si parla quindi dell'apertura del "terzo fronte"[315].Il conflitto tra ESL e ISIS, a cui si allea il Fronte al-Nusra, si diffonde in tutto il paese. Ma è soprattutto nel nord che il conflitto si fa più duro, portando l'ESL a cedere terreno e armamenti ai jihadisti.

L'ascesa dei fondamentalisti islamici alla guida dell'opposizione armata comporta un aumento della frizione nelle zone sotto il controllo delle milizie curde. Fin da febbraio vi erano stati scontri occasionali che si erano localizzati principalmente nei quartieri curdi di Aleppo e nella città di Ras al-Ayn, al valico con la Turchia nel nord-est del paese[316].

Il 17 luglio a Ras al-Ayn riesplode il conflitto[317] che a breve si diffonde in tutte le zone a controllo misto tra le due forze ribelli. Le milizie curde, forti del sostegno compatto della popolazione civile, hanno la meglio nella maggior parte degli scontri e a partire da agosto riescono a espellere dai villaggi a maggioranza curda tutte le formazioni islamiste e dell'Esercito Siriano Libero[318][319]. Nel nord del paese si crea un'area di conflitto molto estesa che spesso deborda anche in territorio iracheno, da dove i Curdi ricevono sostegno. Il 29 settembre l'ISIS rivendica un'ondata di autobomba nella città curda irachena di Erbil[320].
Offensiva dei ribelli (in verde) contro il territorio controllato dal governo (in rosso) nel Governatorato di Latakia

L'ideologia fondamentalista sunnita dei gruppi jihadisti porta come inevitabile conseguenza un aumento degli episodi di guerra settaria e veri e propri atti di "pulizia etnica" nei confronti delle minoranze religiose siriane. Uno degli episodi più gravi si verifica nel Governatorato di Latakia, quando, in risposta ai successi governativi in tutto il Paese, il 4 agosto le formazioni islamiste guidano un attacco verso la costa. L'operazione, chiamata "Liberazione della Costa"[321], non ha successo in quanto si svolge in un territorio che da sempre sostiene il governo Assad. I miliziani, di cui 300 non-siriani, compiono una serie di massacri nei villaggi momentaneamente occupati, facendo strage dei civili non sunniti, in maggioranza alawiti[322]. La strage conta tra i 62 e i 140 civili uccisi e altri 200 scomparsi. In migliaia scappano verso le città costiere[323][324]. Questa strage, denunciata anche da Human Rights Watch, aliena definitivamente l'appoggio delle minoranze religiose alla causa ribelle.

Nei mesi di luglio e agosto le truppe governative e le milizie Hezbollah continuano a guadagnare terreno. Il 28 luglio le aree ancora sotto il controllo ribelle di Homs vengono attaccate e, con la conquista del quartiere di Khalidiya, la città entra quasi del tutto sotto il controllo governativo[325]. Il presidente Bashar al-Assad viene ripreso mentre visita le truppe nel centro storico[326].

A Damasco le truppe governative scatenano un'offensiva verso i sobborghi orientali. Il 21 agosto nel quartiere di Ghuta viene riportato l'uso di armi chimiche che colpisce militari governativi, ribelli e popolazione civile[327]. L'evento provoca una forte presa di posizione dell'ONU e di gran parte delle cancellerie internazionali non solo per l'elevato numero di vittime (tra i 281[328] e le 1.729[329]) ma per il fatto che il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, nel 2012 aveva posto come "linea rossa" per un intervento militare internazionale, proprio l'utilizzo di armi chimiche[330].

Il governo e i ribelli si accusano a vicenda per l'operazione[331]. I Curdi si dicono "scettici che il governo siriano abbia condotto l'attacco"[332].
Il mancato intervento internazionale (settembre 2013)
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Attacco chimico di Ghuta.

A seguito dell'uso di armi chimiche a Damasco, la crisi siriana diventa internazionale accentuando le differenze tra gli schieramenti a favore e contro i ribelli. Due giorni dopo l'attacco Stati Uniti e Unione europea accusano le forze governative di Bashar al-Assad di aver condotto l'operazione[333]. La Russia e l'Iran invece difendono il governo e accusano i ribelli[334].

Si apre concretamente la possibilità di un intervento militare contro il regime, quando Barack Obama annuncia la possibilità di uno strike punitivo con il lancio di missili verso le postazioni militari siriane in 48 ore[335].

Tuttavia la forte opposizione dell'opinione pubblica[336], di parte del congresso americano[337] e i ripetuti interventi di Russia e Cina in sede Onu[338] spingono il presidente ad attendere un'approvazione da parte del congresso[339]. A fianco degli USA le nazioni più interventiste sono Francia[340], Regno Unito e Turchia.[341], mentre l'Iran dichiara che un attacco verso la Siria causerebbe un lancio di missili verso Israele[342]. In pochi giorni la tensione internazionale sale alle stelle: gli Stati Uniti d'America mobilitano le loro forze armate e inviano numerose navi da guerra nel Mar Mediterraneo e nel Mar Nero, tra cui la portaerei USS Nimitz. La Russia risponde all'avvio della macchina militare americana inviando navi nel Mediterraneo di fronte alla costa siriana. Per diverse settimane si teme addirittura lo scoppio di un vero e proprio conflitto armato tra Stati Uniti e Russia, con Francia, Regno Unito e Turchia dalla parte dei primi e la Siria dalla parte dell'altra.

L'ipotesi di un allargamento incontrollato del conflitto su scala regionale e mondiale viene sollevato dalla Cina[343] e dall'Italia, che annuncia di non essere disposta a concedere l'utilizzo degli aeroporti militari italiani[344]. Anche il Vaticano, pur condannando l'uso delle armi chimiche, si oppone fermamente ad un intervento militare contro la Siria. Papa Francesco indice per il 7 settembre una giornata di digiuno e preghiera per la pace a cui partecipano anche laici e esponenti di altre religioni[345].

Il 30 agosto il parlamento del Regno Unito nega al primo ministro David Cameron la possibilità di intervento armato[346] e di fatto isola USA e Francia.

La diplomazia prende il sopravvento e la discussione sull'intervento in Siria monopolizza l'incontro del G20 di San Pietroburgo del 6 settembre. Grazie alla proposta di soluzione russa, il 14 settembre viene raggiunto un accordo che elimina la possibilità di intervento armato in cambio della distruzione dell'arsenale chimico siriano, il libero accesso ai depositi di armi chimiche da parte dei funzionari ONU e l'adesione del governo siriano alla "Convenzione sulle armi chimiche"[347][348].

Il 27 settembre viene votata all'unanimità all'Onu la Risoluzione 2118 che prevede la distruzione dell'arsenale chimico siriano[349].

Il mese di settembre, a causa del possibile intervento occidentale, non vede significative evoluzioni sul campo di battaglia. Anche l'offensiva verso i quartieri orientali di Damasco da parte dell'esercito si ferma.
La ripresa dell'offensiva governativa (ottobre 2013 - dicembre 2013)
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia del Qalamun.

Archiviata la possibilità di un intervento occidentale in Siria e aperti i canali diplomatici tra il governo e i funzionari ONU per l'eliminazione dell'arsenale chimico, ad ottobre il governo siriano scatena una nuova serie di offensive, mentre si riacutizza il conflitto tra ribelli islamisti e curdi nel nord del paese. L'ESL, che aveva sostenuto l'intervento militare contro la Siria, perde ulteriore peso politico e inesorabilmente il fronte ribelle viene egemonizzato dalle formazioni jihadiste.

L'offensiva governativa si sviluppa su tre fronti distinti: Aleppo, Damasco e la regione montuosa di Qalamun, al confine con il Libano.
L'offensiva governativa verso Aleppo dell'ottobre 2013. In rosso le aree controllate dall'esercito, in verde quelle controllate dai ribelli.

La situazione ad Aleppo non subiva sostanziali modifiche dal luglio 2013 ed era caratterizzata da un conflitto continuativo generalizzato. A seguito dei progressi governativi ad Homs la via principale verso Aleppo supponeva un attacco verso Maarat al-Numaan, saldamente sotto controllo ribelle. L'esercito siriano invece scatena l'offensiva lungo la cosiddetta "Via del Deserto" che da Hama conduce direttamente verso la regione a sud-est di Aleppo.

Il 1º ottobre viene attaccata la città strategica di Khanasir, dove i ribelli si arrendono 3 giorni dopo[350]. La conquista di Khanasir permette l'apertura di un'importante via di rifornimento da Hama e l'apertura della via di accesso verso Aleppo. In pochi giorni l'esercito controlla i villaggi circostanti e il 10 ottobre assedia la città di al-Safira, controllata dai jihadisti del Fronte al-Nusra e ISIS e sede di un deposito di armi chimiche.[351]. Con il fondamentale sostegno delle milizie Hezbollah l'esercito entra in città il 30 ottobre[352]Il repentino avanzamento governativo e la debole risposta delle forze ribelli porta alle dimissioni del comandante in capo dell'ESL ad Aleppo, Abdul Jabbar al-Oqaidi[353]Le truppe governative in una settimana riescono a conquistare le cittadine intorno ad al-Safira e rompere l'assedio all'aeroporto di Aleppo.[354] L'obiettivo delle truppe governative è spingersi a nord-est cercando di accerchiare i quartieri centrali di Aleppo controllati dai ribelli. L'avanzata si spinge fino al distretto di al-Naqqarin dove si ferma a causa della forte resistenza dei ribelli[355] che il 13 novembre avevano chiamato alla mobilitazione generale di tutte le forze presenti ad Aleppo[356].

Il mese di dicembre è caratterizzato dall'offensiva dell'aviazione siriana che bombarda giornalmente le posizioni degli insorti[357].L'offensiva fu un grosso successo per il governo siriano, che acquisiva il controllo del 60% della città[358].

A nord del paese continua anche l'avanzata delle milizie curde che, anche approfittando della mobilitazione di combattenti verso Aleppo, espandono la propria area di influenza combattendo principalmente contro le milizie islamiste. L'operazione più importante si svolge il 26 ottobre, quando lo YPG conquista il valico di frontiera con l'Iraq di Til Koçer[359]. A inizio novembre i Curdi scatenano l'"Offensiva del martire Serekeniye"[360] che permette di conquistare gran parte del governatorato di Al-Hasakah ed estendere il controllo curdo su circa 50 altre cittadine[361].
Offensiva del governo siriano a Damasco: in rosso la zona controllata dal governo siriano e la linea del fronte al 10 settembre 2013, in verde chiaro la zona controllata dai ribelli, in verde scuro le aree contese fino a febbraio 2014

Anche a Damasco l'esercito governativo scatena una serie di offensive verso i sobborghi controllati dai ribelli. La prima linea d'attacco è l'area a sud della capitale, dove dal 9 all'11 ottobre l'esercito, spalleggiato dalle milizie Hezbollah e dalle milizie sciite irachene, conquista le 3 città strategiche di Sheikh Omar, al-Thiabiya e Husseiniya[362][363], isolando le posizioni ribelli dalle linee di rifornimento provenienti da sud. Per tutto il mese di novembre si susseguono le vittorie delle truppe governative che accerchiano completamente le sacche ribelli a sud e ad est della capitale, assediandole. In particolare i distretti nella Ghuta orientale cominciano a soffrire della mancanza di rifornimenti e viveri.

Negli ultimi giorni di novembre i ribelli provano uno sfondamento del fronte per rompere l'assedio. Il massiccio attacco provoca una carneficina da ambo le parti. In una settimana vengono uccisi più di 1.000 ribelli, inclusi i vertici di comando[364]. L'operazione viene bloccata dall'esercito regolare con il massiccio aiuto delle milizie Hezbollah, che lasciano sul campo almeno 40 morti[365].

A novembre l'esercito siriano scatena un'offensiva volta a conquistare la regione montuosa del Qalamun. Questa regione è strategica in quanto controlla l'autostrada che congiunge Damasco ad Homs e in quanto, essendo al confine con il Libano, permette l'approvvigionamento dei ribelli e il loro afflusso sul fronte di Damasco. Il 15 novembre comincia l'offensiva che permette la conquista delle cittadine di Qara, An-Nabk e Deir Attiyeh entro la fine del mese[366][367].

L'unica controffensiva di rilievo, condotta principalmente dalle formazioni islamiste, avviene il 29 novembre, quando viene attaccata e occupata la cittadina cristiana di Maalula[368] dove le milizie islamiste arrecano molti danni alle chiese, uccidono gli abitanti che non vogliono convertirsi all'Islam[369] e rapiscono 12 monache[370].

L'11 dicembre le truppe siriane pongono l'assedio alla città di Yabrud. La radicata presenza dei ribelli e il valore simbolico della città più popolosa della regione, porta le truppe governative ad essere caute su un'offensiva diretta, preferendo un assedio caratterizzato da bombardamenti aerei e terrestri e sporadiche incursioni. Anche a causa delle cattive condizioni meteorologiche di fine dicembre, l'avanzata nel Qalamun entra in una fase di stallo. La forte presenza dei ribelli jihadisti nel nord del paese e il loro controllo sui valichi di confine costringe Stati Uniti e Gran Bretagna a sospendere ogni tipo di supporto ai ribelli siriani in quelle zone[371].
L'incontro di Ginevra (gennaio 2014 - febbraio 2014)
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Conferenza di pace Ginevra 2.

Gennaio 2014 si apre con l'attesa della conferenza di pace di Ginevra, ribattezzata Ginevra 2, indetta dall'ONU in collaborazione con Russia e Stati Uniti per tentare di trovare una soluzione politica alla crisi. Alla conferenza partecipano il governo siriano, la Coalizione Nazionale Siriana e il fronte curdo. Dopo vari tentativi e ripensamenti non viene invitato a partecipare l'Iran, principale sostenitore del governo siriano. Rifiutano ogni dialogo tutte le formazioni islamiste, inclusi il Fronte al-Nusra, il Fronte Islamico e l'ISIS. Evento significativo dei primi giorni di gennaio è l'ulteriore frazionamento del fronte ribelle. Oltre al conflitto che oppone l'ESL alle milizie islamiste, anche il fronte jihadista si rompe.
Situazione in Siria a marzo 2014: l'ISIS (in nero) controlla la parte settentrionale del governatorato di Raqqa e i territori limitrofi, gli altri ribelli (in verde) controllano parti dei governatorati di Idlib, Aleppo e Deir el-Zor

Il 3 gennaio il Fronte Islamico, appoggiato dall'ESL, attacca le basi dello Stato Islamico dell'Iraq e Levante nei governatorati di Idlib e Aleppo occupandole rapidamente[372]. Il 6 gennaio le ostilità si allargano al governatorato di Raqqa e Deir ez-Zor[373] e l'8 gennaio nella regione del Qalamun[374]. Dopo 10 giorni di combattimenti, il numero di morti tra ISIS e ribelli contrapposti sale a 700[375]. Al 13 gennaio l'ISIS riesce a cacciare le altre forze ribelli da Raqqa e parte del suo governatorato[376] e avanza verso la città di al-Bab, nel governatorato di Aleppo. La maggioranza delle città nel resto del nord della Siria vede invece un arretramento dei miliziani dell'ISIS[377]. Per la prima volta si registrano scontri significativi anche tra ISIS e Fronte al-Nusra, finora rimasto neutrale[378]. Il 16 gennaio il numero di morti nei combattimenti tra milizie islamiste sale a 1.000[379].

Grazie alla nuova spaccatura interna del fronte ribelle, l'esercito governativo riesce a riprendere l'offensiva ad Aleppo. Il 15 gennaio viene conquistato il quartiere di al-Naqqarin[380] e il 22 gennaio viene riaperto l'aeroporto di Aleppo al traffico civile[381]. L'offensiva governativa prosegue verso nord, con il chiaro intento di raggiungere la prigione della città circondata dai ribelli da un anno. A febbraio gli scontri si concentrano nell'area industriale di Sheikh Najjar, che dista pochi chilometri dalla prigione. Tuttavia la forte opposizione dei ribelli, che richiamano rinforzi dal resto del governatorato di Aleppo, porta ad uno stallo dell'avanzata[382]. I ribelli, che rischiano l'accerchiamento del centro città, contrattaccano nel centro storico facendo esplodere due palazzi controllati dall'esercito con tunnel sotterranei riempiti di esplosivo. L'operazione, condotta dal Fronte Islamico, viene chiamata "Operazione Terremoto"[383].

Il 22 gennaio inizia la conferenza di pace Ginevra 2 a Montreux dove, sotto egida ONU, si incontrano per la prima volta una delegazione del governo siriano e una della Coalizione Nazionale Siriana[384]. Dopo l'iniziale rischio di fallimento del negoziato, il primo risultato concreto della conferenza viene raggiunto il 7 febbraio, quando viene siglata una tregua nella città di Homs per permettere l'evacuazione della popolazione civile[385]. Tregua poi estesa fino al 14 febbraio[386].

Il 14 febbraio 2014 i negoziati a Ginevra si chiudono senza nessun accordo politico tra le due delegazioni e l'inviato speciale dell'ONU, Lakhdar Brahimi, annuncia il fallimento "scusandosi con il popolo siriano"[387]. A metà febbraio l'esercito governativo riprende l'avanzata nella regione del Qalamun, con l'intento di controllare completamente il confine libanese[388].
I ribelli in difficoltà (marzo 2014 - maggio 2014)
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia del Qalamun § La conquista di Yabrud e Battaglia di Kesab.

A inizio marzo 2014 si assiste ad una generale avanzata dell'esercito siriano su molti fronti. L'area di maggiore attività è sicuramente la strategica regione del Qalamun, dove l'esercito regolare siriano, con la collaborazione sempre più importante della milizia Hezbollah, riesce a conquistare la roccaforte ribelle di Yabrud[389] tagliando definitivamente le linee di approvvigionamento dei ribelli dal Libano e facendo collassare le loro linee difensive. La campagna nella regione si conclude a fine aprile con la resa dei ribelli a Zabadani[390].

La perdita del Qalamun è un duro colpo per l'opposizione siriana: blocca la principale linea di rifornimento per il fronte di Damasco e crea nuove spaccature tra le milizie ribelli, che si scambiano accuse sulle responsabilità della sconfitta. Il flusso dei ribelli sconfitti oltre confine determina un aumento della tensione in Libano.

Sempre in prossimità del confine libanese, tra l'8 e il 20 marzo i ribelli vengono sconfitti nella cittadina di Zara[391] e in quella di Al-Hosn[392]. In particolare il 20 marzo viene liberato il Krak dei Cavalieri, una fortezza medievale patrimonio dell'UNESCO che i ribelli avevano trasformato in una loro roccaforte. L'operazione dell'esercito evita che il castello subisca danni eccessivi[393]. Le due cittadine conquistate erano le ultime due controllate dall'opposizione nell'ovest del governatorato di Homs.

Il 9 marzo l'esercito siriano riesce ad avanzare anche ad Aleppo, dove da mesi si combatte per il controllo dell'area industriale Shaykh Najjar. In particolare l'esercito conquista il quartiere chiave di Hanano, che gli permette di controllare le ultime strade di collegamento con il centro città. Aleppo viene posta d'assedio[394]. In risposta alle avanzate governative, i ribelli organizzano due offensive. A sud della Siria, il 19 marzo, i ribelli riescono a controllare la prigione centrale di Gharaz, nelle vicinanze di Daraa e a liberare circa 300 detenuti[395]. Il 21 marzo i ribelli lanciano un'offensiva nel nord del governatorato di Latakia denominata "Operaziona Al-Anfal" con l'obiettivo di controllare il valico di frontiera di Kesab. L'operazione si svolge in un'area fortemente filogovernativa in quanto a maggioranza alawita[396]. L'avanzata ribelle tuttavia non riesce a penetrare nell'entroterra e subisce la controffensiva lealista[397].
Assedio di Homs: le linee tratteggiate indicano il fronte ad aprile 2014, prima della resa dei ribelli

Il 6 maggio 2014 i ribelli presenti nella città vecchia di Homs aprono una trattativa con il governo siriano che porta ad un accordo sulla totale evacuazione dei miliziani dalla città con la garanzia di un salvacondotto. L'8 maggio Homs, terza città del Paese, entra sotto completo controllo dell'esercito siriano[398]. Nel corso del mese di maggio, l'offensiva governativa si sviluppa anche sugli altri fronti aperti nel paese. In particolare nella Ghuta Orientale di Damasco[399], ad Aleppo, dove l'esercito rompe l'assedio alla prigione centrale che durava da più di un anno[400], e a sud, dove l'esercito avanza verso la cittadina di Nawa[401].
La rielezione di Assad (giugno 2014)
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Elezioni presidenziali in Siria del 2014.

Il 3 giugno 2014 si svolgono in Siria le elezioni presidenziali che, seguendo i dettami della nuova costituzione siriana, permettono la presenza di più candidati. I seggi elettorali vengono installati solo nelle aree controllate dal governo. I ribelli siriani, inclusi l'ISIS e i curdi, non partecipano alla consultazione, definendola una farsa[402][403]. A livello internazionale si assiste ad una forte polarizzazione dei governi: la maggior parte dei Paesi occidentali e del mondo arabo sunnita condanna la consultazione elettorale (alcune nazioni tra cui Belgio, Canada, Egitto, Francia, Germania, Arabia Saudita, Turchia, Emirati Arabi e gli Stati Uniti non permettono ai residenti siriani di recarsi a votare nella loro ambasciata)[404]. Altre 30 nazioni, tra cui Russia, Iran e Venezuela invece riconoscono la consultazione inviando anche osservatori per garantire il corretto svolgimento delle operazioni di voto[405].

Il governo siriano comunica un'affluenza alle urne del 73.42%, e vi è una forte affluenza anche tra i residenti all'estero[406]. Alcuni osservatori indipendenti descrivono l'affluenza dei siriani residenti in Libano come "sorprendente"[404]. Nelle zone di confine con le aree controllate dai ribelli si registrano alcuni attacchi volti a scoraggiare il voto. In particolare ad Aleppo i seggi elettorali sono oggetto di tiri di mortaio[407]. Bashar al-Assad viene dichiarato vincitore delle elezioni con l'88.7% distanziando gli altri due candidati Hassan al-Nouri e Maher Hajjar e riconfermato presidente per la terza volta[408].
La proclamazione del califfato da parte dell'ISIS tra Siria e Iraq (giugno 2014 - agosto 2014)
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Stato Islamico dell'Iraq e Levante.
Emblema dello Stato Islamico.

Contemporaneamente allo svolgimento delle elezioni in Siria, si verificano una sequenza di episodi che cambiano radicalmente lo svolgimento della guerra civile. Lo Stato Islamico dell'Iraq e Levante, già attivo nell'ovest dell'Iraq, dove aveva conquistato alcune cittadine del governatorato di al-Anbar, a inizio giugno scatena un'improvvisa offensiva nel nord dell'Iraq e rapidamente conquista numerose città. Il 9 giugno l'ISIS entra a Mossul, seconda città del Paese. L'esercito regolare iracheno abbandona la città senza combattere[409].

L'avanzata dei ribelli islamisti provoca la fuga immediata di 500.000 persone e apre una profonda crisi politica in Iraq. I miliziani entrano in possesso di una grande quantità di armi di fabbricazione americana abbandonati dall'esercito e di 429 milioni tra dollari e oro saccheggiati dalle banche cittadine[410]. Vengono inoltre rilasciati 2.400 detenuti che si uniscono alle file dell'ISIS[411].

Nel mese di giugno si susseguono i successi dell'ISIS, che assume il controllo di numerose città irachene e si spinge fino alla periferia di Baghdad. In particolare viene di fatto annullata una lunga fascia di confine tra Iraq e Siria da cui possono ora passare liberamente armi e combattenti[412]. Il 29 giugno 2014 il leader dell'ISIS, Abu Bakr al-Baghdadi annuncia l'instaurazione del califfato nei territori controllati tra Siria e Iraq e chiede a tutti i musulmani di aderirvi[413].
Offensiva dell'ISIS (in nero) nella Siria nord-orientale nel luglio-agosto 2014 contro le altre forze ribelli (in verde) e le forze governative (in rosso). In giallo i curdi

Grazie alle armi sofisticate catturate in Iraq, al numero e alla determinazione dei combattenti, l'ISIS il 1º luglio scatena un'imponente offensiva nel governatorato di Deir el-Zor che, in due settimane, permette di sconfiggere le altre formazioni ribelli siriane, in particolare il Fronte al-Nusra, e assumere il controllo del 95% della provincia nonché di circa il 50% di Deir el-Zor città[414].

L'espulsione di tutte le sigle ribelli dall'est della Siria, permette all'ISIS di entrare in diretto contatto con le aree controllate dal governo siriano, verso il quale organizza un'offensiva il 16 luglio. Il primo obiettivo è il campo di gas di Shaer, nella regione desertica a nord di Palmira. In sole 12 ore le milizie occupano il campo e giustiziano sommariamente 200 tra soldati e civili[415]. Successivamente, il 26 luglio, l'esercito riesce a riconquistare gli impianti[416]. Il 25 luglio l'ISIS attacca e conquista la base militare "Divisione 17" a nord di al-Raqqa, ultimo bastione governativo nella città[417] e il 7 agosto la base militare "Brigata 93". In entrambi i casi non vengono fatti prigionieri[418].
Situazione in Siria a settembre 2014: dopo l'offensiva estiva, l'ISIS (in nero) controlla ormai quasi integralmente i governatorati di Raqqa e Deir el-Zor

Il 10 agosto l'ISIS comincia l'offensiva contro l'aeroporto militare di Tabqa, ultima postazione governativa nell'intero governatorato. L'attacco dura per tutto il mese, fino a quando, il 24 agosto, i miliziani riescono ad entrare nel complesso e a conquistarlo[419]. Le forze armate siriane riescono a evacuare gran parte del materiale militare, tuttavia circa 250 soldati vengono catturati e giustiziati sommariamente. Con un totale di circa 500 morti tra i soldati governativi, la battaglia rappresenta una dura sconfitta per il governo siriano, che, per la prima volta, viene anche criticato dall'opinione pubblica alawita che accusa l'esercito di aver abbandonato i propri uomini[420].Il fronte tra esercito governativo e le altre milizie ribelli si attesta principalmente nella campagna a nord di Hama e nella Ghuta orientale.

Il 26 luglio i ribelli scatenano un'offensiva con l'obiettivo di conquistare l'aeroporto di Hama e, in seguito, attaccare la città. Grazie a rinforzi provenienti da Aleppo, i ribelli, guidati dal Fronte al-Nusra, in un mese conquistano diverse città fino ad occupare Halfaya e Arzeh, incuneandosi quindi a ovest di Hama fino a 3 km dall'aeroporto[421]. Tuttavia, anche grazie ai rinforzi governativi spostati da Aleppo, l'avanzata ha una stagnazione e i ribelli subiscono la controffensiva che, il 17 settembre, riporta il fronte alle posizioni di luglio[422].

Nella Ghuta orientale l'esercito governativo, in collaborazione con Hezbollah, continua a stringere la sacca di resistenza ribelle, avanzando nel distretto di Jobar e soprattutto riconquistando la cittadina di al-Maliha il 14 agosto, a seguito di una lunga operazione cominciata ad aprile[423]. La città era uno snodo strategico per i ribelli e il punto di partenza di una rete di tunnel che collega le altre aree controllate[424].
L'intervento internazionale contro l'ISIS (settembre 2014 - gennaio 2015)
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Intervento militare contro lo Stato Islamico dell'Iraq e del Levante e Assedio di Kobane.

La rapida avanzata dell'ISIS nel nord e nell'est dell'Iraq nel giugno 2014 e l'incapacità militare e politica del governo centrale nel contrastarla, creano profonde preoccupazioni nei governi occidentali e, in particolare, in quello americano. Il premier iracheno Nuri al-Maliki invoca l'intervento internazionale e si rivolge direttamente agli Stati Uniti, chiedendo un immediato supporto aereo[425]. Tali eventi trasformano lo sconfinamento della guerra civile in conflitto regionale.

La situazione in Iraq peggiora ulteriormente all'inizio di agosto, quando una nuova offensiva dell'ISIS rompe le linee di difesa dei peshmerga curdi nella Regione autonoma del Kurdistan Iracheno e permette ai miliziani di penetrare rapidamente nel nord del paese[426]. In particolare vengono conquistate alcune cittadine a maggioranza cristiana, tra cui Qaraqosh, e yazida, tra cui Sinjar. L'avanzata provoca la fuga di 200.000 persone che temono il massacro per motivi religiosi[427]. Particolarmente grave la situazione della popolazione yazida, che viene accerchiata sulla montagna a nord di Sinjar. Il rischio di completa occupazione del Kurdistan Iracheno spinge gli Stati Uniti a intervenire nel conflitto. Il 7 agosto avviene il primo bombardamento nei pressi di Erbil[428].

Viene organizzata una coalizione che raggruppa 11 paesi occidentali, inclusa l'Italia che però offre solo supporto logistico, aiuti umanitari ai profughi e armamento leggero alle milizie curde irachene[429]. L'intervento occidentale contro l'ISIS si limita all'Iraq, sebbene gran parte dei miliziani e i principali centri di comando si trovino in Siria. Il problema principale per gli USA è la possibilità che un intervento in territorio siriano possa aiutare le truppe dell'esercito governativo, che, paradossalmente, un anno prima avevano minacciato di attaccare. Tuttavia dal 26 agosto si verificano alcuni voli di ricognizione sul territorio siriano[430]. Il 10 settembre il presidente statunitense Barack Obama apre alla possibilità di attaccare l'ISIS in Siria, affermando in una conferenza stampa: "Daremo la caccia ai terroristi ovunque si trovino. Significa che non esiterò a comandare operazioni anche in Siria"[431].
Gli obiettivi dei primi attacchi statunitensi in Siria in una mappa del Dipartimento della Difesa: oltre all'ISIS nell'area di Raqqa e Deir el-Zor, viene colpito anche il fronte al-Nusra a ovest di Aleppo

Il 22 settembre si verificano i primi bombardamenti sul territorio siriano. Il governo viene informato con la mediazione dell'Iran, ma non viene consultato per coordinare gli attacchi o chiedere l'autorizzazione. Tuttavia viene rilasciata una dichiarazione che afferma: "la Siria appoggia ogni iniziativa internazionale nella lotta contro gli jihadisti"[432][433]. La coalizione guidata dagli Stati Uniti comprende 5 nazioni arabe: Bahrein, Giordania, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti[434]. Tra i primi obiettivi vi sono tutti i principali centri urbani controllati dall'ISIS, tra cui Raqqa e, inaspettatamente, anche postazioni del Fronte al-Nusra; in particolare viene attaccato il quartier generale del "Gruppo Khorasan"[435].

L'imprevista inclusione del Fronte al-Nusra nell'attacco provoca una dura reazione da parte delle altre formazioni ribelli siriane, tra cui l'Esercito siriano libero, che teme un diretto rafforzamento delle truppe governative e un travaso di miliziani verso l'ISIS allo scopo di combattere gli Stati Uniti come "nemico comune"[436]. Nell'area di Damasco, nel giorno stesso dell'inizio dei bombardamenti, viene siglato un patto di non aggressione tra ISIS e le altre formazioni ribelli[437].

Sul terreno, a metà settembre, l'ISIS scatena una imponente offensiva verso la regione di Kobane, confinante con la Turchia e controllata dalle milizie curde YPG. Grazie agli equipaggiamenti provenienti dall'Iraq, l'ISIS riesce rapidamente a conquistare diverse cittadine, mandando in rotta i miliziani curdi. Solo il 2 ottobre l'ISIS conquista 350 villaggi e arriva alle porte della città[438]. L'attacco provoca il flusso di 300.000 profughi verso la Turchia, causando il più importante sconfinamento della guerra civile sul suo territorio[439].
Linea del fronte a Kobane, dalla massima estensione del controllo dell'ISIS a fine ottobre-inizio novembre 2014 (linea tratteggiata rossa), alla contro-offensiva dell'YPG (in giallo) a gennaio 2015

L'assedio di Kobane permette alle forze della coalizione di bersagliare i miliziani dell'ISIS con facilità a causa della loro concentrazione. Al 15 ottobre le vittime si contano a centinaia[440]. La vicinanza degli scontri, spinge la Turchia a schierare le proprie truppe al confine. Tuttavia, ignorando le richieste della minoranza curda e degli Stati Uniti, il presidente Erdogan si rifiuta di fornire aiuti alla città e ai miliziani YPG[441]. Solo a inizio novembre viene permesso l'ingresso in città di un piccolo contingente di curdi iracheni[442]. L'offensiva dell'ISIS si arresta dividendo in due la città. Le ripetute controffensive curde permettono piccoli avanzamenti per tutto il mese di novembre e dicembre. A fine anno le milizie YPG controllano tra il 70%[443] e l'85%[444] di Kobane.

I bombardamenti hanno effetto anche nell'area di Deir el-Zor, dove, a dicembre, il governo siriano riesce a espellere l'ISIS da molte zone della città[445]. Settembre vede anche un avanzamento delle truppe governative siriane nella Ghuta orientale di Damasco, dove il 25 i ribelli sono costretti a ritirarsi dalla città di Adra[446].
Crescita del territorio controllato da al-Nusra dopo il conflitto con l'ESL:

__ Prima dell'offensiva

__ Dopo l'offensiva

Ad Aleppo l'esercito siriano avanza nel nordest della città, conquistando lo strategico quartiere di Handarat. L'esercito ora può bersagliare l'unica arteria di collegamento in mano ai ribelli, ponendo le aree centrali della città sotto assedio de facto[447]. Il 23 ottobre l'esercito siriano riesce a conquistare la cittadina di Morek, a nord di Hama, dopo 9 mesi di combattimenti. Alcune testimonianze riportano che l'attacco della coalizione internazionale contro il Fronte al-Nusra ha di fatto aiutato l'esercito siriano in quest'ultima operazione[448]. Poco dopo questo evento, il 26 ottobre, il Fronte al-Nusra rompe l'alleanza con l'Esercito siriano libero ed attacca le sue postazioni in tutto il governatorato di Idlib sequestrando tutto l'armamento e costringendo i miliziani a scappare in Turchia o a unirsi al Fronte[449]. Viene mantenuta inalterata l'alleanza nel sud della Siria.

Il periodo compreso tra novembre e dicembre 2014 vede un rallentamento delle iniziative militari su tutto il territorio siriano ad esclusione del governatorato di Daraa dove le milizie ribelli riescono a conquistare l'importante città di Nawa[450] ed avanzare verso Shaykh Maskin[451] con l'intenzione di controllare l'autostrada Dar'a-Damasco ancora sotto controllo governativo.

Il 26 gennaio 2015 le milizie curde annunciano che la città di Kobane è completamente sotto il loro controllo[452]. Lo Stato Islamico riconosce l'impossibilità di mantenere le proprie posizioni e, visto l'alto numero di perdite, annuncia il ritiro dalla città e dalle aree circostanti[453].
Le forze governative in difficoltà (febbraio 2015 - maggio 2015)

Dal mese di febbraio si intensificano le operazioni militari su tutti i fronti della guerra civile. Le milizie curde YPG, con il fondamentale appoggio dell'aviazione americana e alcune unità dell'Esercito Siriano Libero, riescono in un mese a riconquistare tutte le cittadine curde della regione a sud di Kobane perse tra ottobre e dicembre 2014[454]. Lo Stato Islamico è costretto ad attestare la propria linea difensiva nei villaggi a maggioranza etnica araba.
Offensiva dei curdi (in giallo) contro l'ISIS (in nero) a est di Hasaka e dell'ISIS contro i curdi a ovest di Hasaka, febbraio-marzo 2015

I curdi siriani, stavolta alleati alle forze governative, scatenano un'offensiva il 21 febbraio nella zona est di Al-Hasaka, verso Tal Hamis, roccaforte dello Stato Islamico vicino al confine iracheno. Grazie anche all'intervento dei peshmerga iracheni, che eseguono bombardamenti da oltre confine, i curdi conquistano tra il 25 e il 28 febbraio Tal Hamis e la vicina Tell Brak, oltre ad altri 105 piccoli villaggi[455]. Lo Stato Islamico reagisce attaccando a ovest di Al-Hasaka e conquistando 35 villaggi a sud di Tell Tamer, entrando in un territorio abitato in maggioranza da cristiani assiri[456]. Le milizie cristiane, curde e l'esercito siriano riescono ad arginare l'avanzata il 16 marzo[457].

Il 16 febbraio 2015, a seguito dell'arrivo di numerosi rinforzi ad Aleppo, l'esercito siriano scatena un'imponente offensiva volta a completare l'accerchiamento del centro città e rompere l'assedio delle cittadine sciite di Nubl e Zahara[458]. L'attacco coglie di sorpresa le postazioni ribelli a nord della città e in poche ore l'esercito siriano conquista diversi villaggi arrivando a controllare la principale via di rifornimento ribelle e a raggiungere le due città assediate[459]. Tuttavia l'avanzata si rivela effimera e già il giorno successivo l'esercito subisce il contrattacco ribelle, che in pochi giorni recupera tutte le posizioni perse e infligge forti perdite alle truppe governative[460][461]. Inoltre la seconda offensiva volta ad accerchiare Aleppo entra subito in stallo e le milizie ribelli riescono a penetrare nei quartieri strategici di Al-Mallah e Handarat[462].
Offensiva delle forze filo-governative (in rosso) contro i ribelli (in verde) nel sud della Siria

Il 7 febbraio 2015, in risposta alle recenti vittorie ribelli nel sud del paese, l'esercito siriano scatena un'offensiva sul fronte meridionale volto ad allontanare ulteriormente i ribelli da Damasco e riprendere il controllo sulla fascia di confine con le Alture del Golan[463]. Per la prima volta dallo scoppio della guerra civile partecipano in maniera diretta molte unità dei pasdaran iraniani[464], oltre che molti miliziani Hezbollah e alcune milizie sciite afghane[465]. La battaglia viene considerata decisiva dalle forze governative e molti osservatori internazionali la considerano una delle più importanti della guerra[466]. La prima fase dell'offensiva permette di conquistare velocemente 7 cittadine, ma dopo solo una settimana le forze governative entrano in stallo, subendo pesanti perdite ed esaurendo la spinta iniziale. Le limitate conquiste territoriali e l'importanza attribuita all'operazione portano a considerare l'attacco come un grosso fallimento.

Gli scarsi risultati ottenuti nelle offensive di febbraio sono il preludio ad un periodo estremamente difficile per il governo siriano. A partire da marzo si verificano una serie di pesanti sconfitte ai danni dell'esercito governativo che, per la prima volta dalla battaglia di Qusayr, è costretto a cedere importanti aree strategiche. Le ragioni di questa modifica dei rapporti di forza sono da ricercarsi nella cronica mancanza di uomini nelle file governative, che si sono ridotti ulteriormente nella guerra d'attrito invernale. Inoltre gli alleati sciiti iracheni, iraniani e Hezbollah hanno ridotto la loro presenza sul campo o si sono focalizzati su aree ridotte di interesse strategico[467]. Inoltre compaiono i primi cedimenti politici all'interno del campo governativo. Si verificano imprigionamenti, fughe e uccisioni di membri interni al partito Baath, alcuni accusati di ordire un colpo di stato[468]. I ribelli siriani invece, nella componente jihadista, trovano una nuova unità creando una coalizione attiva soprattutto al nord, Jaish al Fatah (Esercito della Conquista), guidata dal Fronte al-Nusra e comprendente altri sei gruppi ribelli tra cui Ahrar al-Sham[469]. Inoltre Arabia Saudita e Turchia aumentano finanziamenti e coordinamento a sostegno dei miliziani[470].
Conquista di Idlib e Jisr al-Shughur da parte dei ribelli di Jaish al Fatah (in verde), marzo-aprile 2015

Il 25 marzo con un rapido attacco i miliziani dell'Esercito Siriano Libero conquistano la cittadina meridionale di Bosra, costringendo l'esercito siriano a ritirarsi nel gebel Druso[471]. Il 24 marzo Jaish al Fatah scatena un ampio attacco alla città di Idlib, sotto controllo governativo e capoluogo dell'omonimo governatorato. Con l'ausilio di numerosi attentatori suicidi i miliziani si infiltrano nelle zone nord ed est della città, avanzando velocemente verso il centro[472]. Nell'arco di 4 giorni le truppe siriane e i membri della Forza Nazionale di Difesa si ritirano verso sud, abbandonando definitivamente la città il 28 marzo[473]. La conquista della città rappresenta una dura perdita per il governo siriano soprattutto dal punto di vista morale e permette al Fronte al-Nusra di presentarsi ormai come la formazione egemone tra i ribelli[474]. Jaish al Fatah annuncia l'instaurazione della sharia in città, che diviene de facto la "capitale" delle aree amministrate dal gruppo jihadista[475]. Una nuova sconfitta per il governo siriano avviene il 1º aprile di nuovo a sud, al confine con la Giordania, dove i miliziani ribelli riescono a conquistare il valico di Nasib, ultima area di confine ancora sotto controllo statale e garantirsi in questo modo una nuova via di rifornimento[476].

A nord, a seguito della conquista di Idlib, Jaish al Fatah continua l'offensiva verso ovest, aprendo il 22 aprile 3 diversi fronti: a ovest della città, su Jisr al-Shughur e nella piana di al-Ghaab. Il 25 aprile l'esercito siriano abbandona Jisr al-Shughur[477] e, dopo una timida controffensiva è costretto a cedere anche alcuni villaggi nella piana di al-Ghaab[478]. La presa di Jisr al-Shughur è particolarmente importante in quanto è uno snodo strategico per la costa di Latakia, area alawita e fortemente filogovernativa.
Offensiva dell'ISIS (in nero) contro Palmira, maggio 2015

Il 13 maggio 2015 il governo siriano subisce una pesante sconfitta anche nell'est del paese. Questa volta è lo Stato Islamico che, sfruttando l'alleggerimento di truppe governative ricollocate sul fronte di Idlib, attacca la città di Palmira, posizionata strategicamente nel deserto tra il confine iracheno, Homs e Damasco. La resistenza dura circa 10 giorni. Il 21 maggio i miliziani dell'ISIS entrano in città, mentre le truppe regolari evacuano i civili e i reperti archeologici contenuti nel Museo di Palmira[479].

Verso la fine del mese i vari fronti aperti entrano in stallo, con piccoli avanzamenti dei ribelli solo nell'area di Idlib[480].
La grande avanzata curda nel nord (giugno 2015 - settembre 2015)

Già a partire dalla metà maggio 2015 le forze curde YPG presenti nella regione a nord-ovest di Hassaké avevano intrapreso una campagna militare in risposta ai recenti avanzamenti dello Stato Islamico nell'area riconquistando, in collaborazione con le milizie cristiane, i territori persi a inizio marzo[481].
Avanzata dei curdi (in giallo) contro l'ISIS (in nero) nel nord della Siria, con l'unificazione dei cantoni di Kobane (a ovest) e Jazira (a est)

Il 31 maggio 2015 viene lanciata una nuova imponente offensiva, guidata dalle milizie curde in collaborazione con alcuni gruppi selezionati dell'Esercito Siriano Libero e la copertura aerea della Coalizione a guida americana. I curdi avanzano sia da est, che da ovest (dal cantone di Kobane) con l'intenzione di entrare nel Governatorato di al-Raqqa, unificare i due cantoni e assumere il controllo continuo di quasi tutto il confine con la Turchia. L'avanzata si rivela estremamente veloce, con le milizie islamiste che spesso si ritirano senza ingaggiare i combattenti curdi. Unica cittadina ad opporre resistenza è Suluk, che però cade il 14 giugno[482]. Tra il 15 e il 16 giugno i combattenti curdi YPG provenienti dai due cantoni unificano il fronte e attaccano l'ultima roccaforte dello Stato Islamico: la città frontaliera di Tell Abyad, che viene abbandonata dagli jihadisti con poca resistenza[483]. La vittoria curda permette il controllo di larga parte del confine turco e di tagliare i rifornimenti diretti a Raqqa, nonché di minacciare direttamente la capitale del Califfato. I curdi YPG conquistano quasi tutte le aree a maggioranza curda (Rojava), spingendosi anche in cittadine arabe, lasciate in gestione alle poche brigate dell'Esercito Siriano Libero, per dare rassicurazione agli abitanti[484]. A fine giugno i curdi, con una presenza più importante dell'Esercito Siriano Libero, conquistano Ayn Issa, spingendosi più in profondità verso Raqqa[485]. La vittoria di Tel Abyad rappresenta uno dei più rapidi avanzamenti della guerra civile siriana e una sconfitta strategica importante per lo Stato Islamico che è costretto a organizzare le difese della propria capitale e rinunciare alla via più diretta di approvvigionamento verso la Turchia.

La risposta dell'ISIS all'avanzata curda avviene alla fine del mese. Il 25 giugno un centinaio di miliziani islamisti penetra nella città di Kobane facendo esplodere 3 autobomba vicino al valico di confine con la Turchia e attaccando le retrovie delle milizie YPG[486]. L'effetto sorpresa rende complessa la risposta dei curdi, che sono costretti a richiamare i miliziani dal fronte. La battaglia dura 3 giorni durante i quali gli islamisti commettono anche una serie di massacri contro la popolazione civile[487]. Il 29 giugno gli ultimi miliziani dell'ISIS vengono eliminati. I curdi accusano direttamente la Turchia di aver permesso l'accesso dei combattenti attraverso il suo territorio[488]. Il 30 giugno avviene un episodio identico nella città di Tall Abyad[489]. I curdi sono costretti ad interrompere l'offensiva verso sud, essendo il fronte troppo vasto e riconoscendo la necessità di rafforzare il controllo sulle aree conquistate.
La situazione a Hasaka al 3 luglio 2015: in nero l'ISIS, in rosso il governo siriano, in giallo l'YPG, in verde le milizie assire

Quasi contemporaneamente l'ISIS scatena un'offensiva anche nell'area curda orientale, attaccando frontalmente la città di Hassaké il 23 giugno[490]. I miliziani riescono a conquistare i sobborghi meridionali e ad entrare nel centro cittadino. Il YPG viene affiancato dall'esercito regolare siriano, che rinforza il proprio contingente con 400 membri della Guardia Repubblicana[491]. I bombardamenti della coalizione a guida americana sono sporadici per evitare il sostegno diretto alle truppe governative[492]. Gli scontri proseguono per tutto il mese di luglio. Il 1 agosto la battaglia si dichiara conclusa con l'ISIS costretto a ritornare sulle posizioni precedenti all'attacco[493].

Il mese di giugno 2015 vede anche il primo coinvolgimento della comunità drusa siriana, finora rimasta ambiguamente neutrale nella guerra civile. L'11 giugno 2015 il Fronte al-Nusra compie un massacro nella provincia di Idlib, uccidendo 20 civili drusi in un villaggio[494]. Lo stesso giorno, i ribelli attaccano la base aerea di al-Thula, nel governatorato di As-Suwayda, al confine occidentale del Gebel Druso[495]. I drusi reagiscono con una dichiarazione in cui i leader politici e religiosi della comunità spingono la popolazione a sostenere il governo e unirsi all'esercito regolare[496][497]. Il 16 giugno i ribelli scatenano una nuova offensiva nel governatorato di Quneitra con l'obiettivo di entrare nella Ghuta occidentale e avvicinarsi a Damasco[498]. Il giorno successivo il fronte si attesta nella cittadina di Hadar, abitata dalla comunità drusa. Anche in questa circostanza i cittadini si uniscono alle forze governative contro i ribelli[499].

L'intervento druso provoca il rapido stallo di entrambe le offensive ribelli nel sud della Siria e la controffensiva governativa[500][501].

In questo periodo l'unica area della Siria dove le truppe governative ottengono successi sostanziali è la regione del Qalamun al confine con il Libano. Con il sempre più importante sostegno delle milizie sciite Hezbollah, tra maggio e giugno, l'esercito siriano era riuscito a mettere in sicurezza le aree rurali e i picchi montagnosi nel Qalamun settentrionale[502]. Il 3 luglio 2015 viene attaccata la cittadina di Zabadani[503], il più grosso centro urbano al confine libanese ancora nelle mani dei ribelli e oggetto di continue tregue nel corso degli ultimi anni[504][505]. Le truppe governative circondano l'abitato e avanzano rapidamente verso il centro città. Tuttavia a causa della feroce resistenza ribelle, derivata anche dall'impossibilità di fuggire, Hezbollah è costretta a rallentare l'attacco in modo da limitare le proprie perdite[506]. A partire da agosto, la sorte di Zabadani viene legata alle due città a maggioranza sciita nel governatorato di Idlib, Al-Fou'aa e Kafraya. I ribelli infatti attaccano i centri abitati e propongono uno scambio tra i loro combattenti a Zabadani e i civili intrappolati a nord[507]. Coinvolgendo anche Turchia e Iran, vengono implementate una serie di tregue fino al mese di settembre[508][509]. Tuttavia, le città di Madaya (vicino a Zabadani), Al-Fou'aa e Kafraya restano assediate ancora a gennaio 2016, con coseguenze sempre più gravi per i civili rimasti intrappolati e privi di cibo e medicine[510].

Sempre nel governatorato di Idlib, la coalizione islamista Jaish al Fatah lancia a fine giugno una serie di nuove offensive a sud di Jisr al-Shughur, riuscendo a conquistare alcuni villaggi[511] ma venendo bloccata dalla controffensiva governativa[512]. Per tutto il mese di agosto si registrano continui scontri caratterizzati da attacchi e contrattacchi nella parte settentrionale della Piana di al-Ghab con le cittadine di Mansura, al-Bahsa e Tal Awar che passano di mano diverse volte[513][514]. L'offensiva si esaurisce a fine agosto un blando avanzamento dei ribelli.
L'intervento russo (ottobre 2015 - presente)
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Abbattimento del Su-24 russo del 2015 e Campagna di Latakia (2015).

Sebbene la Federazione Russa abbia sostenuto politicamente e con forniture militari il governo siriano fin dalle prime fasi della crisi, a partire da settembre 2015 si verifica una sensibile intensificazione dei contatti tra i due governi e si registrano movimenti aerei e di personale russo nell'area costiera di Lattakia[515][516][517]. Il 15 settembre gli Stati Uniti dichiarano che truppe russe stanno allestendo un nuovo aeroporto con annessa base militare[518]. A fine settembre la Russia annuncia di aver raggiunto un accordo con Siria, Iraq e Iran per condividere informazioni di intelligence relative allo Stato Islamico[519].

Oltre all'aumento di forniture militari, il presidente russo Vladimir Putin scatena un'offensiva diplomatica volta a modificare la posizione occidentale nei confronti del governo siriano, allo scopo di includerlo in un futuro processo di pace. Anche a seguito della crisi dei profughi siriani in Europa iniziata durante l'estate, Austria, Spagna[520], Germania[521] e Regno Unito[522] affermano di essere disposti a trattare con il presidente siriano Bashar al-Assad. Tale posizione viene accettata anche dalla Turchia[523] e da Israele[524]

A fine settembre la Russia ufficializza la volontà di intervenire in Siria contro lo Stato Islamico e avvia trattative per includere la propria forza aerea alla coalizione a guida americana[525]. Tuttavia l'accordo non viene siglato a causa della divergenza sul supporto alle truppe governative siriane[526].
Offensiva delle forze filo-governative (in rosso) contro i ribelli (in verde) nella sacca di al-Rastan tra Homs e Hama (in basso) e a nord di Hama nella piana di al-Ghab (in alto)

Il 30 settembre 2015, poco dopo l'autorizzazione della Duma[527] e dopo aver informato il governo americano, gli aerei russi eseguono i primi raid in territorio siriano[528]. Tra le prime località colpite vi sono quelle nella zona controllata dai ribelli tra Homs e Hama (la cosiddetta "sacca di Al-Rastan")[529]. L'apparente assenza di miliziani dello Stato Islamico nell'area dimostra la volontà di colpire, a differenza dei raid dell'aviazione americana, tutte le sigle della ribellione siriana, incluse le brigate dell'Esercito Siriano Libero[530]. Il giorno successivo, tuttavia, vengono bombardate anche aree controllate dall'ISIS, inclusa la "capitale" del Califfato: Raqqa[531].

I raid aerei si estendono su quasi tutto il territorio siriano controllato dai ribelli che, in risposta, creano un "comitato congiunto" composto da 41 fazioni per coordinare le operazioni di difesa[532].

Il 7 ottobre l'esercito siriano lancia una vasta offensiva nel nord-ovest della Siria aprendo un fronte che comprende il governatorato di Latakia, la piana di al-Ghab e il confine nord del governatorato di Hama[533]. L'aviazione russa garantisce una forte copertura aerea con aerei ed elicotteri. Nella notte vengono anche lanciati 26 missili terra-terra da navi russe ormeggiate nel Mar Caspio, sfruttando lo spazio aereo iraniano e iracheno[534]. Nelle operazioni terrestri l'esercito siriano viene affiancato anche dai miliziani Hezbollah[535]. In una settimana di combattimenti le truppe governative riescono a catturare diverse cittadine nel governatorato di Idlib e intorno alla strategica cittadina di Salma. Tuttavia i miliziani islamisti riescono a rallentare l'avanzata, anche grazie all'utilizzo dei missili anticarro BGM-71 TOW di fabbricazione americana[536]. Nella seconda settimana di battaglia alcuni punti del fronte entrano in stallo, ad esclusione della piana di al-Ghab, dove lentamente le truppe siriane avanzano verso nord. Alcuni osservatori ritengono i successi ottenuti come "limitati"[537].
Offensiva delle forze filo-governative (in rosso) contro i ribelli (in verde) a sud e nord di Aleppo e contro l'ISIS (in nero) a est di Aleppo, ottobre 2015-febbraio 2016

Il 16 ottobre le truppe siriane lanciano un'altra offensiva nella campagna a sud di Aleppo[538]. Oltre all'appoggio aereo russo, intervengono direttamente elementi della Forza Quds iraniana, sotto la direzione strategica diretta di Qasem Soleimani[539] e milizie sciite irachene[540]. In pochi giorni le truppe conquistano 5 villaggi prima di incontrare la resistenza dei ribelli[541]. Tra ottobre e l'inizio di novembre, l'esercito siriano riesce a ad avanzare in profondità verso sud e verso ovest, conquistando una dozzina di villaggi[542][543] e arrivando ad attaccare la cittadina di al-Hadir[544]. Parallelamente, a est di Aleppo, con il forte sostegno dell'aviazione russa, l'esercito governativo riattiva il fronte contro lo Stato Islamico con l'intenzione di rompere l'assedio dell'aeroporto militare di Kuwayris[545]. Il 10 novembre 2015 le truppe entrano nel complesso militare e la televisione nazionale trasmette le immagini dei soldati in festa[546]. Questa operazione è il primo vero successo governativo da inizio anno e la dimostrazione dell'importante aiuto fornito dall'aviazione russa. Inoltre la penetrazione governativa in un'area considerata roccaforte dell'ISIS apre un nuovo fronte sulla frontiera occidentale del "Califfato"[547].

Il successo militare governativo ad Aleppo segue una nuova offensiva diplomatica russa per riabilitare Bashar al-Assad sul piano internazionale. Il 21 ottobre il presidente siriano viene accolto a sorpresa a Mosca da Vladimir Putin. Si tratta del primo viaggio di Assad all'estero dall'inizio della crisi[548]. Il 30 ottobre viene organizzata a Vienna una conferenza di pace dove, per la prima volta, viene invitato l'Iran e non vengono richieste le dimissioni di Assad come pre-condizione ai colloqui[549][550].

A parte Aleppo, le truppe governative si trovano in difficoltà sugli altri fronti. Nel governatorato di Latakia l'avanzata su Salma entra in stallo e l'unico successo è la conquista del villaggio montuoso di Ghamam[551]. Non vi è nessuna modifica del fronte nella Piana di al-Ghab, mentre sul fronte a nord di Hama l'esercito subisce il contrattacco da parte delle milizie ribelli che riescono a riconquistare tutti i territori persi a fine ottobre e a riconquistare, il 4 novembre, la strategica città di Morek, oltre a divesi villaggi e colline circostanti[552].

Il mese di novembre vede avanzare ulteriormente l'esercito siriano. A sud di Aleppo, il 13 novembre, le linee di difesa ribelli vengono sfondate da un attacco congiunto dell'esercito, Hezbollah, milizie sciite irachene, afghane e pasdaran iraniani. In un solo giorno vengono conquistate le cittadine di Hader ed El-Eis, insieme a diversi altri villaggi circostanti[553][554][555]. Le truppe governative arrivano fino all'autostrada M5 che congiunge Aleppo a Damasco, prima di interrompere l'offensiva[556]. A fine novembre tuttavia le milizie ribelli, spostando uomini dal fronte di Hama, riescono ad organizzare una controffensiva che recupera parte del territorio perso[557].

Anche sul fronte a est di Aleppo, l'esercito siriano non interrompe l'attacco e si spinge verso est, arrivando alla periferia di Deir Hafer[558].
Avanzamento delle forze governative (in rosso) nel governatorato di Latakia: la linea nera tratteggiata indica il fronte a novembre 2015, prima della riconquista di Salma e Rabia a gennaio 2016

A metà novembre si sblocca il fronte a nord di Latakia. Grazie alla copertura aerea russa, l'esercito riesce a conquistare diversi villaggi e alture, entrando nel Jabal Turkman, area abitata dalla minoranza etnica turcomanna molto legata ai ribelli e di lingua e cultura turca[559][560][561]. La Turchia, nella realistica eventualità di perdere il controllo del confine con i gruppi ribelli, afferma che attuerebbe "qualunque azione per difendere la comunità turcomanna"[562]. In questo contesto, il 25 novembre, due F-16 turchi abbattono un bombardiere russo[563] causando la morte di un pilota e innescando una forte crisi diplomatica tra i due Paesi.

Il periodo compreso tra la fine del 2015 e l'inizio del 2016 vede incrementare l'attività su quasi tutti i fronti siriani. Nella maggior parte dei casi è l'esercito siriano che intraprende azioni offensive, evidenziando il sempre più efficace supporto aereo russo. Vengono inoltre introdotti i carri armati T-90 che permettono una maggiore difesa contro i missili anticarro BGM-71 TOW[564].

Sul fronte a sud di Aleppo, il 20 dicembre l'esercito conquista la cittadina strategica di Khan Tuman, tagliando nuovamente l'autostrada M5 e unificando l'intera periferia meridionale della città[565].

Nella Ghuta Orientale, dopo un lungo periodo di inattività, riprendono le ostilità il 14 dicembre. L'esercito avanza da sud e conquista la base aerea e il villaggio di Marj al-Sultan[566]. Il 25 dicembre l'aviazione russa esegue un bombardamento mirato in cui viene ucciso uno dei più importanti leader ribelli: Zahran Alloush, comandante della formazione Jaish al-Islam, legata all'Arabia Saudita ed egemone nell'area di Damasco[567][568].

Il fronte a nord di Latakia subisce forti avanzamenti a partire dal 25 dicembre. Il 12 gennaio 2016 le truppe siriane entrano nella roccaforte ribelle di Salma, causando un repentino ripiegamento dei miliziani verso il confine turco[569]. Nei giorni successivi l'esercito conquista decine di cittadine del governatorato ed entra il 24 gennaio nella città di Rabia, ultima roccaforte ribelle nel nord della provincia[570].

Sul fronte sud, il 27 dicembre l'esercito siriano lancia un'offensiva per conquistare la città di Al-Shaykh Maskin, che taglia la linea di comunicazione tra Damasco e Daraa[571]. La battaglia è considerata vitale da parte dei ribelli che riescono a rallentare l'avanzata governativa. Intorno al 5 gennaio 2016 la battaglia entra in stallo, con l'esercito che riesce a controllare il 60% della città[572]. L'offensiva riprende a fine gennaio, e il 25 viene annunciata la completa conquista della città[573].
Avanzamento dell'YPG (in giallo) verso Tishrin e a ovest dell'Eufrate, 23-30 dicembre 2015

A est dell'Eufrate anche le milizie curde organizzano un attacco contro le postazioni dello Stato Islamico. Grazie alla copertura aerea americana lo YPG, insieme ad alcune milizie arabe, tra il 23 e il 26 dicembre avanza rapidamente verso sud, raggiungendo e conquistando la strategica diga di Tishrin ed entrando, per la prima volta, nei territori a ovest del fiume[574]. Ora le milizie curde hanno una via d'accesso verso la roccaforte ISIL di Manbij.

Approfittando dello scontro tra lo Stato Islamico e YPG, a gennaio l'esercito siriano avanza a est di Aleppo conquistando alcune cittadine a nord dell'aeroporto militare di Kuwayris e avvicinandosi alla roccaforte ISIL di al-Bab[575]. In risposta, il 16 gennaio lo Stato Islamico lancia una violenta offensiva contro la sacca governativa di Deir el-Zor, assediata da diversi anni, riuscendo a invadere i quartieri settentrionali della città. L'attacco viene respinto, ma tra 80 e 300 civili vengono uccisi e 400 rapiti[576][577].

Il 1° febbraio l'esercito governativo sferra una violenta ed improvvisa offensiva dai sobborghi settentrionali di Aleppo allo scopo di raggiungere e liberare la sacca di Nubl, assediata dai ribelli da luglio 2012. La massiccia copertura aerea dell'aviazione russa permette ai siriani di sfondare rapidamente le difese ribelli e di avanzare con estrema velocità. Il 3 febbraio l'esercito ed i suoi alleati entrano, tra la popolazione in festa, nelle città di Nubl e Zahraa, rompendo finalmente il lungo assedio. La vittoria consente inoltre alle truppe di Damasco di tagliare una delle principali vie di rifornimento per i miliziani dalla Turchia ad Aleppo.
Le forze in campo
Forze filogovernative
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Organizzazioni e gruppi armati nella guerra civile siriana § Forze filogovernative.

La principale forza che il governo siriano ha a disposizione nel contrasto dell'insurrezione armata sono le Forze armate siriane. Pur subendo nei primi due anni di conflitto un continuo flusso di disertori verso le formazioni ribelli, anche tra gli alti ranghi, ha mantenuto una struttura organizzata e gli uomini che ricoprono i ruoli strategici sono rimasti fedeli al governo. Le diserzioni hanno interessato solo un terzo degli effettivi.

Il governo può anche contare su una forza armata parallela composta principalmente da minoranze religiose siriane minacciate dalle frange islamiste dei ribelli: la Forza Nazionale di Difesa. Questa milizia, addestrata e organizzata dal governo, ha avuto una forte crescita e gode di una buona popolarità in quanto gli uomini arruolati vengono dislocati nelle aree intorno al loro territorio di origine.

Un altro gruppo che è stato importante per il governo nelle fasi iniziali della rivolta per reprimere le manifestazioni è la milizia Shabiha, che non ha però una reale struttura interna ed è composta da alawiti spesso legati alla criminalità comune. Miliziani Shabiha si sono resi protagonisti di alcune delle stragi più brutali della guerra civile.

A sostegno del governo è intervenuta nell'aprile 2013 la milizia libanese Hezbollah, storico alleato siriano ed emanazione dell'Iran sciita. L'esperienza militare di Hezbollah ha contribuito alla svolta militare a favore dell'esercito governativo, che da allora mantiene l'iniziativa.

Hezbollah non è l'unica milizia sciita che ha affiancato l'esercito governativo. Oltre a milizie sciite siriane, vi sono almeno 4 gruppi armati iracheni e un gruppo sciita yemenita.

Altre formazioni minori, comunque gestite dal governo, sono comparse in Siria. Tra queste alcune di ispirazione laica, collegate al socialismo arabo o all'ideologia baathista.
Forze ribelli
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Organizzazioni e gruppi armati nella guerra civile siriana § Forze ribelli.

Nei primi anni di guerra, la principale forza di opposizione al governo siriano è l'Esercito siriano libero, che, da formazione egemone ha subito un lento declino a favore di altre formazioni di ispirazione islamista, che hanno progressivamente assunto il comando delle operazioni militari sul campo e sono cresciute in termini di uomini e mezzi.

L'ossatura dell'ESL è formata da soldati disertori dell'esercito regolare e le brigate che lo compongono sono composte da siriani (nella quasi totalità di religione sunnita) armati e addestrati alla guerriglia. L'interlocutore politico dell'ESL è la Coalizione Nazionale Siriana, che ha sede a Doha ed è stata riconosciuta da molte nazioni come "legittima rappresentante del popolo siriano".

Fin dal 2012 in Siria compaiono i primi gruppi armati composti da fondamentalisti islamici che hanno come obiettivo l'instaurazione di un emirato in Siria, governato secondo i dettami della sharia. Il primo gruppo di rilievo è il Fronte al-Nusra, che è l'emanazione siriana della rete terroristica di al-Qaeda e introduce la pratica degli attacchi suicidi nelle città siriane. Da una costola del Fronte al-Nusra fuso con lo Stato Islamico dell'Iraq nasce lo Stato Islamico dell'Iraq e Levante (ISIS), che rappresenta la forma più estrema di jihadismo e di estremismo islamico. Le sue azioni, che sconfinano in Iraq, procurano una frattura nel fronte ribelle e alienano definitivamente il sostegno di molti siriani, soprattutto appartenenti alle minoranze religiose, alla causa ribelle. L'ISIS accoglie tra le sue fila un altissimo numero di combattenti non-siriani[578].

Con l'appoggio determinante dell'Arabia Saudita nasce il Fronte Islamico, che compete con l'Esercito siriano libero nel numero di miliziani e permette il coordinamento di 7 formazioni islamiste minori. Anche il Qatar finanzia e rifornisce una milizia armata: la Brigata Ahfad al-Rasul.

Nel teatro siriano sono presenti un altissimo numero di altre milizie e brigate ribelli, quasi sempre legate al fondamentalismo islamico e non controllate dalle formazioni maggiori. La nascita e la scomparsa di formazioni ribelli è frequente, come la militanza di combattenti in due o più formazioni contemporaneamente.
Forze curde
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Organizzazioni e gruppi armati nella guerra civile siriana § Forze curde.

Le principali milizie armate curde sono le Unità di Protezione Popolare (YPG), che combattono sia contro le forze governative che contro quelle ribelli, in particolare quelle dell'ISIS. La loro strategia è prettamente difensiva in quanto l'obiettivo del gruppo è la tutela della comunità curda nel nord della Siria. Il loro referente politico è il Comitato Supremo Curdo, che raggruppa tutti i partiti politici siriani curdi e gode dell'appoggio politico e militare del Kurdistan iracheno. L'obiettivo politico delle forze curde è il riconoscimento dell'autonomia del Kurdistan siriano.

Tra i gruppi che affiancano le milizie YPG ve ne sono alcuni che contengono combattenti arabi e alcuni i cui combattenti appartengono alla minoranza etnica assira.
I combattenti stranieri nelle forze ribelli
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Combattenti ribelli stranieri nella guerra civile siriana.

Elemento caratterizzante della guerra civile siriana è il forte afflusso di cittadini non siriani tra le file delle milizie ribelli. La maggior parte di questi miliziani ha ingrossato le file delle formazioni jihadiste, in prevalenza quelle del Fronte al-Nusra e dello Stato Islamico dell'Iraq e Levante. Un numero ridotto di volontari stranieri è intervenuto anche a sostegno delle milizie curde[579] e di quelle cristiane[580].
Un cecchino ribelle.

I miliziani stranieri provengono da almeno 74 nazioni diverse che includono sia paesi a maggioranza musulmana, che paesi occidentali, inclusa l'Italia[581][582]. Spesso i miliziani provenienti dall'Europa Occidentale sono immigrati di seconda generazione[583].

Il numero complessivo di miliziani stranieri si aggira tra gli 11.000 e i 15.000[584][585] raggiungendo una cifra mai registrata in nessun altro precedente conflitto in Medio Oriente e quindi superando la presenza di stranieri durante la guerra contro l'intervento sovietico in Afghanistan[586].

A differenza delle milizie straniere alleate dell'esercito regolare siriano, che sono inquadrate in strutture organizzate e omogenee, l'afflusso di stranieri nelle milizie ribelli è spesso disorganizzato e ispirato dalla volontà del singolo individuo. I governi degli Stati da cui provengono i miliziani stranieri esprimono il forte timore che al termine della guerra civile siriana, essi possano rientrare in patria e commettere atti terroristici[587]. Alcune nazioni, come la Gran Bretagna, stanno organizzando apposite contromisure, come il ritiro del passaporto ai combattenti inglesi in Siria[588].

La presenza di stranieri, quasi sempre legati al fondamentalismo islamico, procura un forte argomento di propaganda per il governo siriano, che ha la possibilità di accusare il "nemico esterno" e un problema per le frange più moderate dell'opposizione siriana, che vede alienarsi il sostegno di parte di popolazione a seguito delle azioni degli stranieri. Il fanatismo dei combattenti stranieri li ha infatti resi protagonisti di massacri sia verso le truppe governative che verso gli altri ribelli moderati e i civili[589]. Nel 2013 in Siria scoppia un'epidemia di poliomielite. L'Organizzazione mondiale della sanità accerta che il virus ha origine pakistana, probabilmente importato da un combattente straniero[590].
Impiego delle armi chimiche
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Attacco chimico di Ghuta.

La Siria fin dagli anni '70 aveva sviluppato segretamente un programma di armamento chimico principalmente come strumento di deterrenza nei confronti dell'armamento nucleare israeliano[591]. Sebbene la detenzione di tale armamento sia stata sempre negata dai governi siriani, alcune analisi condotte da servizi segreti occidentali valutano l'arsenale chimico siriano come "il più grande del mondo"[592] distribuito in una serie di magazzini contenenti circa 1.000 tonnellate di materiale tra cui iprite, gas VX e gas sarin[593].

L'Organizzazione delle Nazioni Unite ha ricevuto, durante la guerra civile siriana, 16 denunce di utilizzo di armi chimiche. Di questi episodi solo 7 sono stati effettivamente sottoposti ad indagine e in 4 casi è stata accertata la presenza di gas sarin. Essendo i magazzini di stoccaggio posizionati in aree sia sotto controllo governativo che ribelle, non è stato possibile accertare chi abbia fatto uso degli agenti chimici[594]. Una relazione dei servizi segreti americani riporta come "sicura" l'entrata in possesso da parte dei ribelli di armi chimiche[595].

Il primo attacco documentato viene condotto il 19 marzo 2013 a Khan al-Assal, sobborgo di Aleppo. A seguito del lancio di un razzo, vengono uccise 26 persone tra cui 16 soldati governativi. I morti e i feriti presentano segni di intossicazione da gas sarin. Governo e ribelli si accusano a vicenda dell'attacco[596]. Una delegazione russa di esperti in arme chimiche, invitata dal governo siriano, trova tracce del componente chimico ed attribuisce la responsabilità ai ribelli[597]. L'ONU riesce a organizzare un'indagine indipendente solo nell'agosto 2013 in cui concorda con gli esperti russi sull'uso del gas sarin ma non attribuisce responsabilità[598].

Il 29 aprile 2013 avviene un nuovo sospetto attacco a Saraqib, che causa 2 morti. Alcuni medici turchi riescono ad eseguire analisi del sangue sui cadaveri senza trovare traccia di agenti chimici[599]. In seguito nuove analisi condotte da medici francesi riportano invece la presenza di gas nervino[593].

Il 5 agosto 2013 i ribelli siriani denunciano un attacco chimico perpetrato dall'esercito siriano ai loro danni. La denuncia è accompagnata da un filmato la cui autenticità non è provata. Non esistono analisi indipendenti di questo episodio[600].

Il 21 agosto 2013 si verifica il più grave attacco chimico verificatosi durante la guerra. Quello che poi verrà chiamato "attacco chimico di Ghuta", colpisce con gas sarin i sobborghi di Damasco di Jobar, Zamalka, 'Ain Tirma, Hazzah e la regione della Ghuta Orientale provocando almeno 635 morti, principalmente civili. Un'indagine dell'ONU di 3 settimane conferma l'utilizzo del gas sarin diffuso attraverso missili superficie-superficie[601]. L'analisi dell'ONU tuttavia non chiarisce chi abbia perpetrato l'attacco[602].

L'attacco di Ghuta scatena una forte reazione internazionale in cui gli Stati Uniti accusano il governo siriano, mentre la Russia accusa i ribelli di aver usato le armi chimiche al puro scopo di incolpare il governo e causare un intervento militare occidentale[603].

Il 14 settembre 2013, viene evitato l'intervento internazionale nella guerra civile siriana grazie ad un accordo tra Stati Uniti, Russia e Siria per l'eliminazione delle armi chimiche siriane attraverso l'intermediazione dell'ONU[604].

L'11 aprile 2014 si verifica un nuovo episodio collegabile all'utilizzo di agenti chimici come strumento d'attacco. Nella cittadina di Kafr Zita, nel governatorato di Hama, viene riportata l'intossicazione di circa 200 persone e la morte di 2 a seguito dell'inalazione di gas al cloro. Secondo fonti vicine ai ribelli l'attacco sarebbe stato condotto dalle forze aeree siriane per interrompere l'avanzata dei miliziani verso la città strategica di Khan Shaykhun[605]. Il cloro tuttavia non è contemplato tra le sostanze proibite dalla Convenzione sulle armi chimiche[606].
Il coinvolgimento di altri Stati
Posizioni in merito alla guerra civile siriana: gli stati in verde appoggiano l'opposizione, mentre quelli in rosso il governo siriano.

Fra gli Stati che appoggiano economicamente e militarmente le forze ribelli che hanno come riferimento politico la Coalizione Nazionale Siriana vi sono Stati Uniti[607], Gran Bretagna[608], Francia[609] e i più importanti Stati sunniti del Medio Oriente, tra cui Qatar[610], Arabia Saudita[611] e Turchia[612] che estendono il loro appoggio anche alle fazioni più integraliste.

Il governo di Damasco riceve sostegno finanziario, politico e militare principalmente da parte di Russia[613] e Iran[614], mentre forniscono un sostegno minore anche Corea del Nord[615], Venezuela[616] e il vicino Iraq[617], che subisce lo sconfinamento di alcune milizie islamiste.

A giugno 2012 nasce l'organizzazione "Amici della Siria", un gruppo di oltre ottanta nazioni che si riuniscono periodicamente per discutere della crisi. Tuttavia, a causa dello sbilanciamento a favore del fronte ribelle e dell'emergere dei crimini commessi da alcune formazioni fondamentaliste, il gruppo si è ridotto a solo 10 membri. La Lega Araba ha sospeso la Siria dai suoi membri a causa della repressione attuata dal governo[618]. Le Nazioni Unite hanno nominato un inviato speciale per la crisi siriana il 24 febbraio 2012. Tale ruolo è stato ricoperto da Kofi Annan[619], sostituito il 17 agosto 2012 da Lakhdar Brahimi[620] e il 10 luglio 2014 da Staffan de Mistura[621]

L'evolversi della crisi siriana viene seguita da vicino anche da paesi dichiaratisi neutrali, come la Germania, che schiera al largo delle coste siriane la nave spia Oker, dotata di strumenti radar molto avanzati e in grado di intercettare qualsiasi comunicazione o movimento aereo fino a 600 km di distanza.[622]

Anche la posizione dell'Italia è ambivalente. Da una parte si è criticato il governo siriano sottoscrivendo al G20 di San Pietroburgo un documento che lo accusa dell'utilizzo di armi chimiche[623], dall'altro è stato negato qualsiasi utilizzo delle basi aeree italiane in caso di attacco alla Siria[624]. Il governo italiano ha spinto in sede ONU per un coinvolgimento maggiore dell'Iran nella soluzione politica della crisi[625].
Sconfinamenti nei paesi limitrofi

Durante la guerra civile siriana si sono verificati degli episodi che hanno causato uno sconfinamento del conflitto nei paesi limitrofi. In particolare la formazione ribelle di ispirazione islamista e originariamente legata ad Al-Qaida, Stato Islamico dell'Iraq e Levante nel giugno 2014 entra in forze in territorio iracheno e conquista larghe fette di territorio, inclusa la seconda città del Paese, Mosul. Tale evento implica un allargamento del conflitto su scala regionale.

Gli episodi relativi agli sconfinamenti negli altri paesi circostanti consistono in scontri armati, attentati, destabilizzazioni politiche o semplici sconfinamenti di uomini e mezzi oltre frontiera. Gli sconfinamenti hanno coinvolto sia truppe regolari dell'esercito siriano, sia miliziani ribelli.

Di seguito è presente una lista degli sconfinamenti:

Sconfinamento in Iraq
Sconfinamento in Libano
Sconfinamento in Turchia
Sconfinamento in Giordania

Schieramenti navali

Nel mar Mediterraneo sono presenti navi di vari paesi, il cui intervento nella crisi siriana è possibile. Alcune di queste appartengono a paesi rivieraschi o sono parte di formazioni navali stabili come la Sesta flotta statunitense o la Stanavformed della NATO. Altre sono presenze occasionali di paesi con interessi nell'area come le navi russe appartenenti alla flotta del Mar Nero ridislocate nell'occasione, in quanto nessuna nave da guerra russa è stabilmente di base nel Mediterraneo. Ad esse si aggiungono le navi della marina militare siriana, obsolete e dal limitatissimo potenziale offensivo, le cui navi più grosse sono 3 corvette Classe Petya da 1.100 t non dotate di missili antinave, e motovedette lanciamissili classe Osa da 200 t[626]. Le forze siriane sono di base nei porti di Baniyas, Latakia, Minat al Bayda e Tartus.
Mappa della base navale di Tartus, con i moli russi evidenziati dal numero 5

La politica russa è estremamente contraddittoria nelle sue dichiarazioni, tanto che nel giro di 24 ore, il 26 giugno, fonti diplomatiche parlavano di ritirare tutto il personale dalle basi siriane[627], ed il 27 il ministero della difesa smentiva[628]; inoltre i moli ad uso esclusivo della marina russa a Tartus, che non è classificata come base navale ma come struttura logistica (Пункт материально-технического обеспечения, ПМТО)[629], non consentono l'attracco di navi superiori a 100m di lunghezza, possibile però nel resto del porto; la forza navale russa schierata in area dovrebbe aggirarsi intorno alle 10 unità, con fulcro sull'incrociatore lanciamissili Moskva, ammiraglia della flotta del Mar Nero, e sul cacciatorpediniere Smetlivy[630]; in viaggio per la Siria sarebbe in viaggio la nave per operazioni anfibie Nikolai Filchenkov con un carico di missili S-300 per la Siria[630].

Molte informazioni sugli schieramenti navali nell'area sono illazioni non confermate e comunque poco attendibili vista la rapida evoluzione degli eventi; l'incrociatore Moskva doveva rimpiazzare, secondo fonti del 4 settembre, il cacciatorpediniere lanciamissili Admiral Panteleyev della Classe Udaloj specializzata nella lotta antisommergibile[631] come dichiarato all'agenzia Interfax. Sempre al 4 settembre, la squadra russa era composta dalle navi da sbarco Aleksandr Shabalin, Admiral Nevelskoy e Peresvet, scortate dalla fregata Neustrashimy, da un rifornitore e un rimorchiatore[631]. https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_civile_siriana   



da resistenza.org, aurora sito.wordpress,.

 

 Da RESISTENZE.ORG

www.resistenze.org - popoli resistenti - siria - 18-09-12 - n. 421

 

da www.ptb.be/weekblad/artikel/syrie-les-origines-du-conflit-du-progres-social-a-la-guerre-civile.html

 

Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

 

Siria, le origini del conflitto: Dal progresso sociale alla guerra civile

 

Il giornale britannico The Morning Star ha pubblicato un'analisi interessante di Kenny Coyle sulle origini della contestazione popolare in Siria, in cui spiega anche, come questa protesta ha cambiato carattere e obiettivo diventando un conflitto armato ed una guerra civile.

 

11/09/2012

 

Estratto

 

Negli anni '70, dopo l'avvento al potere di Hafez al-Assad (padre di Bachar al-Assad, l'attuale presidente, nota), il sistema politico ed economico siriano sembrava garantire la stabilità e l'indipendenza del paese. La posizione anti-israeliana della Siria ne faceva anche una potenza regionale ed araba di primo piano ed il suo settore pubblico aveva permesso al paese di migliorare le proprie condizioni di vita e portare a termine il suo ammodernamento. Una relazione del Congresso americano faceva notare che "negli anni '60 la riforma agraria, la nazionalizzazione delle industrie di base e la trasformazione socialista dell'economia, hanno avuto un impatto sul ritmo e l'ampiezza dello sviluppo economico". All'inizio degli anni 1970, Assad aveva rafforzato i legami con l'Unione Sovietica. E, nel 1972, integrava il Partito Comunista Siriano (PCS) nel suo Fronte nazionale progressista a fianco di gruppi arabi socialisti, nasseriani e nazionalisti. Si trattava tanto di rafforzare la base del regime, che di trasformare forze potenzialmente critiche in alleati subordinati. Il PCS, da parte sua, ha tentato di utilizzare la legalità per spingere verso trasformazioni sociali più profonde. Ma la sua accettazione dell'ordine legale significava anche che era costretto ad operare nei limiti definiti dal Baath.

 

L'inversione

 

Gli esperti sovietici avevano classificato la Siria come uno dei paesi "di orientamento socialista" ed avevano assimilato il partito Baath alla corrente internazionale "dei democratici rivoluzionari". Le evoluzioni ulteriori in Siria ed altrove — in Egitto, Algeria e Iraq — hanno dimostrato quanto era facile invertire tale processo e optare per un orientamento capitalista ed un regime antidemocratico. Nonostante le prestazioni eccezionali degli anni '70, segni avanguardisti della crisi facevano già capolino a partire dall'inizio degli anni '80. Jihad Yazigi, della rivista d'affari Syria Report, spiega in uno studio recente, che i progressi nel settore pubblico avevano permesso al governo siriano di acquisire una legittimità enorme presso il popolo, ma che "dopo tre decenni di disinvestimento dello Stato, di liberalizzazione del commercio, di disprezzo per l'agricoltura e le zone rurali e di priorità esclusiva verso il settore dei servizi" questa legittimità ha lasciato posto "alla disillusione". Yazigi mostra come gli accordi di libero scambio firmati da Assad hanno permesso ai prodotti stranieri di schiacciare i produttori locali. Gli agricoltori delle zone rurali erano particolarmente toccati dai tagli delle sovvenzioni pubbliche, che "hanno ridotto la parte dell'agricoltura nel PIL da 25 a 19% in meno in un decennio".

 

La nascita di una borghesia corrotta.

 

In più, parallelamente alla forza del settore pubblico, è comparsa una forma particolare di sviluppo capitalista che si nutre di appalti pubblici remunerativi, che devia i fondi con la corruzione ed il mercato nero. Imprenditori privati utilizzavano delle loro reti personali nell'amministrazione e nello Stato per accumulare delle fortune. L'economista marxista Qadri Jamil ritiene che la corruzione, nutrita dai contratti pubblici e dallo sfruttamento delle risorse dello Stato, rappresenti tra il 20 e il 40% del PIL siriano. I parenti e la famiglia di Bachar al-Assad ne sono stati certamente beneficiari. L'uomo più ricco del paese, Rami Makhlouf, è il cugino materno di Assad e possiede attivi che vanno dal settore immobiliare, al principale operatore di telefonia mobile del paese, a tutti settori fortemente soggetti ad autorizzazioni e licenze accordate dallo Stato. La disoccupazione crescente - in particolare fra i giovani -, il progredire della povertà e la visibile emersione di una classe d'affari legata al potere, sono state cause interne essenziali dei disordini in Siria e delle rivendicazioni che riguardano una più ampia libertà politica. Tuttavia, i tentativi per spingere il partito Baath ed il paese sulla via delle riforme politiche ed economiche sono stati vani ed il regime di Assad vi ha risposto soltanto fiaccamente e soltanto dopo le manifestazioni di massa scoppiate nel 2011.

 

Gli Stati Uniti afferrano l'occasione

 

D'altra parte, la politica estera della Siria non è sempre stata progressista. Hafez al-Assad è infatti intervenuto nel 1976 durante la guerra civile libanese, a fianco delle forze maronite di destra, contro i palestinesi e la sinistra libanese. La Siria ha continuato ad occupare una buona parte del Nord-Libano fino al 2005. E, durante la guerra del golfo del 1990-91, la Siria ha sostenuto gli Stati Uniti contro l'Iraq. Tuttavia, generalmente, il paese ha avuto un atteggiamento indipendente, soprattutto riguardo agli Stati Uniti, impedendo così l'egemonia di questi ultimi nella regione. Inoltre, da quando la lotta ha cambiato natura, passando dalle manifestazioni civili alla lotta armata, le proteste e le rivendicazioni legittime delle manifestazioni iniziali e le proposte di riforma di Assad sono state cancellate dall'ordine del giorno. Al posto di queste le vere linee di rottura sono tracciate attorno a questioni geostrategiche. Ormai, gli Stati Uniti colgono l'occasione di cambiare la distribuzione e rivendicare una Siria come loro Stato cliente. La strategia americana attuale schiva l'intervento diretto e opta piuttosto per il ricorso a forze che agiscono per procura. Il cronista del Washington Post David Ignatius scriveva, il 19 luglio scorso, che "la CIA lavora con l'opposizione siriana da settimane, con direttive non letali, permettendo agli Stati Uniti di valutare i gruppi che occorre aiutare nel comando e nel controllo delle operazioni. Decine di ufficiali di informazione israeliana agiscono lungo la frontiera siriana, pur con basso profilo". Che le direttive della CIA siano letali o non letali è un punto discutibile, in particolare rispetto ai resoconti credibili sull'impegno diretto dell'agenzia nell'armamento di milizie dell'esercito siriano libero.

 

 

Partner improbabili… apparentemente

 

Vicino agli abituali sospetti - gli Stati Uniti, la Francia e la Gran Bretagna- la coalizione internazionale anti Assad si appoggia apparentemente su partner improbabili. L'Arabia Saudita, che fa attualmente fronte a movimenti di protesta che toccano la sua popolazione sciita, amerebbe vedere un regime favorevole ai suoi interessi, installarsi a Damasco, privando così l'Iran di un alleato essenziale. Il governo islamista turco ha assiduamente corteggiato la direzione dei Fratelli Musulmani e resta la base logistica principale dell'ordine dell'esercito siriano libero. Inoltre, desidererebbe neutralizzare i movimenti nazionali kurdi della Siria, che sostengono la minoranza kurda che vive in Turchia. Israele continua ad occupare territori non soltanto palestinesi, ma anche siriani e libanesi. Israele si è preso le Alture del Golan dopo la guerra del 1967 e la regione possiede ormai alcune tecnologie sofisticate israeliane di spionaggio. Damasco si trova soltanto a 50 km più in là. In un'intervista pubblicata su Miami Herald il 17 luglio, un alto responsabile dei servizi di informazioni israeliani, che si trovava alla frontiera con la Siria, ammetteva che Israele metteva insieme dettagli essenziali sullo svolgimento del conflitto e lasciava intendere che i servizi di informazioni israeliani forniscono informazioni militari sensibili alle milizie ribelli, per permettere loro di coordinare gli attacchi.

 

Il governo svizzero abbandona la neutralità e finanzia la guerra civile in Siria!

 

Partito Comunista del Canton Ticino

 

20/09/2012

 

Il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) ha stanziato 50'000 euro (circa 60'000 franchi) per le spese logistiche delle riunioni a Berlino destinate a preparare l'opposizione siriana a un'eventuale partenza del presidente della Repubblica Araba di Siria Bashar al-Assad. In pratica Berna sta aiutando esplicitamente dei gruppi integralisti islamici a prendere il potere per via armata in un paese che non ha fatto niente di male al popolo svizzero.

 

Si tratta, da parte del governo svizzero, di una vergognosa ingerenza negli affari di un paese sovrano, che sta vivendo una guerra civile in gran parte organizzata dagli Stati Uniti e da alcuni paesi dell'Unione Europea (la Francia in primis) per imporre ai siriani un governo più ligio agli interessi economici delle multinazionali occidentali. Ricordiamo che l'opposizione siriana (il cosiddetto CNT) ha promesso al governo francese l'usufrutto del 35% delle risorse petrolifere siriane, qualora l'Eliseo decidesse di invadere militarmente il paese.

 

La Svizzera ha così un'altra volta abbandonato la sua sedicente "neutralità" per schierarsi al fianco delle potenze neo-colonialiste che stanno preparandosi a una nuova guerra di saccheggio come è stato il caso in Irak e in Libia, che non sola getta il Medio Oriente nel caos, ma che sfida in maniera irresponsabile la Cina e la Russia, mettendo in grave pericolo la pace mondiale. Esprimendo solidarietà al popolo siriano, ai partiti comunisti e ai sindacati siriani impegnati a preservare l'indipendenza del paese, la laicità e i diritti sociali, come anti-imperialisti ribadiamo che la Svizzera, in quanto paese neutrale, debba solo agire per favorire il dialogo fra le parti in scontro, non certo per aiutarne una soltanto, tanto più che l'opposizione siriano è tutt'altro che democratica.

 

Partito Comunista del Canton Ticino

www.partitocomunista.ch

http://www.resistenze.org/sito/te/po/sv/posvci24-011592.htm

 

 

 

Siria: lo spettro di una guerra civile indotta

 

La scorsa notte attaccata la sede del partito Baath a Damasco. Le parole del Segretario di stato Clinton sul pericolo di «una guerra civile», più che esprimere una preoccupazione appaiono una minaccia

 

Michele Giorgio

 

20/11/2011

 

Roma, 20 novembre 2011, Nena News - Non era chiara ieri la posizione di Damasco alla vigilia della scadenza dell’ultimatum lanciato dalla Lega araba al regime di Bashar al-Assad chiamato ad accettare il «piano arabo» e in particolare ad accogliere osservatori per non vuole affrontare pesanti sanzioni economiche. Venerdì Damasco aveva chiesto la modifica di 18 clausole dell’accordo per l’arrivo degli osservatori, ma l’organizzazione panaraba ha opposto - stando alla stampa locale - un secco rifiuto. Come si concluderà il braccio di ferro ieri non era chiaro, in ogni caso il futuro della Siria sarà nero. Le parole del Segretario di stato Usa Hillary Clinton sul pericolo di «una guerra civile» più che esprimere una preoccupazione rappresentano una minaccia. I recenti blitz dei disertori del cosiddetto «Esercito libero siriano» confermano che l’opposizione è sempre più armata e aiutata dall’esterno. Lo scenario libico perciò incombe sulla Siria. Stavolta però con la Russia (alleata di Damasco) nettamente contraria a un intervento militare della Nato, è la Lega araba che sta facendo il grosso del lavoro per tenere sotto pressione il regime siriano, preparare l’opposizione politica a diventare la futura classe dirigente, modello Cnt libico.

 

Il ruolo svolto nel 2010 dalla Lega Araba è stato straordinario per una organizzazione che negli ultimi venti anni non ha mai avuto una reale influenza, poteri concreti e, più di tutto, consenso popolare. Un risveglio che non può non sollevare interrogativi sulle finalità di tanto improvviso attivismo. Senza dubbio la situazione in Siria è gravissima e le responsabilità del regime sono enormi. Assad sostiene di avere il consenso della maggioranza dei siriani ma deve provarlo. E per farlo non ha scelta: deve indire elezioni libere e lasciare al suo popolo il diritto di esprimersi senza restrizioni e intimidazioni. In ogni caso nessun leader politico può varare misure repressive così pesanti, costate la vita a tanti cittadini, pur di rimanere al potere.

 

Allo stesso tempo dovrebbe ormai essere chiaro che quella in corso in Siria non è una rivolta simile a quelle di Egitto e Tunisia. Lo è stata all’inizio, con le proteste spontanee esplose a metà marzo e organizzate dai comitati popolari. Non lo è certo ora con le manifestazioni che si concentrano nelle città roccaforti del sunnismo militante (Hama, Homs), nemico del regime del partito Baath dominato dagli «apostati» alawiti, la setta sciita alla quale appartiene lo stesso Assad. Non ora con i disertori e civili armati che lanciano attacchi contro i servizi di sicurezza e l’Esercito. E forse non erano frutto della propaganda del regime le notizie di agguati ad unità della polizia e delle forze armate diffuse nei mesi scorsi dai media statali.

 

Alle redini della Lega araba (La) oggi c’è di fatto il Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg), guidato dall’Arabia saudita e composto dalle monarchie ed emirati del Golfo. La caduta del dittatore egiziano sotto l’urto della rivoluzione del 25 luglio e la dipendenza dell’Egitto dagli aiuti dei paesi arabi ricchi, ha catapultato alla testa della La il Consiglio che ha mosso subito i passi necessari per impedire che la «primavera araba» potesse mettere a rischio la stabilità delle petromonarchie. La casa reale saudita, che ha inviato truppe in Bahrain a reprimere le manifestazioni popolari, ha compreso che le proteste in Siria possono essere «guidate» non tanto per abbattare Assad - peraltro un nemico solo a parole perché dipendente dagli aiuti arabi e garante della stabilità regionale -, quanto per scardinare la trentennale alleanza tra Siria e Iran. Nella strategia saudita in Siria, la caduta di Assad non serve per dare la libertà ai siriani ma ad assicurare il raggiungimento di un obiettivo fondamentale: l’isolamento totale di un potente nemico, l’Iran sciita.

 

Tagliente come sempre è il giudizio del noto commentatore arabo Asad AbuKhalil, che pure è un feroce critico del regime siriano: «I media occidentali descrivono la decisione della Lega araba di sospendere la Siria come un passo importante a favore della democrazia ma evitano di spiegare perché non è stata presa una decisione simile nei confronti del dittatore yemenita (Ali Abdullah Saleh) che pure usa i carri armati e gli elicotteri contro la sua gente. Se un dittatore gode del sostegno del Ccg, i suoi crimini verranno tollerati, a maggior ragione se è alleato degli Stati uniti».

 

Sono considerazioni pregne di un vetero anti-americanismo quelle di Abu Khalil? Difficile sostenerlo quando gli danno ragione gli sviluppi sul terreno e le manovre in atto dietro le quinte. La Lega araba a trazione saudita prosegue il suo compito di surrogato del ruolo della Nato provando a mettere insieme le diverse anime dell’opposizione siriana per prepararla a prendere la guida della Siria quando Assad e il Baath verranno travolti. Riyadh con i suoi principali alleati - Giordania, Qatar e i sunniti libanesi (il governo di Beirut controllato dagli sciiti di Hezbollah invece è ancora dalla parte di Damasco) - lavorano alla costituzione di un fronte unito che, su modello del Cnt libico, dovrà diventare il «rappresentante legittimo del popolo siriano», come è stato stabilito nell’ultimo incontro al Cairo con alcuni oppositori di Assad. Nel frattempo si studiano tempi e modi del via libera che verrà dato alla Turchia (e forse anche alla Giordania) per la creazione in territorio siriano di «zone cuscinetto a protezione dei civili».

 

Ad intralciare, per il momento, i disegni della Lega Araba-Ccg sono le spaccature tra il Consiglio nazionale siriano (Cns) che si considera il solo rappresentante dell’opposizione siriana, e il Comitato di coordinamento nazionale (Ccn), con posizioni più moderate e favorevole al dialogo con Assad. Senza dimenticare le ambizioni della Commissione generale della rivoluzione siriana (Cgrs) e il ruolo svolto sin dalle prime proteste dai Comitati di coordinamento locali (Ccl). Secondo il giornale libanese Al Akhbar, le prossime mosse della Lega araba saranno il riconoscimento del fronte unito delle opposizioni quale unico rappresentante legittimo del popolo siriano; la creazione delle «zone cuscinetto»; l’avvio della transizione dei poteri. Non sono contrari all’unità delle opposizioni ma sollevano obiezioni su vari punti Haytham Manna, leader del Ccn, e due intelletuali della «Dichiarazione di Damasco» (2005), Michel Kilo e Samir Aita, che temono che la Siria faccia la fine della Libia. Per i vertici della La inoltre non è facile capire il peso reale di Burhan Ghalioun, il leader del Cns. Questo storico oppositore (dall’estero) di Assad raccoglie davvero consenso? Oppure è un altro Ahmad Chalabi, l’ambizioso iracheno sponsorizzato da Washington che, fatto rientrare a Baghdad dopo la caduta di Saddam Hussein, dimostrò di rappresentare solo se stesso? Nena News

 

http://www.resistenze.org/sito/te/po/si/posibm22-010027.htm

 

 

 

 

 

 

Siria: lo spettro di una guerra civile indotta

 

La scorsa notte attaccata la sede del partito Baath a Damasco. Le parole del Segretario di stato Clinton sul pericolo di «una guerra civile», più che esprimere una preoccupazione appaiono una minaccia

 

Michele Giorgio

 

20/11/2011

 

Roma, 20 novembre 2011, Nena News - Non era chiara ieri la posizione di Damasco alla vigilia della scadenza dell’ultimatum lanciato dalla Lega araba al regime di Bashar al-Assad chiamato ad accettare il «piano arabo» e in particolare ad accogliere osservatori per non vuole affrontare pesanti sanzioni economiche. Venerdì Damasco aveva chiesto la modifica di 18 clausole dell’accordo per l’arrivo degli osservatori, ma l’organizzazione panaraba ha opposto - stando alla stampa locale - un secco rifiuto. Come si concluderà il braccio di ferro ieri non era chiaro, in ogni caso il futuro della Siria sarà nero. Le parole del Segretario di stato Usa Hillary Clinton sul pericolo di «una guerra civile» più che esprimere una preoccupazione rappresentano una minaccia. I recenti blitz dei disertori del cosiddetto «Esercito libero siriano» confermano che l’opposizione è sempre più armata e aiutata dall’esterno. Lo scenario libico perciò incombe sulla Siria. Stavolta però con la Russia (alleata di Damasco) nettamente contraria a un intervento militare della Nato, è la Lega araba che sta facendo il grosso del lavoro per tenere sotto pressione il regime siriano, preparare l’opposizione politica a diventare la futura classe dirigente, modello Cnt libico.

 

Il ruolo svolto nel 2010 dalla Lega Araba è stato straordinario per una organizzazione che negli ultimi venti anni non ha mai avuto una reale influenza, poteri concreti e, più di tutto, consenso popolare. Un risveglio che non può non sollevare interrogativi sulle finalità di tanto improvviso attivismo. Senza dubbio la situazione in Siria è gravissima e le responsabilità del regime sono enormi. Assad sostiene di avere il consenso della maggioranza dei siriani ma deve provarlo. E per farlo non ha scelta: deve indire elezioni libere e lasciare al suo popolo il diritto di esprimersi senza restrizioni e intimidazioni. In ogni caso nessun leader politico può varare misure repressive così pesanti, costate la vita a tanti cittadini, pur di rimanere al potere.

 

Allo stesso tempo dovrebbe ormai essere chiaro che quella in corso in Siria non è una rivolta simile a quelle di Egitto e Tunisia. Lo è stata all’inizio, con le proteste spontanee esplose a metà marzo e organizzate dai comitati popolari. Non lo è certo ora con le manifestazioni che si concentrano nelle città roccaforti del sunnismo militante (Hama, Homs), nemico del regime del partito Baath dominato dagli «apostati» alawiti, la setta sciita alla quale appartiene lo stesso Assad. Non ora con i disertori e civili armati che lanciano attacchi contro i servizi di sicurezza e l’Esercito. E forse non erano frutto della propaganda del regime le notizie di agguati ad unità della polizia e delle forze armate diffuse nei mesi scorsi dai media statali.

 

Alle redini della Lega araba (La) oggi c’è di fatto il Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg), guidato dall’Arabia saudita e composto dalle monarchie ed emirati del Golfo. La caduta del dittatore egiziano sotto l’urto della rivoluzione del 25 luglio e la dipendenza dell’Egitto dagli aiuti dei paesi arabi ricchi, ha catapultato alla testa della La il Consiglio che ha mosso subito i passi necessari per impedire che la «primavera araba» potesse mettere a rischio la stabilità delle petromonarchie. La casa reale saudita, che ha inviato truppe in Bahrain a reprimere le manifestazioni popolari, ha compreso che le proteste in Siria possono essere «guidate» non tanto per abbattare Assad - peraltro un nemico solo a parole perché dipendente dagli aiuti arabi e garante della stabilità regionale -, quanto per scardinare la trentennale alleanza tra Siria e Iran. Nella strategia saudita in Siria, la caduta di Assad non serve per dare la libertà ai siriani ma ad assicurare il raggiungimento di un obiettivo fondamentale: l’isolamento totale di un potente nemico, l’Iran sciita.

 

Tagliente come sempre è il giudizio del noto commentatore arabo Asad AbuKhalil, che pure è un feroce critico del regime siriano: «I media occidentali descrivono la decisione della Lega araba di sospendere la Siria come un passo importante a favore della democrazia ma evitano di spiegare perché non è stata presa una decisione simile nei confronti del dittatore yemenita (Ali Abdullah Saleh) che pure usa i carri armati e gli elicotteri contro la sua gente. Se un dittatore gode del sostegno del Ccg, i suoi crimini verranno tollerati, a maggior ragione se è alleato degli Stati uniti».

 

Sono considerazioni pregne di un vetero anti-americanismo quelle di Abu Khalil? Difficile sostenerlo quando gli danno ragione gli sviluppi sul terreno e le manovre in atto dietro le quinte. La Lega araba a trazione saudita prosegue il suo compito di surrogato del ruolo della Nato provando a mettere insieme le diverse anime dell’opposizione siriana per prepararla a prendere la guida della Siria quando Assad e il Baath verranno travolti. Riyadh con i suoi principali alleati - Giordania, Qatar e i sunniti libanesi (il governo di Beirut controllato dagli sciiti di Hezbollah invece è ancora dalla parte di Damasco) - lavorano alla costituzione di un fronte unito che, su modello del Cnt libico, dovrà diventare il «rappresentante legittimo del popolo siriano», come è stato stabilito nell’ultimo incontro al Cairo con alcuni oppositori di Assad. Nel frattempo si studiano tempi e modi del via libera che verrà dato alla Turchia (e forse anche alla Giordania) per la creazione in territorio siriano di «zone cuscinetto a protezione dei civili».

 

Ad intralciare, per il momento, i disegni della Lega Araba-Ccg sono le spaccature tra il Consiglio nazionale siriano (Cns) che si considera il solo rappresentante dell’opposizione siriana, e il Comitato di coordinamento nazionale (Ccn), con posizioni più moderate e favorevole al dialogo con Assad. Senza dimenticare le ambizioni della Commissione generale della rivoluzione siriana (Cgrs) e il ruolo svolto sin dalle prime proteste dai Comitati di coordinamento locali (Ccl). Secondo il giornale libanese Al Akhbar, le prossime mosse della Lega araba saranno il riconoscimento del fronte unito delle opposizioni quale unico rappresentante legittimo del popolo siriano; la creazione delle «zone cuscinetto»; l’avvio della transizione dei poteri. Non sono contrari all’unità delle opposizioni ma sollevano obiezioni su vari punti Haytham Manna, leader del Ccn, e due intelletuali della «Dichiarazione di Damasco» (2005), Michel Kilo e Samir Aita, che temono che la Siria faccia la fine della Libia. Per i vertici della La inoltre non è facile capire il peso reale di Burhan Ghalioun, il leader del Cns. Questo storico oppositore (dall’estero) di Assad raccoglie davvero consenso? Oppure è un altro Ahmad Chalabi, l’ambizioso iracheno sponsorizzato da Washington che, fatto rientrare a Baghdad dopo la caduta di Saddam Hussein, dimostrò di rappresentare solo se stesso? Nena News

 

http://www.resistenze.org/sito/te/po/si/posibm22-010027.htm

 

 

 

 

Il governo svizzero abbandona la neutralità e finanzia la guerra civile in Siria!

 

Partito Comunista del Canton Ticino

 

20/09/2012

 

Il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) ha stanziato 50'000 euro (circa 60'000 franchi) per le spese logistiche delle riunioni a Berlino destinate a preparare l'opposizione siriana a un'eventuale partenza del presidente della Repubblica Araba di Siria Bashar al-Assad. In pratica Berna sta aiutando esplicitamente dei gruppi integralisti islamici a prendere il potere per via armata in un paese che non ha fatto niente di male al popolo svizzero.

 

Si tratta, da parte del governo svizzero, di una vergognosa ingerenza negli affari di un paese sovrano, che sta vivendo una guerra civile in gran parte organizzata dagli Stati Uniti e da alcuni paesi dell'Unione Europea (la Francia in primis) per imporre ai siriani un governo più ligio agli interessi economici delle multinazionali occidentali. Ricordiamo che l'opposizione siriana (il cosiddetto CNT) ha promesso al governo francese l'usufrutto del 35% delle risorse petrolifere siriane, qualora l'Eliseo decidesse di invadere militarmente il paese.

 

La Svizzera ha così un'altra volta abbandonato la sua sedicente "neutralità" per schierarsi al fianco delle potenze neo-colonialiste che stanno preparandosi a una nuova guerra di saccheggio come è stato il caso in Irak e in Libia, che non sola getta il Medio Oriente nel caos, ma che sfida in maniera irresponsabile la Cina e la Russia, mettendo in grave pericolo la pace mondiale. Esprimendo solidarietà al popolo siriano, ai partiti comunisti e ai sindacati siriani impegnati a preservare l'indipendenza del paese, la laicità e i diritti sociali, come anti-imperialisti ribadiamo che la Svizzera, in quanto paese neutrale, debba solo agire per favorire il dialogo fra le parti in scontro, non certo per aiutarne una soltanto, tanto più che l'opposizione siriano è tutt'altro che democratica.

http://www.resistenze.org/sito/te/po/sv/posvci24-011592.htm
 

 

                                            

 

Siria, le origini del conflitto: Dal progresso sociale alla guerra civile

 

Il giornale britannico The Morning Star ha pubblicato un'analisi interessante di Kenny Coyle sulle origini della contestazione popolare in Siria, in cui spiega anche, come questa protesta ha cambiato carattere e obiettivo diventando un conflitto armato ed una guerra civile.

 

11/09/2012

 

Estratto

 

Negli anni '70, dopo l'avvento al potere di Hafez al-Assad (padre di Bachar al-Assad, l'attuale presidente, nota), il sistema politico ed economico siriano sembrava garantire la stabilità e l'indipendenza del paese. La posizione anti-israeliana della Siria ne faceva anche una potenza regionale ed araba di primo piano ed il suo settore pubblico aveva permesso al paese di migliorare le proprie condizioni di vita e portare a termine il suo ammodernamento. Una relazione del Congresso americano faceva notare che "negli anni '60 la riforma agraria, la nazionalizzazione delle industrie di base e la trasformazione socialista dell'economia, hanno avuto un impatto sul ritmo e l'ampiezza dello sviluppo economico". All'inizio degli anni 1970, Assad aveva rafforzato i legami con l'Unione Sovietica. E, nel 1972, integrava il Partito Comunista Siriano (PCS) nel suo Fronte nazionale progressista a fianco di gruppi arabi socialisti, nasseriani e nazionalisti. Si trattava tanto di rafforzare la base del regime, che di trasformare forze potenzialmente critiche in alleati subordinati. Il PCS, da parte sua, ha tentato di utilizzare la legalità per spingere verso trasformazioni sociali più profonde. Ma la sua accettazione dell'ordine legale significava anche che era costretto ad operare nei limiti definiti dal Baath.

 

L'inversione

 

Gli esperti sovietici avevano classificato la Siria come uno dei paesi "di orientamento socialista" ed avevano assimilato il partito Baath alla corrente internazionale "dei democratici rivoluzionari". Le evoluzioni ulteriori in Siria ed altrove — in Egitto, Algeria e Iraq — hanno dimostrato quanto era facile invertire tale processo e optare per un orientamento capitalista ed un regime antidemocratico. Nonostante le prestazioni eccezionali degli anni '70, segni avanguardisti della crisi facevano già capolino a partire dall'inizio degli anni '80. Jihad Yazigi, della rivista d'affari Syria Report, spiega in uno studio recente, che i progressi nel settore pubblico avevano permesso al governo siriano di acquisire una legittimità enorme presso il popolo, ma che "dopo tre decenni di disinvestimento dello Stato, di liberalizzazione del commercio, di disprezzo per l'agricoltura e le zone rurali e di priorità esclusiva verso il settore dei servizi" questa legittimità ha lasciato posto "alla disillusione". Yazigi mostra come gli accordi di libero scambio firmati da Assad hanno permesso ai prodotti stranieri di schiacciare i produttori locali. Gli agricoltori delle zone rurali erano particolarmente toccati dai tagli delle sovvenzioni pubbliche, che "hanno ridotto la parte dell'agricoltura nel PIL da 25 a 19% in meno in un decennio".

 

La nascita di una borghesia corrotta.

 

In più, parallelamente alla forza del settore pubblico, è comparsa una forma particolare di sviluppo capitalista che si nutre di appalti pubblici remunerativi, che devia i fondi con la corruzione ed il mercato nero. Imprenditori privati utilizzavano delle loro reti personali nell'amministrazione e nello Stato per accumulare delle fortune. L'economista marxista Qadri Jamil ritiene che la corruzione, nutrita dai contratti pubblici e dallo sfruttamento delle risorse dello Stato, rappresenti tra il 20 e il 40% del PIL siriano. I parenti e la famiglia di Bachar al-Assad ne sono stati certamente beneficiari. L'uomo più ricco del paese, Rami Makhlouf, è il cugino materno di Assad e possiede attivi che vanno dal settore immobiliare, al principale operatore di telefonia mobile del paese, a tutti settori fortemente soggetti ad autorizzazioni e licenze accordate dallo Stato. La disoccupazione crescente - in particolare fra i giovani -, il progredire della povertà e la visibile emersione di una classe d'affari legata al potere, sono state cause interne essenziali dei disordini in Siria e delle rivendicazioni che riguardano una più ampia libertà politica. Tuttavia, i tentativi per spingere il partito Baath ed il paese sulla via delle riforme politiche ed economiche sono stati vani ed il regime di Assad vi ha risposto soltanto fiaccamente e soltanto dopo le manifestazioni di massa scoppiate nel 2011.

 

Gli Stati Uniti afferrano l'occasione

 

D'altra parte, la politica estera della Siria non è sempre stata progressista. Hafez al-Assad è infatti intervenuto nel 1976 durante la guerra civile libanese, a fianco delle forze maronite di destra, contro i palestinesi e la sinistra libanese. La Siria ha continuato ad occupare una buona parte del Nord-Libano fino al 2005. E, durante la guerra del golfo del 1990-91, la Siria ha sostenuto gli Stati Uniti contro l'Iraq. Tuttavia, generalmente, il paese ha avuto un atteggiamento indipendente, soprattutto riguardo agli Stati Uniti, impedendo così l'egemonia di questi ultimi nella regione. Inoltre, da quando la lotta ha cambiato natura, passando dalle manifestazioni civili alla lotta armata, le proteste e le rivendicazioni legittime delle manifestazioni iniziali e le proposte di riforma di Assad sono state cancellate dall'ordine del giorno. Al posto di queste le vere linee di rottura sono tracciate attorno a questioni geostrategiche. Ormai, gli Stati Uniti colgono l'occasione di cambiare la distribuzione e rivendicare una Siria come loro Stato cliente. La strategia americana attuale schiva l'intervento diretto e opta piuttosto per il ricorso a forze che agiscono per procura. Il cronista del Washington Post David Ignatius scriveva, il 19 luglio scorso, che "la CIA lavora con l'opposizione siriana da settimane, con direttive non letali, permettendo agli Stati Uniti di valutare i gruppi che occorre aiutare nel comando e nel controllo delle operazioni. Decine di ufficiali di informazione israeliana agiscono lungo la frontiera siriana, pur con basso profilo". Che le direttive della CIA siano letali o non letali è un punto discutibile, in particolare rispetto ai resoconti credibili sull'impegno diretto dell'agenzia nell'armamento di milizie dell'esercito siriano libero.

 

 

Partner improbabili… apparentemente

 

Vicino agli abituali sospetti - gli Stati Uniti, la Francia e la Gran Bretagna- la coalizione internazionale anti Assad si appoggia apparentemente su partner improbabili. L'Arabia Saudita, che fa attualmente fronte a movimenti di protesta che toccano la sua popolazione sciita, amerebbe vedere un regime favorevole ai suoi interessi, installarsi a Damasco, privando così l'Iran di un alleato essenziale. Il governo islamista turco ha assiduamente corteggiato la direzione dei Fratelli Musulmani e resta la base logistica principale dell'ordine dell'esercito siriano libero. Inoltre, desidererebbe neutralizzare i movimenti nazionali kurdi della Siria, che sostengono la minoranza kurda che vive in Turchia. Israele continua ad occupare territori non soltanto palestinesi, ma anche siriani e libanesi. Israele si è preso le Alture del Golan dopo la guerra del 1967 e la regione possiede ormai alcune tecnologie sofisticate israeliane di spionaggio. Damasco si trova soltanto a 50 km più in là. In un'intervista pubblicata su Miami Herald il 17 luglio, un alto responsabile dei servizi di informazioni israeliani, che si trovava alla frontiera con la Siria, ammetteva che Israele metteva insieme dettagli essenziali sullo svolgimento del conflitto e lasciava intendere che i servizi di informazioni israeliani forniscono informazioni militari sensibili alle milizie ribelli, per permettere loro di coordinare gli attacchi.

 

http://www.resistenze.org/sito/te/po/si/posici18-011558.htm
 

 

 

 

Giù le mani dalla Siria!

 

di Redazione Contropiano

 

03/07/2012

 

Il movimento contro la guerra e la situazione in Siria. Un documento collettivo mette i piedi nel piatto sulla funzione di una coerente opposizione alla guerra, anche quella "umanitaria".

La grave situazione in Siria, pone i movimenti che in questi anni si sono battuti contro la guerra di fronte a nuovi e vecchi problemi che producono lacerazioni, immobilismo e un vuoto di iniziativa.

Siamo attivi in reti, realtà politiche e movimenti che in questi anni - ed anche in questi mesi - non hanno esitato a schierarsi contro l'escalation della guerra umanitaria con cui l'alleanza tra potenze della Nato e petromonarchie del Golfo, sta cercando di ridisegnare la mappa del Medio Oriente.

 

a) Interessi convergenti e prospettive divergenti al momento convivono dentro questa alleanza tra le maggiori potenze della Nato e le potenze che governano "l'islam politico". E' difficile non vedere il nesso tra l'invasione/disgregazione della Libia, l'escalation in Siria, la repressione saudita in Barhein e Yemen e i tentativi di normalizzazione delle rivolte arabe lì dove sono state più impetuose (Tunisia, Egitto). La dottrina del Dipartimento di Stato Usa "Evolution but not Revolution" aveva decretato quello che abbiamo sotto gli occhi come l'unico sbocco consentito della Primavera Araba. Da queste gravi responsabilità è impossibile tenere fuori le potenze dell'Unione Europea, in particolare Francia, Gran Bretagna e Italia, che hanno prima condiviso l'aggressione alla Libia, hanno mantenuto intatto il loro sostegno politico e militare ad Israele ed oggi condividono la stessa politica di destabilizzazione per la Siria.

 

b) I movimenti che si oppongono alla guerra, in questi ultimi anni hanno dovuto fare i conti con diverse difficoltà. La prima è stata la rimozione della guerra dall'agenda politica dei movimenti e delle forze della sinistra o, peggio ancora, una complice inerzia verso le aggressioni militari come quella in Libia. Dalla "operazione di polizia internazionale in Iraq" del 1991 alla "guerra umanitaria in Jugoslavia" nel 1999 per finire con le "guerre per la democrazia" del XXI Secolo, le guerre asimmetriche scatenate dai primi anni Novanta in poi dalle coalizioni di grandi potenze contro paesi più deboli (Iraq, Somalia, Afghanistan, Jugoslavia, Costa d'Avorio, Libia), hanno sempre cercato una legittimazione morale che poco a poco sembra essere penetrata anche nella elaborazione e nel posizionamento di settori dei movimenti pacifisti e contro la guerra. I sostenitori della "guerra umanitaria" statunitensi ma non solo, stanno cercando di definire una cornice legale agli interventi militari attraverso la dottrina del "Rights to Protect" (R2P). Gli obiettivi di queste guerre sono stati sempre presentati come la inevitabile rimozione di capi di stato o di governi relativamente isolati o addirittura resi invisi alla cosiddetta "comunità internazionale" sia per loro responsabilità che per le martellanti campagne di demonizzazione mediatiche e diplomatiche.

 

c) Saddam Hussein, Aydid, Milosevic, il mullah Omar, Gbagbo, Gheddafi e adesso Assad, sono stati al centro di una vasta operazione di cambiamento di regime che è passata attraverso gli embarghi, i bombardamenti e le invasioni militari da parte delle maggiori potenze della Nato e i loro alleati regionali, operazioni su vasta scala che hanno disgregato paesi immensamente più deboli perseguendo la "stabilità" degli interessi occidentali attraverso la destabilizzazione violenta di governi o regimi dissonanti. A prescindere dalle maggiori o minori responsabilità di questi leader verso il benessere e la democrazia dei loro popoli, le maggiori potenze hanno agito sistematicamente per la loro rimozione violenta attraverso aggressioni militari e imposizione al potere di nuovi gruppi dirigenti subordinati agli interessi occidentali.

 

d) Seppure negli anni precedenti la consapevolezza che la divisione tra "buoni e cattivi" non sia mai stata una categoria limpida e definita - anzi è servita a occultare le vere motivazioni delle guerre - nel nostro paese ci sono stati movimenti di protesta che si sono opposti alla guerra prescindendo dai soggetti in campo e che si sono posizionati sulla base di una priorità: quel no alla guerra senza se e senza ma che in alcuni momenti ha saputo essere elemento di identità e mobilitazione straordinario. Sembra però che la coerenza con questa impostazione si stia sempre più affievolendo e in alcuni casi ribaltando. La macchina del consenso alle guerre ha visto infatti crescere gli elementi di trasversalità. Prima erano solo personalità della destra a sostenere gli interventi militari, adesso vi si arruolano anche uomini e donne della sinistra. Questa difficoltà era già emersa nel caso dell'aggressione militare alla Libia ed oggi si rivela ancora più lacerante rispetto alla possibile escalation in Siria.

 

e) Le iniziative contro la guerra che ci sono state in questi mesi, seppur minoritarie, sono riuscite a ostacolare l'arruolamento attivo di alcuni settori pacifisti nella logica della guerra umanitaria, hanno creato una polarizzazione che in qualche modo ha esercitato un punto di tenuta di fronte alla capito lazione politica, culturale del pacifismo e dell'internazionalismo. Ma la realtà sta incalzando tutte e tutti, ragione per cui è necessario affrontare una discussione nel merito dei problemi che la crisi in Siria ci porrà davanti nei prossimi mesi.

 

Nel merito della situazione in Siria

 

e.1. In tutte le guerre asimmetriche - che di fatto sono aggressioni unilaterali - le potenze occidentali hanno sempre lavorato per acutizzare le contraddizioni e i contrasti esistenti nei paesi aggrediti. La questione semmai è che l'ingerenza esterna da parte delle potenze della Nato e dei loro alleati ha agito sistematicamente per una deflagrazione violenta dei contrasti interni che consentisse poi l'intervento militare e servisse a legittimare la "guerra umanitaria". La guerra mediatica ha bisogno sempre di sangue, orrori, cadaveri, stragi da gettare nella mischia e negli occhi dell'opinione pubblica. Di solito le notizie su questo vengono martellate nei primi venti giorni. Smentirle o dimostrarne la falsità o la maggiore o minore manipolazione, diventa poi difficile se non impossibile. Ciò significa che tutto viene inventato o manipolato? No. Ma un conflitto interno senza ingerenze esterne può trovare una soluzione negoziata, se le ingerenze esterne lavorano sistematicamente per impedirla si arriva sempre ai massacri e poi all'intervento militare "stabilizzatore". Chiediamoci perchè tutti i piani e gli accordi di pace in questi venti anni sono stati fallire (ultimo in ordine di tempo quello di Kofi Annan sulla Siria). Il loro fallimento è funzionale al fatto che l'unico negoziato accettabile per le potenze occidentali è solo quello che prevede la resa o l'uscita di scena - anche violenta - della componente dissonante. Questo è quanto accaduto ed è facilmente verificabile da tutti.

 

e.2. Le soluzioni avanzate dalle sedi della concertazione internazionale (Consiglio di Sicurezza dell'Onu, organizzazioni regionali come Unione Africana, Lega Araba e Alba), non state capaci di opporsi alle politiche di "cambiamento di regimi" decise dagli Usa o dalla Ue. I leader dei regimi o dei governi rimossi, hanno cercato in più occasioni di arrivare a compromessi con gli Usa o la Nato. Per un verso è stata la loro perdizione, per un altro era una strada sbarrata già dall'inizio. Più cercavano un compromesso e maggiori diventavano le sanzioni adottate negli embarghi. Più si concretizzavano le condizioni per una ricomposizione dei contrasti interni e più esplodevano autobombe o omicidi mirati che riaprivano il conflitto. Se l'unica soluzione proposta diventa il suicidio politico o materiale di un leader o lo sgretolamento degli Stati, qualsiasi negoziato diventa irrilevante.

 

e.3. Dalla storia della Siria non sono rimovibili le modalità autoritarie con cui in varie tappe è stata affrontata la domanda di cambiamento di una parte della popolazione siriana. Non è possibile ritenere che la leadership siriana sia l'unica a aver gestito in modo autoritario le contraddizioni e le aspettative nel mondo arabo. Questa caratteristica è comune a tutti i paesi del Medio Oriente ed è una conseguenza dell'imposizione dello Stato di Israele nella regione e un retaggio del colonialismo. Ciò non giustifica la leadership siriana ma ci indica anche chiaramente come la sua sostituzione non corrisponderebbe affatto ad un avanzamento democratico o rivoluzionario per il popolo siriano. E' sufficiente guardare quale tipo di leadership si è impossessata del potere una volta cacciati Mubarak in Egitto, Ben Alì in Tunisia, Gheddafi in Libia o chi sta imponendo il tallone di ferro su Barhein, Yemen, Oman. Sono paesi in cui c'è gente che ha lottato seriamente per maggiore democrazia e diritti sociali più avanzati, ma chi ne sta gestendo le aspettative sono le potenze della Nato, le petromonarchie del Golfo e le componenti più reazionarie dell'islam politico. Le componenti progressiste della Primavera Araba sono state - al momento - isolate e sconfitte da questa alleanza tra potenze occidentali e le varie correnti dell'islam politico.

 

e.4. Dentro la crisi in corso in Siria, la leadership di Bashar El Assad ha conosciuto due fasi: una prima in cui ha prevalso la consuetudine autoritaria, una seconda in cui è cresciuto il peso politico delle forze che spingono verso la democratizzazione. I risultati delle ultime elezioni legislative non sono irrilevanti: ha votato il 59% della popolazione nonostante la guerra civile in corso in diverse parti del paese (in Francia, in condizioni completamente diverse, alle ultime elezioni ha votato il 53%, in Grecia nelle elezioni più importanti degli ultimi decenni ha votato il 62%); per la prima volta si è rotto il monopolio politico del partito di governo, il Baath, e nuove forze sono entrate in Parlamento indicando questa rottura come obiettivo pubblico e dichiarato, si è creato cioè l'embrione di uno spazio politico reale per un processo di democratizzazione del paese; le forze che si oppongono alla leadership di Assad vedono prevalere le componenti armate e settarie, un dato che si evidenzia nei massacri e attentati che vengono acriticamente e sistematicamente addossati alle truppe siriane mentre più fonti rivelano che così non è. Le forze di opposizione con una visione progressista sono ridotte a ben poca cosa e non potranno che essere stritolate dall'escalation in corso; infine, ma non per importanza, l'ingerenza esterna è quella che sta facendo la differenza. Non è più un mistero per nessuno che le forze principali dell'opposizione ad Assad siano sostenute, armate e finanziate dall'alleanza tra le potenze della Nato (Turchia inclusa) e i petromonarchi di Arabia Saudita e Qatar. E' un'alleanza già sperimentata in passato sia in Afghanistan che nei Balcani e nel Caucaso, un'alleanza che si è rotta alla fine degli anni Novanta e poi ricomposta dopo il discorso di Obama al Cairo che annunciava e auspicava gli sconvolgimenti nel mondo arabo. Queste forze e l'alleanza internazionale che li sostiene puntano apertamente ad una guerra civile permanente e diffusa per destabilizzare la Siria. I corridoi umanitari a ridosso del confine con Turchia e Libano e la No fly zone, saranno il primo passo per dotare di retrovie sicure i miliziani dell'Esercito Libero Siriano, spezzare i collegamenti tra la Siria e i suoi alleati in Libano (Hezbollah soprattutto), destabilizzare nuovamente il Libano e rompere il Fronte della Resistenza anti-israeliana. Se il logoramento e la destabilizzazione tramite la guerra civile permanente non dovesse dare i risultati desiderati, è prevedibile un aumento delle pressioni sulla Russia per arrivare ad un intervento militare diretto delle potenze riunite nella coalizione ad hoc dei "Friends of Syria" guidata dagli Usa ma con molti volonterosi partecipanti come la Francia di Hollande o l'Italia di Monti e del ministro Terzi.

 

e.5. In questi anni, nelle mobilitazioni in Italia contro la guerra o per la Palestina, abbiamo registrato ripetuti tentativi di gruppi e personaggi della vecchia e nuova destra di aderire e partecipare alle nostre manifestazioni. Un tentativo agevolato dall'abbassamento di molte difese immunitarie nella sinistra e nei movimenti sul piano dell'antifascismo ma anche dalla voragine politica lasciata aperta dall'arruolamento di molta parte della sinistra dentro la logica eurocentrista, dalla subalternità all'atlantismo e dalla complicità - o al massimo dall'equidistanza - tra diritti dei palestinesi e la politica di Israele. Se la sinistra e una parte dei movimenti hanno liberato le piazze dalla mobilitazione contro la guerra, dal sostegno alla resistenza palestinese e araba ed hanno smarrito per strada la loro identità, è diventato molto più facile l'affermazione di alcuni gruppi marginali della destra e della loro chiave di lettura esclusivamente geopolitica ed eurasiatica della crisi, dei conflitti e delle relazioni sociali intesi come lotta tra potenze. I gruppi della destra veicolano un antiamericanismo erede della sconfitta subita dal nazifascismo nella seconda guerra mondiale e completamente avulso da ogni capacità di lettura dell'egemonia imperialista sia nel suo versante statunitense che in quello europeo. Una chiave di lettura sciovinista e reazionaria che nulla a che vedere con una identità coerentemente anticapitalista ed internazionalista. Non solo. La paura di gran parte della sinistra di declinare la solidarietà con i palestinesi come antisionista e anticolonialista, ha regalato a questa destra e alla sua declinazione razzista e antiebraica uno spazio di iniziativa, cultura e solidarietà che storicamente ha sempre appartenuto alle forze progressiste. Se si cede su un punto decisivo si rischia di capitolare poi su tutto lo scenario mediorientale. Se questo è già visibile anche negli altri ambiti dell'agenda politica e sociale nel nostro paese, è difficile immaginare che non avvenga anche sul piano della mobilitazione contro la guerra e sui problemi internazionali. Sulla Palestina e nella mobilitazione contro la guerra abbiamo sempre respinto ogni tentativo di connivenza con i gruppi della destra. Intendiamo continuare a farlo ma vogliamo anche segnalare che - come sul piano sociale o giovanile - è l'assenza di iniziative e la debole identità della sinistra a facilitare il compito ai fascisti, non viceversa. E' necessario dunque che alla coerenza con le posizioni e il ruolo svolto dalle nostre reti, associazioni, organizzazioni in questi venti anni e che ha visto schierarci sempre contro la guerra senza se e senza ma, si affianchi un recupero di identità e di contenuti.

 

f) La seconda difficoltà che abbiamo dovuto registrare è stata quella di una lettura superficiale del nesso tra la crisi che attanaglia le maggiori economie capitaliste del mondo (Stati Uniti ed Unione Europea soprattutto) e il ricorso alla guerra come strumento naturale della concertazione e della competizione tra le varie potenze e i loro interessi strategici. Una concertazione evidente quando si tratta di attaccare e disgregare gli stati deboli (Libia, Jugoslavia, Afghanistan) , una competizione quando si tratta di capitalizzare a proprio favore i risultati delle aggressioni militari (Georgia, Iraq. Libia). Se il colonialismo classico è andato all'assalto del Sud del mondo per accaparrarsi le risorse, il neocolonialismo è andato a caccia di forza lavoro a basso costo. Ma dentro la crisi di sistema che attanaglia le maggiori economie capitaliste del mondo, queste due dimensioni oggi si sono ricomposte nella loro sintesi più alta e aggressiva. Alcuni di noi la definiscono come imperialismo, altri come mondializzazione, comunque la si chiami oggi si è riaperta una competizione a tutto campo per accaparrarsi il controllo di risorse, forza lavoro, mercati e flussi finanziari. Questa conquista ha come obiettivo soprattutto l'economia dei paesi emergenti e quelli in via di sviluppo che molti ritengono poter essere l'unica via d'uscita e valvola di sfogo per la crisi di civilizzazione capitalistica che sta indebolendo Stati Uniti ed Unione Europea. In tale contesto, la guerra come strumento della politica e dell'economia è all'ordine del giorno. Se pensiamo di aver visto il massimo degli orrori in questi anni, rischiamo di doverci abituare a spettacoli ben peggiori. L'alleanza - non certo inedita - tra potenze occidentali, petromonarchie e movimenti islamici ha rimesso in discussione molti schemi, a conferma che il processo storico è in continua mutazione e che limitarsi a fotografare la realtà senza coglierne le tendenze è un errore che rischia di paralizzare l'analisi e l'azione politica.

 

I firmatari di questo documento declinano in modo diverso categorie come imperialismo, mondializzazione, militarismo, disarmo, antisionismo, anticapitalismo, pacifismo, solidarietà internazionale e internazionalismo, ma convergono su un denominatore comune sufficientemente chiaro nella lotta contro la guerra e le aggressioni militari.

 

Per queste ragioni condividiamo l'idea di promuovere:

 

·           Il percorso comune di riflessione che ha portato a questo documento

 

·           La costituzione di un patto di emergenza per essere pronti a scendere in piazza se e quando ci sarà una escalation della Nato e dei suoi alleati contro la Siria al quale chiediamo a tutti di partecipare

 

·           l'impegno ad un lavoro di informazione e controinformazione coordinato che contrasti colpo su colpo e con ogni mezzo a disposizione la manipolazione mediatica che spiana la strada a nuove "guerre umanitarie", anche in Siria

 

per le adesioni: controleguerre@gmail.com

http://www.resistenze.org/sito/os/lp/oslpcg03-011349.htm

 

                

 

 

da El Pravda - http://elpravda.blogspot.it/2012/06/las-fuerzas-britanicas-ya-estarian.html#more

 

Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

 

 

 

Forze britanniche starebbero già operando in Siria

 

 

 

27/06/2012

 

 

 

Le forze speciali britanniche hanno attraversato la frontiera che separa la Turchia con il nord della Siria e sono già operative nel paese, secondo quanto riportato dal quotidiano online israeliano “Debka”. Secondo il sito ebraico, le prime notizie non confermate provenienti da fonti inglesi, francesi e turche affermano che questo martedì 26 giugno l'esercito britannico è avanzato fino a 10 chilometri all'interno della Siria.

 

 

 

Secondo quanto riferito, i britannici stanno cercando di stabilire una zona di sicurezza lungo il confine con la Turchia, il che significherebbe l'inizio dell’intervento occidentale che cerca di rovesciare il governo di Bashar Al Assad. D'altra parte, sono stati resi noti i casi di decine di soldati siriani fatti prigionieri dalle forze ribelli e portati con la forza nel sud della Turchia.

 

 

 

Inoltre, come si può vedere in questo video postato su Internet e riprodotto dai media locali, la Turchia sta muovendo armi pesanti verso il confine siriano: pezzi d’artiglieria, carri armati modello Sabra MKII(M60T) e blindati modello BTR-80 Caribe.

 

 

 

"Stato di Guerra"

 

 

 

Nel frattempo, al di fuori della capitale siriana, Damasco, si registrano scontri tra le forze governative e le milizie. Secondo diversi testimoni, questi scontri rappresentano " una delle più forti esplosioni di violenza " nella regione da quando sono iniziati gli attentati e gli attacchi contro il governo siriano.

 

 

 

Data l'incertezza che impera in questo territorio, Bashar Al Assad, valutando la gravità, ha dichiarato: "Stiamo vivendo, come ho già detto prima all’Assemblea del Popolo, in uno stato di guerra, uno stato di guerra a tutti gli effetti, con tutto ciò che implicano queste parole”. Tali dichiarazioni sono state prodotte prima del nuovo governo, che include esponenti dell'opposizione pacifica, che ha prestato giuramento martedì.

 

 

 

Diversi morti in un nuovo attentato

 

 

 

Di quella che un tempo era la sede della televisione privata Al Ikhabriya, non restano altro che rottami fumanti e rovine [Foto]. Secondo la televisione di Stato siriana, un gruppo di uomini armati hanno attaccato i locali della catena, saccheggiando e distruggendo gli studi e poi hanno fatto esplodere diversi ordigni all’interno. Sono morti almeno 3 dipendenti. "Questo attacco terroristico non ci impedirà di continuare a trasmettere", dice un giornalista.

 

 

 

Attacco e saccheggio di una chiesa cristiana

 

 

 

Un altro attacco terroristico da parte delle milizie che sconvolgono la Siria è l'attacco e il saccheggio di una chiesa cristiana ad Homs, come riportato e documentato da una religiosa locale: "Hanno distrutto la chiesa ed io l’ho filmato. Questo è un dato di fatto" [Foto] .

http://www.resistenze.org/sito/te/po/si/posicf27-011307.htm
 

 

   

 

L’intervento russo in Siria fa infuriare Stati Uniti, Stato islamico e al-Qaida

 

novembre 12, 2015 1 commento

 

I ‘taliban siriani’, l’incidente del Sinai e ‘Gladio-B’ fanno riflettere Mosca

Christoph Germann, BFP 10 novembre 2015

 

156210L’intervento della Russia in Siria ha scatenato rabbia nella regione e nel mondo. Appena gli aerei russi iniziarono ad attaccare in Siria, i media occidentali hanno iniziato a lamentarsi che la Russia bombardava i terroristi sbagliati. [1] Dopo che il Pentagono non trovava che una dozzina di “ribelli moderati” per il suo assai pubblicizzato programma di addestramento, [2] le bombe russe riuscivano a trovare innumerevoli “ribelli moderati siriani” e i funzionari degli Stati Uniti improvvisamente ricordavano che la CIA aveva un programma di addestramento molto più efficace di quello del Pentagono. [3] Il governo e i media degli Stati Uniti ancora fingono che la CIA “abbia iniziato un’operazione segreta nel 2013 per armare, finanziare e addestrare un’opposizione moderata ad Assad” e che tale programma segreto “sia l’unico modo per gli Stati Uniti di sconfiggere Assad militarmente“. [4] Come Boiling Frogs ha denunciato quattro anni fa, le operazioni segrete degli USA iniziarono fin dall’aprile-maggio 2011, quando un campo di addestramento congiunto USA-NATO fu istituito nella base aerea di Incirlik in Turchia. [5]

L’intervento di Mosca ormai complica gli sforzi per nascondere la reale portata del coinvolgimento degli Stati Uniti nel conflitto, così come gli obiettivi reali di Washington. Anche i comici neocon de The Daily Beast non possono fare a meno di chiedersi perché i “ribelli” addestrati dalla CIA si siano schierati con Jabhat al-Nusra contro le forze governative siriane, invece di combattere il cosiddetto Stato islamico (ISIS). [6] A peggiorare le cose, la mossa della Russia ha fatto fallire i piani della coalizione degli statunitensi per una no-fly zone in Siria, come il Financial Times giustamente ha indicato. [7] Con la scusa d’istituire una “zona libera dal SIIL”, Stati Uniti e Turchia guidavano gli sforzi per creare una no-fly zone e occupare il Governatorato di Aleppo della Siria. I media turchi avevano già allegramente proclamato Aleppo come 82.ma provincia della Turchia prima che i russi rovinassero tutto. [8] Anche se non è proprio un segreto che “un’azione imminente per aumentare le attività della coalizione in Siria” forzasse la mano di Mosca, [9] gli stessi Paesi che operano illegalmente in Siria [10] hanno cercato di rivendicare una superiorità morale quando l’Aeronautica russa si univa alla lotta su richiesta del governo siriano. Stati Uniti, Turchia, Arabia Saudita, Qatar e gli altri membri della coalizione invitavano la Russia “a cessare immediatamente gli attacchi all’opposizione siriana e ai civili” e avvertivano che le azioni militari russe “alimenteranno solo estremismo e radicalizzazione“. [11] Nel caso qualcuno non avesse recepito il messaggio, una fonte del Qatar ha detto a Middle East Eye che i russi “imploreranno il Qatar per 10 anni di negoziare un cessate il fuoco con i ‘taliban siriani’” se non si ritirano. [ 12]

SIIL e ramo siriano di al-Qaida, Jabhat al-Nusra, invocano la jihad contro la Russia. [13] I terroristi evidentemente non condividono la valutazione del governo degli Stati Uniti secondo cui l’85-90 per cento degli attacchi aerei russi colpisce “l’opposizione siriana moderata”. [14] Ormai, lo Stato islamico ha probabilmente capito che di The Daily Beast non ci si può fidare. [15] Invece del supporto aereo ai combattenti dello SIIL, l’Aeronautica russa in realtà ne bombarda le linee di rifornimento vitali dalla Turchia, dopo che gli USA avevano permesso che “tali linee di rifornimento continuassero a funzionare“. [16] Ciò potrebbe spiegare perché lo SIIL fosse così ansioso di rivendicare l’abbattimento dell’aereo passeggeri russo schiantatosi nella penisola del Sinai in Egitto. Secondo lo Stato islamico della “provincia” di Aleppo , l’aereo è stato attaccato in rappresaglia dell’intervento della Russia in Siria. [17] Mentre gli investigatori ancora cercano di capire cosa abbia causato l’incidente, un ex-diplomatico statunitense dal passato interessante [18], che appare su The Lone Gladio di di Sibel Edmonds, si allineava allo SIIL e dava al presidente russo Vladimir Putin un piccolo consiglio: Matthew Bryza e il Cremlino hanno chiaramente una diversa interpretazione di come “combattere veramente lo SIIL“. I russi non si fanno illusioni sulla campagna degli USA contro lo SIIL e la vera natura del cosiddetto Stato islamico. Dopo aver detto che la coalizione degli Stati Uniti “fa finta” di bombardare lo SIIL [19], l’influente parlamentare russo Aleksej Pushkov ha recentemente spiegato che la Russia lotta in Siria per la propria sicurezza, perché “dietro lo Stato islamico vi sono le stesse persone che in passato destabilizzarono l’Asia centrale e tentarono di staccare la Cecenia dalla Russia“. [20] L’accenno di Pushkov alle operazioni di ‘Gladio B‘ del Pentagono in Asia centrale e Caucaso è particolarmente interessante alla luce delle recenti notizie secondo cui il capo di al-Qaida, Ayman al-Zawahiri, che partecipò a tali operazioni, [21] abbia ora un ruolo più importante nel conflitto siriano. In un messaggio audio appena diffuso, Zawahiri ha esortato i “fratelli mujahidin in tutti i luoghi e di tutti i gruppi” a unire le forze contro la Russia e l’occidente. [22] Secondo notizie non confermate, ha già inviato il vecchio capo di al-Qaida Saif al-Adil in Siria per mediare tra Jabhat al-Nusra e SIIL. [23] In considerazione del passato di Zawahiri, è sicuro dire che sia più interessato a combattere la Russia che l’occidente. Mentre Stati Uniti e alleati intensificano le forniture di armi ad inesistenti “ribelli moderati siriani”, [24] i russi potrebbero chiedersi se non vi sia alcuna differenza tra “taliban siriani” e i loro prototipi afgani.

https://aurorasito.wordpress.com/2015/11/12/lintervento-russo-in-siria-fa-infuriare-stati-uniti-stato-islamico-e-al-qaida/

 

 

 

Socialismo siriano

 

15/07/12

 

Nel 1954 una coalizione formata dall'allora forte Partito Comunista Siriano (PCS), dall'allora piccolo Partito Baath e dal blocco nazionale giunse al potere.

 

Da febbraio del 1958 al 1961 la Siria si unisce con l'Egitto di Nasser nella Repubblica Araba Unita (R.A.U.), applicando una riforma agraria che segue il modello egiziano. La borghesia conservatrice tornò al potere, ma nel marzo 1963 i baathisti e i nasseriani lo riconquistarono con l'appoggio del PCS, che aveva subito persecuzioni durante il periodo della R.A.U. L'elemento chiave baathista fu la creazione di un comitato militare nel 1959 che unì alti ufficiali militari e che, nel momento opportuno, gli ha consentito di prendere il potere.

 

Il governo applica il piano quinquennale 1965-1970 dando la priorità alle nazionalizzazioni e agli aiuti sovietici. Nel 1964 la Costituzione provvisoria assegna la funzione legislativa al Consiglio del Comando Rivoluzionario. Nel 1965 l'industria tessile è nazionalizzata e riorganizzata in 13 imprese di Stato, inaugurando così il processo di nazionalizzazione.

 

Nel 1966 giunge al potere un gruppo chiamato "neo baathista" con forte inclinazione filo-sovietica, formato dal generale Salah Jadid, il Presidente della Repubblica Nuredin al Attasi e Ibrahim Makhos. Dopo l'espulsione del fondatore Michel Aflak, l'ideologo di riferimento del Baath siriano è Arsuzi Zaki, uno alawita di Alexandrette.

 

Nel Dicembre del 1970 un ramo considerato di "destra" del Baath, guidato dal generale Hafed Al Assad, prende il potere e incarcera il gruppo precedente che creerà in opposizione il Movimento 23 Febbraio (1966), che si richiama al Baath. Non è così di "destra" visto che si apre alla collaborazione dei comunisti e di altre forze di sinistra, mantiene un forte settore pubblico dell'economia, liquida il latifondismo feudale e nel 1980 firma un trattato di cooperazione con l'URSS. Riteniamo che l'imperialismo manipoli la realtà presentando il Baath siriano come espressione di una setta religiosa minoritaria, gli alawiti. I contadini poveri musulmani, le minoranze religiose storicamente emarginate, gli intellettuali, progressisti e i sindacati sono la base storica del potere siriano ancora oggi dove è cresciuta l'influenza della borghesia nazionale. A dirigere il Baath siriano vi sono stati alatiti, come anche sunniti e cristiani.

 

Il 7 Marzo del 1972 il Baath crea il Fronte Nazionale Progressista in alleanza con il PCS, l'Unione Socialista Siriana (USA) di Jamal Atasi e Fawzi al-Kayyali, una scissione del Baath chiamata Movimento Socialista Unitario Arabo di Abd al Ghami Qannut e il Partito Unitario Socialista Democratico di Ahmad As'ad. Il Baath è maggioritario e dominante e la Costituzione del 1973 gli consente di essere l'unica forza politica presente nelle università e nelle forze armate.

 

I sovietici e il campo socialista apportarono un aiuto significativo alla modernizzazione del paese: costruirono il complesso idroelettrico del fiume Eufrate, la diga del fiume Kabir del Nord, la raffineria di Homs, la fabbrica di cementi di Hama, l'industria d'estrazione petrolifera, fabbriche di cotone, di calzature e di concerie ed altre, hanno disteso migliaia di chilometri di ferrovie, come le ferrovie Kamishli-Latakia, Akkari-Tartus, la Hama Maharda e altre ancora. L'Unione dei Contadini (Ittihad al fallahin) controlla la rete di cooperative agricole.

 

Alla caduta del campo socialista la Siria progressista e laica rimane orfana e realizza modeste riforme pro-capitaliste, come la legge 10 del 1991 sugli investimenti. Dal 2000 al 2007 la parte privata nella produzione di PIL industriale passa dal 52, 3% al 60, 5%. Si liberalizzano il settore bancario e assicurativo. La Costituzione del 2012 rimuove l'articolo 13 del 1973 che prevedeva che "l'economia dello Stato è una economia socialista pianificata che cerca la fine dello sfruttamento". Ciò che resta del socialismo in Siria non è poco: i sindacati degli operai e dei contadini intervengono nelle decisioni economiche delle imprese, l'istruzione e l'assistenza sanitaria sono gratuite e buone, i prezzi sono controllati dallo stato, i prodotti di base sono sovvenzionati, regge la pianificazione economica e lo Stato dirige il commercio estero, il governo afferma di voler rafforzare il settore pubblico dell'industria, operano depositi dello Stato. Ci sono 104 industrie statali tra cui la GECI, industria chimica pubblica, l'Organizzazione generale per il cemento e i materiali di costruzione, la compagnia generale di fertilizzanti di Homs legata alla Geci. Il settore pubblico contribuisce per il 30% del PIL e impiega il 42, 5% della forza lavoro.

 

Una vittoria controrivoluzionaria privatizzerebbe questi settori, distruggerebbe i diritti sociali e rafforzerebbe la borghesia locale convertendola in agente commerciale degli imperialisti, che trasformeranno il paese in colonia economica come l'Iraq e la Libia.

http://www.resistenze.org/sito/te/po/si/posicg17-011413.htm

 

 

http://www.resistenze.org/sito/te/po/si/posicl09-011665.htm

 

http://www.resistenze.org/sito/te/po/si/posicl09-011665.htm

 

 

 

 

"E' un illuso chi pensa di piegare la Siria"

 

di Redazione Contropiano

 

07/10/2012

 

Intervista a Ammar Bagdach, segretario generale del Partito Comunista Siriano (PCS).

In mezzo alla campagna di disinformazione sulla crisi in Siria - la maggior parte delle volte basata su testimoni senza nome che offrono cifre "indeterminate"-, Ammar Bagdach, segretario generale del Partito Comunista di quella nazione araba, ha acconsentito a condividere con il giornale cubano Granma una realtà molto distante da versioni mediatiche parziali .

 

Quali sono stati i principali compiti portati avanti dal PCS da quando si è scatenata la crisi?

 

"In primo luogo, la lotta per preservare l'indipendenza nazionale, la sovranità e la linea patriottica antimperialista della Siria, e per gli interessi e le rivendicazioni delle masse popolari meno abbienti.

 

"C'è un altro compito molto importante, soprattutto nel contesto che ci viene imposto, la difesa della produzione nazionale. Applichiamo sempre la disposizione dettata dal leader storico del Partito, Khaled Bagdach: la difesa della patria e la difesa del pane del popolo.

 

"Il nostro Partito sta svolgendo un ruolo di mobilitazione molto importante con il popolo per denunciare la natura della cospirazione che è stata ordita contro di noi. Le prime mobilitazioni di massa, che dall'anno scorso sono state fatte davanti alle ambasciate delle grandi potenze, sono state organizzate ed hanno avuto una partecipazione sostanziale da parte del nostro Partito. Davanti alla sede diplomatica della Francia, il popolo ha chiarito che non dimentica i crimini commessi dal colonialismo francese nel nostro paese. Abbiamo innalzato uno striscione con la frase del Generale De Gaulle: "E' illuso chi pensa di poter piegare la Siria".

 

Che impatto hanno avuto nel paese le misure che il Governo ha preso dopo la crisi?

 

"Sono state prese molte misure per garantire l'ampliamento delle libertà democratiche, la più importante è stata quella di deroga delle leggi marziali, è stata proclamata anche quella dei partiti, ed è stata adottata una legge molto avanzata sulla stampa.

 

Il PCS ha lottato per molto tempo affinché si restituisca la nazionalità siriana a quei kurdi che ne sono stati privati a seguito del censimento eccezionale che fece il governo reazionario nel 1962. Ci sono circa un milione di kurdi in Siria e la maggior parte ha la sua nazionalità, ma è stata ridata a 136 mila kurdi che non l'avevano. È stata pure proclamata una nuova Costituzione e alcuni analisti considerano che la cosa più importante è la modifica dell'Articolo 8 che stabiliva che il capo dello stato doveva appartenere al partito BAAS.

 

"La maggior parte delle misure democratiche che sono state adottate e le riforme che sono state fatte erano incluse nel programma di azione del PCS, che stava esigendo con gran forza la loro adozione.

 

Il Consiglio dei Diritti Umani ha approvato una risoluzione che contiene una mozione di censura contro Damasco per la tragedia di Houla e prolunga di sei mesi il mandato della Commissione d'Inchiesta in Siria. Qual è la sua valutazione al riguardo, e cosa pensa del ruolo della Russia, della Cina e dell'ONU in questo conflitto?

 

"Sul massacro di Houla, le informazioni che ha il PCS in quella regione sono che non è stata perpetrato da forze governative, ma dagli insorti, e l'hanno fatto tre giorni prima della discussione dell'argomento al Consiglio di Sicurezza affinché fosse uno strumento di pressione sull'organizzazione.

 

"Il ruolo di Russia e Cina è stato positivo rispetto alla crisi siriana, loro stanno difendendo i propri interessi geostrategici, tenendo conto delle forti pressioni che esercitano gli Stati Uniti su di loro, e per questo gli interessi di questi due paesi convergono con quelli del popolo siriano in difesa della propria patria e sovranità nazionale

 

"Rispetto al ruolo dell'ONU, dalle posizioni che ha adottato il Segretario Generale, risulta chiaro che risponde disciplinatamente alle istruzioni degli Stati Uniti. In quanto all'attività dei suoi delegati Kofi Annan e ora Lajdar Brahimi, noi come partito politico siamo stati contrari a quell'iniziativa perché la sua essenza è stata quella di spogliare il Governo siriano degli strumenti con cui conta per assumere la difesa della propria sovranità.

 

Un pronostico: Quale deve essere, secondo il partito Comunista, la conclusione della crisi in Siria?

 

"In primo luogo bisogna mantenere una posizione ferma, severa di fronte alle azioni sovversive e ai sabotaggi degli insorti. Quelli che non fanno azioni terroriste bisogna affrontarli con gli stessi mezzi cui loro ricorrono, con altri punti di vista e progetti. La sovversione, gli omicidi e le operazioni terroriste bisogna affrontarle con l'applicazione della legge.

 

"La garanzia fondamentale della fermezza della Siria risiede nel soddisfacimento delle necessità del popolo, questo significa che ci sono molte leggi economiche, sociali, che devono essere riviste. L'intento di arrivare a una soluzione di compromesso tra forze patriottiche e non patriottiche significa ritrattare gli interessi della patria, una involuzione. Non appoggiamo questo."

 

traduzione di Rosamaria Coppolino da www.granma.cu/espanol/noticias/4octubre-es-iluso.html

http://www.resistenze.org/sito/te/po/si/posicl09-011665.htm

 

 

 

 

 

Bashar al Assad: "Siamo l'ultimo baluardo della laicità, della stabilità e della convivenza nella regione"

 

11/10/2012

 

Potete vedere qui la versione completa dell'intervista concessa da Bashar al Assad a RT.

 

In un'intervista esclusiva a RT, Bashar al Assad, presidente della Siria, parla del ruolo destabilizzante svolto dall'Occidente nel conflitto siriano, rivela perché alcuni paesi hanno paura di dichiarare il loro sostegno al governo, a quali condizioni si può raggiungere la pace e che cosa accadrà nel caso di un intervento straniero.

 

Il presidente ha chiarito che il problema del conflitto siriano non è tra il popolo siriano e lui, coloro che sono contro di lui sono gli Stati Uniti, l'Occidente, alcuni paesi arabi e la Turchia. "L'Occidente crea sempre dei nemici. Nel passato era il comunismo, poi l'Islam e dopo fu il turno di Saddam Hussein, per altri motivi. Ed ora vogliono rappresentare in Bashar, un nuovo nemico; ed è per questo che si dice, che il problema è il presidente e per questo deve andarsene", ha detto Assad. Allo stesso tempo, ha precisato che la Siria "è l'unico posto dove posso essere", escludendo la possibilità che possa cercare rifugio all'estero. "Non sono un burattino e non sono stato creato dall'Occidente per andare in Occidente o in qualsiasi altro luogo. Sono siriano, sono di qui e devo vivere e morire in Siria", ha dichiarato.

 

Nelle viscere del conflitto

 

Per Al Assad, che si occupa di un paese scosso da oltre un anno e mezzo da un violento conflitto interno, il suo più grande nemico è il "terrorismo". "La questione non è che io rimanga [al potere] o che me ne vada, ma se il paese è sicuro o meno. [...] Non siamo in una guerra civile. La questione ha a che fare con il terrorismo e il sostegno di cui godono i terroristi dall'estero per destabilizzare la Siria", ha sottolineato.

 

"Adesso, in questo caso siamo di fronte a un nuovo tipo di guerra, in cui si esercita il terrorismo per delega, sia per mano di siriani che vivono in Siria o attraverso combattenti stranieri provenienti da fuori", ha dichiarato, aggiungendo che anche se ci sono alcune divisioni nel paese, questo non significa che ci sia una guerra civile.

 

La fine del conflitto

 

Al Assad ha rifiutato di prevedere quando finirà il conflitto. Secondo lui, la fine potrebbe essere "una questione di settimane" se si pone fine all'invio di combattenti stranieri provenienti da tutto il mondo, "specialmente dal Medio Oriente e dal mondo musulmano", e l'invio di armi a questi terroristi. "Ma se continueranno i rifornimenti logistici ai terroristi, sarà una lunga guerra", ha aggiunto.

 

Ha inoltre sottolineato che il suo dovere è quello di essere la persona che pone fine al conflitto e ristabilisce la pace e ha dichiarato che spera di raggiungere questi obiettivi, sia per mezzi bellici o attraverso la negoziazione. "Ho sempre creduto nella diplomazia e credo nel dialogo anche con coloro che non intendono il dialogo o non credono in esso. Dobbiamo continuare a provare", ha puntualizzato.

 

Le tensioni con la Turchia

 

"Non penso che ci sia una possibilità per lo scoppio di una guerra tra la Siria e la Turchia", ha detto al-Assad. Secondo lui, la tensione turco-siriana ha a che fare solo con i governi e non con i cittadini di entrambi i paesi. "La guerra richiede il supporto popolare e la maggior parte del popolo turco non vuole una guerra. Pertanto, penso che nessun responsabile ragionevole voglia contrastare la volontà del popolo del proprio paese. E questo è perfettamente applicabile al popolo siriano", sottolinea il presidente. Per quanto riguarda la causa iniziale della crescente tensione, un razzo lanciato dal territorio siriano che ha ucciso cinque abitanti di un villaggio turco, Al Assad ha spiegato che ancora sono ignoti gli autori del colpo fatale. Egli ha sottolineato che per verificare se siano state le truppe regolari o i ribelli, sono necessarie investigazioni congiunte tra gli eserciti dei due paesi per analizzare "la natura del proiettile e il luogo dell'impatto". "Abbiamo chiesto al governo turco di formare una commissione simile, ma si è rifiutato".

 

L'invasione straniera della Siria

 

Il costo di una invasione straniera in Siria, se succederà, "sarà più grande di ciò che il mondo intero è in grado di tollerare", ha previsto il presidente. "Siamo l'ultimo baluardo della laicità, della stabilità e della convivenza nella regione", ha rilevato. "Se si generano problemi in Siria, questo avrebbe un effetto a catena su tutto il mondo dall'Atlantico al Pacifico, e si può immaginare l'impatto sul resto del mondo. Non credo che l'Occidente si sta muovendo in questa direzione, ma se così fosse, nessuno può prevedere cosa succederà dopo", ha detto.

 

Tagliare con l'Iran in cambio della pace?

 

Bashar al-Assad ha precisato che la Siria ha buoni rapporti con l'Iran dal 1979 e sono in costante miglioramento, riferendosi alle versioni che l'Occidente cerca di propagandare, che sostengono che "se vogliamo la pace, non dovremmo avere buone relazioni con l'Iran". "Una cosa che non ha nulla a che fare con l'altra. L'Iran ha dato appoggio alla Siria e ha sostenuto la nostra causa, la causa dei territori occupati, e noi dobbiamo sostenerlo nella sua causa", ha detto Assad, aggiungendo che "non si può parlare di stabilità sotto l'ombra di cattivi rapporti con l'Iran, la Turchia e altri paesi vicini".

 

 

http://www.resistenze.org/sito/te/po/si/posicm12-011861.htm

 

 

 

ELEZIONI IN SIRIA UNA VITTORIA DELLA RESISTENZA

 

 

Editoriale di Vermelho, portale web del Partito Comunista del Brasile (PCdoB)
da vermelho.org.br | Traduzione di Marx21.it

Il popolo siriano ha celebrato una vittoria importante a tre anni da quando è stata scatenata la guerra contro il paese: lo svolgimento delle elezioni che ha potuto contare su una grande partecipazione di cittadini e che ha dimostrato la determinazione nazionale ad avanzare, nonostante le grandi sfide ancora in corso.

La nuova Costituzione della Siria, approvata nel 2012 attraverso il dialogo tra il governo e l'opposizione, ha reso possibile lo svolgimento delle prime elezioni presidenziali plurali e diverse, con tre candidati su posizioni politiche abbastanza distinte, ma impegnati per il progresso della Siria e per il superamento di un periodo di grandi sofferenze per il popolo.

L'ingerenza esterna ha reso possibile il propagarsi della violenza nella regione e il suo prolungamento nel tempo, principalmente con il sostegno degli USA, dei paesi europei, delle monarchie arabe e di alleati come la Turchia e Israele dei gruppi paramilitari e degli estremisti, che sono stati descritti dai media internazionali, complici dell'aggressione alla Siria, come l' “opposizione”, come se ci si trovasse di fronte a formazioni politiche legittime, e non, per la gran parte, di organizzazioni criminali che hanno sparso il sangue del popolo.


Eppure, in aggiunta alle successive vittorie dell'Esercito siriano ottenute nel recupero di territori occupati da paramilitari, mercenari stranieri ed estremisti religiosi, che propagano il terrorismo in un'impunità garantita dalle potenze imperialiste, i siriani si sono recati in massa alle urne per esercitare il loro diritto a scegliere il proprio destino.

La Siria unita, governo e popolo, e i suoi alleati hanno dimostrato ripetutamente la loro disponibilità alla diplomazia, al dialogo politico nazionale e sovrano, senza ingerenza e intervento esterno, per trovare un'uscita dalla crisi, iniziata nel 2011 con i moti di piazza, immediatamente strumentalizzati dall'agenda imperialista di destabilizzazione di un governo e di un paese che non si arrende.

Gli amici della Siria continuano a chiedere il rispetto della Carta delle Nazioni Unite, dei diversi principi del diritto internazionale e la coerenza politica nel rifiuto dell'ingerenza criminale dell'imperialismo, che ritiene accettabile la sofferenza del popolo per la realizzazione di piani espliciti di dominio mondiale, strumentalizzando ideali per nulla coincidenti con le sue pratiche, come la libertà, la democrazia e la pace.

I governi e i paesi che si dichiarano rispettosi dei principi fondamentali dell'autodeterminazione dei popoli, della sovranità nazionale, della dignità, della cooperazione internazionale e della costruzione di un mondo di pace devono unirsi nella protezione della Siria e del diritto del suo popolo di decidere il proprio futuro, ostacolando la manipolazione dei conflitti politici e identitari allo scopo di realizzare politiche retrograde di dominazione mondiale, come quella esercitata dagli Stati Uniti e dai suoi alleati europei.

L'avanzata nel consolidamento e nella permanente costruzione della democrazia, la lotta al terrorismo, l'alleggerimento delle sofferenze della nazione, la ricostruzione e il dialogo politico sovrano sono ora le priorità in Siria, che continua con determinazione a vincere le sfide imposte dall'imperialismo. Il paese realizza un'altra vittoria in questo processo e deve essere appoggiato da tutti coloro che aspirano alla pace e a una reale “comunità internazionale”, coerente, equa e giusta.

 

 Jugoslavia, Siria e migrazione:
la Russia è stanca di Stati del Golfo, Stati Uniti e NATO

L’inettitudine dell’amministrazione Obama non conosce limiti in politica estera. In realtà, segue le passate amministrazioni di questa nazione, quando si tratta di Medio Oriente, Nord Africa e Sud-Est asiatico. Tuttavia, a differenza delle passate amministrazioni che avviarono politiche di destabilizzazione, è chiaro che l’amministrazione Obama fa degli USA una barzelletta, perché anche gli alleati sono confusi. Pertanto, il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin è intento finalmente a cercare di affrontare la crisi in Siria. Dato questo fatto, la doppia agenda della Federazione Russa si concentra sulla crescente minaccia del terrorismo internazionale e ad impedire un altro Stato fallito creato dalle brutali azioni delle potenze di Golfo e NATO contro il governo della Siria. Naturalmente, vi sono altre aree importanti, ma queste due aree sono di maggiore importanza. In effetti, se si guarda alla crisi dei migranti in Europa e Medio Oriente, appare chiaro che USA e loro alleati ne sono prevalentemente responsabili. In Afghanistan negli anni ’80 e all’inizio degli anni ’90, USA, Cina, Pakistan, Arabia Saudita, Regno Unito e gli altri Stati del Golfo, hanno supportato e finanziato il terrorismo internazionale. Sono tali nazioni che crearono al-Qaida, i taliban (soprattutto il Pakistan) e vari altri gruppi settari terroristici sunniti.

Ex-Jugoslavia e Kosovo
Dopo l’Afghanistan, Germania e altre nazioni europee chiesero frettolosamente lo smembramento dell’ex-Jugoslavia. Data la terribile eredità del fascismo croato della Seconda Guerra Mondiale e delle unità SS di bosniaci musulmani che massacrarono i serbi ortodossi, per non parlare delle convulsioni dell’impero ottomano e della brutalità austriaca, appare chiaro che la Jugoslavia aveva bisogno di aiuto e sostegno nel risolvere la crisi. Tuttavia, successe il contrario e USA, Iran, Turchia e molte nazioni musulmane si schierarono con al-Qaida e le altre forze terroristiche islamiste seguendo i sogni della Fratellanza musulmana di Alija Izetbegovic in Bosnia. Il risultato della rapida destabilizzare della Jugoslavia furono i massacri in Bosnia e Croazia (Krajina serba). Allo stesso modo, le trame estere, tra cui l’asse delle élite politiche di Ankara, Teheran, Washington e molti altri, permisero ad al-Qaida e altri jihadisti internazionali di entrare in Bosnia. Inoltre, restano le immagini che mostrano chiaramente le Nazioni Unite (ONU) aiutare i terroristi coi loro mezzi in Bosnia. Inoltre, l’embargo militare fu manipolato da USA, Iran, Turchia e molti altri, quindi i militari crearono le forze armate croate, musulmane bosniaci e jihadiste internazionali grazie alle varie nazioni anti-serbe e alle Nazioni Unite. Non sorprende che la crisi del Kosovo abbia esibito trame simili e, come al solito, la guerra mediatica giocò un ruolo importante. Allo stesso modo, l’aspetto umanitario fu manipolato al massimo. Il risultato, proprio come la pulizia dei cristiani in Iraq e Siria dopo l’ingerenza di NATO e potenze del Golfo, fu l’esodo dei cristiani ortodossi dal Kosovo. Gli zingari divennero bersaglio dei nazionalisti albanesi e poi si seppe che serbi furono squartati per espiantarne gli organi. Il risultato del rapido smembramento dell’ex-Jugoslavia furono i massacri etnici e religiosi, la massiccia migrazione verso altre nazioni europee, la distruzione della cristianità ortodossa in Kosovo, povertà di massa, dipendenza degli aiuti internazionali del Kosovo del governo albanese (problemi simili alle aree musulmane bosniache e croate) e una serie di altri fattori importanti. In effetti, tali convulsioni continuano a creare oggi migrazioni di massa perché le aree come il Kosovo sono rovinate da povertà e corruzione. Allo stesso tempo, la Macedonia resta profondamente divisa nel 2015, dove i politici estremisti albanesi del Kosovo manifestano contro i serbi ortodossi e i jihadisti dai Balcani vanno in Iraq e Siria. Inoltre, la Bosnia resta divisa internamente (zone bosniaco-musulmana e bosniaco-croato cattolica) ed è un caso di economica disperata. Allo stesso modo, i serbi bosniaci subiscono discriminazioni internazionali nelle loro regioni in Bosnia. Altra convulsione delle guerre nei Balcani è la rete di jihadisti internazionali cerata dalle trame di USA, Iran, Pakistan, Turchia e molti altri. Dopo tutto, la cellula islamista tedesca coinvolta nell’11 settembre nacque dalla crisi bosniaca e lo stesso vale per altri. Nel tempo, tale realtà ha fatto sì che i brutali attentati di Madrid e dell’11 settembre negli USA (e altri attacchi terroristici) fossero collegati con l’azione nella Bosnia musulmana. Naturalmente, l’amministrazione del presidente Obama, la Turchia del presidente Erdogan e vari gruppi terroristici settari sunniti, hanno cercato di manipolare il legame con gli islamisti balcanici per sconfiggere il governo laico della Siria.

Libia, Iraq e Siria
La destabilizzazione di Iraq, Libia e Siria ha testimoniato l’avanzata di al-Qaida e negli ultimi tempi lo stesso vale per la minaccia dello SIIL (Stato islamico – SI). In altre parole, le principali potenze secolari sono state attaccate dalle varie politiche ideate dalle potenze del Golfo e della NATO. In Libia e Siria è chiaro che le varie potenze di Golfo e NATO sono colluse con le diverse forze taqfirite, o hanno obiettivi simili nel breve termine. Naturalmente, ogni nazione avrà diverse priorità a lungo termine, ma ciò è di scarso interesse per i numerosi uccisi e mutilati (che continuano a morire in Iraq, Libia e Siria). Allo stesso tempo, le minoranze religiose sono ancora perseguitate e uccise in Iraq e Siria dalle varie forze create dalla destabilizzazione delle maggiori potenze del Golfo e della NATO. Mentre in Libia il gruppo terroristico confessionale SIIL decapita apertamente migranti cristiani sulle spiagge e minaccia l’intera comunità copta ortodossa cristiana della nazione. In altre parole la scomparsa del Colonnello Gheddafi in Libia, e di Sadam Husayn in Iraq, hanno scatenato vuoti che non possono essere colmati. Altrettanto preoccupante, l’amministrazione Obama, il turco Erdogan e diverse potenze del Golfo hanno destabilizzato l’Iraq per la seconda volta per la necessità di rovesciare il Presidente Bashar al-Assad in Siria. Inoltre, mentre la Libia era ancora sanguinante e lacerata, le potenze del Golfo e della NATO l’usavano per destabilizzare la Siria e questo vale per il flusso di armi e terroristi. La guida del jihadismo internazionale in tale complessa rete di inganni è la Turchia della NATO, seguendo realtà geopolitiche e politiche di Erdogan. Non a caso le brutalità delle maggiori potenze di NATO e Golfo in Iraq, Libia e Siria, sono un numero imprecisato di rifugiati interni, enormi ondate migratorie, numerose persone uccise, terrorismo quotidiano, riduzione in schiavitù dei cristiani e yazidi da parte dello SIIL, settarismo brutale, enorme povertà, Stati falliti e pulizia religiosa contro alawiti (Siria), cristiani (Iraq e Siria), shabaq (Iraq), yazidi (Iraq) e altri. Allo stesso tempo, SIIL e altri gruppi terroristici taqfiriti massacrano numerosi sciiti. Infatti, musulmani sciiti sono stati massacrati nelle moschee in Iraq e lo stesso accade sempre più nello Yemen, a causa degli intrighi delle potenze del Golfo in questa nazione.

Federazione russa e Siria
Alla metà del 2015 appariva chiaro che la crisi migratoria, brutalità di SIIL e Nusra (e altri gruppi settari terroristici), riduzione in schiavitù delle minoranze religiose da parte dei taqfiri, crescente povertà economica e altri fattori importanti, spingevano la Federazione Russa a cercare una soluzione alla crisi in Siria e fare molto di più. La pazienza della Federazione Russa sembra essere finita perché chiaramente USA, Turchia e diverse potenze del Golfo attuano politiche che consentono alla crisi di continuare. In effetti, la Turchia è più preoccupata dai curdi che dallo SIIL e l’unica politica di Erdogan verso la Siria è semplicemente volta a rovesciarne il governo. Allo stesso modo, Qatar e Arabia Saudita (ai ferri corti per i Fratelli musulmani in Egitto e Libia) supportano vari brutali gruppi terroristici settari mentre si scontrano in altre parti di Medio Oriente e Nord Africa. Pertanto, il sangue continua a scorrere e i migranti a fuggire da Libia, Iraq e Siria. In altre parole, le potenze di Golfo e NATO (e il Pakistan in Afghanistan) hanno semplicemente destabilizzato delle nazioni senza dare soluzioni a realtà complesse. I vuoti emersi sono stati colmati da settarismo, indottrinamento taqfirita, pulizia delle minoranze, segregazione delle donne e altre realtà brutali. Data tale realtà, le élite politiche di Mosca cercano di puntellare la Siria perché le conseguenze di un altro Stato fallito saranno orrende. Inoltre, proprio come Afghanistan, Libia e regione del nord del Pakistan sono diventati campi di addestramento dei vari gruppi terroristici taqfiri grazie all’ingerenza delle potenze occidentali e musulmani, la Federazione Russa teme che la Siria sia usata per diffondere il caos nella regione del Caucaso. E’ tempo che la comunità internazionale resista alle solite nazioni che continuano a destabilizzare così tanti Paesi. In effetti, la crisi dei migranti è chiaramente legata alle nazioni che seminano caos e odio in Afghanistan, Bosnia, Kosovo, Libia, Iraq e Siria. Ciò a sua volta ha comportato contraccolpi negativi legati al crescente terrorismo e a questioni interne pericolose per nazioni come Egitto, Mali, Pakistan (auto-indotte), Tunisia e altri Paesi regionali. Pertanto la Federazione Russa ora attua un’azione incisiva in Siria e spinge la comunità internazionale a svegliarsi sui misfatti del passato e a concentrarsi sulla stabilità regionale.

https://aurorasito.wordpress.com/2016/02/08/jugoslavia-siria-e-migrazione-la-russia-e-stanca-di-stati-del-golfo-stati-uniti-e-nato/   

Fronte Unito di Russia e Siria contro il terrorismo

L’operazione militare avviata dalla Russia in Siria ha evocato la reazione nervosa degli Stati Uniti. Il Pentagono definiva le azioni di Mosca “aggressive”, come se gli attacchi aerei degli USA contro la Siria fossero pacifici per definizione. Le azioni della Russia in Siria sono conformi a tutte le procedure standard rispondenti al diritto internazionale. Il presidente russo Vladimir Putin ha informato le comunità internazionale dell’intenzione della Russia di partecipare attivamente alle operazioni antiterrorismo nel territorio della Repubblica araba siriana, durante il suo discorso alla sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Poi il Consiglio della Federazione, la camera alta del parlamento russo, ha approvato all’unanimità la richiesta del presidente di usare le forze armate all’estero. Infine, la Russia aveva preavvisato gli Stati Uniti sui suoi piani. Dopo tutto questo, perché Washington reagisce così istericamente al fatto che l’Aeronautica russa comincia a colpire i terroristi? La risposta è semplice: la Russia rafforza la posizione di Bashar Assad. Washington ritiene che le misure adottate per sostenere Assad e, ancora più, aumentare la cooperazione militare tra Mosca e Damasco in coordinamento con Teheran, rappresentino una minaccia molto più grande dello Stato islamico. Le attività coordinate di Mosca, Teheran e Damasco in Siria ostacolano gli Stati Uniti che prevedevano di cambiare drasticamente i confini del Grande Medio Oriente. I terroristi dello Stato islamico hanno un ruolo importante da svolgere nella realizzazione di tale scenario. Washington voleva un cambio di regime in Siria con Assad che lasciava l’incarico tre-quattro anni fa. Ora il sostegno militare al governo legittimo della Siria può cambiare lo svolgersi degli eventi in Siria, così come aumentare il peso della Russia in Medio Oriente, la regione che gli Stati Uniti vedono sempre come loro ranch o poligono.
In sintesi, queste sono le principali conseguenze delle azioni congiunte intraprese da Russia e Siria:
In primo luogo, la Russia prende misure pratiche per espandere il suo ruolo nella lotta al terrorismo internazionale, minaccia diretta agli interessi russi ed influenza sempre più destabilizzante sull’Europa. Le centinaia di migliaia di richiedenti asilo che inondano i Paesi europei sono una diretta conseguenza della connivenza dell’occidente con le attività terroristiche in Siria.
In secondo luogo, la Russia fornisce supporto militare e politico ai governi legittimi in Medio Oriente, in contrasto con gli sforzi degli Stati Uniti nel diffondere il virus delle varie “rivoluzioni colorate”. L’occidente è ricorso alle interferenze internazionali in molte regioni del mondo (la regione serba del Kosovo, Afghanistan, Iraq e Libia) negli ultimi dieci anni e mezzo. Come mostra l’esperienza, ogni volta ha rafforzato le posizioni dei gruppi terroristici ed estremisti.
In terzo luogo, la Russia non ha mai lasciato completamente il Medio Oriente nell’ultimo quarto di secolo, anche se l’ha ritenuta una regione d’importanza secondaria per molto di tempo. Ora rafforza la propria posizione nella regione.
In quarto luogo, la Russia compie un passo importante sulla via della formazione di una nuova struttura di sicurezza internazionale basata sull’ampia coalizione di Stati che sostengono l’idea del mondo multipolare e che operano fuori dal controllo diretto degli Stati Uniti. Per molti aspetti costituirà un’alternativa a ciò che viene imposto da Washington ed alleati. La coalizione s’impegna a un nuovo ordine internazionale che presuppone interazione, compromessi e assenza del “doppiopesismo”, anche nella cooperazione internazionale nella lotta al terrorismo.
Le accuse occidentali contro la Russia di “azioni aggressive” in Siria vengono lanciate per distogliere l’attenzione dal fallimento della propria strategia in Medio Oriente. Come la rivista statunitense Newsweek sottolinea giustamente, non importa ciò che fa Mosca, “… i problemi legati al maggiore intervento degli Stati Uniti in Siria rimangono gli stessi di sempre. Ci sono pochi gruppi ribelli in Siria che potrebbero essere considerati “moderati” o accettabili ai politici statunitensi, mentre quelli esistenti non sono volti a combattere il SIIL, ma a rovesciare il regime di Assad. E anche se alcuni obiettivi della Russia sono chiaramente le forze antiregime moderate, ha preso di mira anche il Fronte Nusra e altri gruppi estremisti. Non vi è alcun dubbio sulle motivazioni della Russia, che si concentrano sull’eliminazione delle minacce al regime di Assad, non a combattere gli estremisti. Ma intensificare il sostegno a tali gruppi estremisti, semplicemente perché la Russia li ha presi di mira, sarebbe una follia; il nemico del mio nemico non è sempre mio amico”. Lo stesso si può dire della situazione in Iraq, altro Paese scelto da Washington come poligono. Il primo ministro iracheno Haydar al-Abadi ha detto che non ha obiezioni sugli aerei russi che colpiscono le posizioni dello Stato islamico sul territorio del suo Stato. Secondo al-Abadi, ha inviato la corrispondente richiesta a Mosca perché utile agli interessi dell’Iraq fare appello a chiunque abbia l’obiettivo di contrastare lo Stato Islamico. Nella precedente intervista a France 24, il leader iracheno ha detto che sarebbe favorevole agli attacchi aerei russi sulle posizioni dello “Stato islamico” in Iraq. Il Ministero degli Esteri russo ha risposto che non esclude la possibilità di attacchi aerei nel Paese nel caso riceva una richiesta dal governo iracheno. Alla domanda sul rischio di attacchi aerei, Ilija Rogachev, direttore del Dipartimento del Ministero per le nuove sfide e minacce, ha detto ai giornalisti, “Se avremo la corrispondente richiesta dal governo iracheno o una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la cui adozione incontra la volontà del governo iracheno… avremo motivi sufficienti, e quindi l’opportunità politica e militare sarà valutata”. La Russia prenderebbe in considerazione la possibilità di estendere gli attacchi aerei sull’Iraq solo se riceve una richiesta ufficiale, ha detto il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov. L’intensa espansione dei contatti militari e politici tra Mosca e Baghdad potrebbe rappresentare un’altra sfida drammatica per gli Stati Uniti. Secondo Deutsche Welle, “un nuovo presidente degli Stato Uniti, non importa chi, non potrà ignorare la leadership russa. Lui (o lei) dovrà fare i conti con essa solo perché la Russia ha un punto d’appoggio in Medio Oriente. Putin riempie il vuoto lasciato dall’amministrazione Obama nella regione, senza problemi. Chi avrebbe mai pensato che il governo iracheno sostenuto dagli USA con il suo esercito sarebbe diventato un alleato della Russia?
Tali fattori spiegano la reazione nervosa di Washington all’operazione militare russa volta a dare stabilità e sicurezza alla regione, le cose di cui al presidente Obama piace così tanto parlare.
La riunione urgente della NATO a Bruxelles è stato un altro buon esempio dei “due pesi e due misure” praticato dalla leadership dell’organizzazione. Invece di studiare i modi d’interagire con la Russia nella campagna aerea contro i terroristi in Siria, la NATO ha deciso di prendere una posizione dura contro Mosca sostenendo di essere quasi pienamente responsabile dell’instabilità della regione. Questo è il risultato della politica attuata da Washington preoccupata dalla crescente influenza della Russia nel strategicamente importante Medio Oriente, e del gioco in proprio che Ankara non perde tempo a giocare. Un aereo russo ha violato lo spazio aereo turco per errore e la Turchia pone l’incidente in cima all’ordine del giorno della sessione della NATO. Nella dichiarazione finale i partecipanti hanno preso atto “dell’estremo pericolo di tale comportamento irresponsabile”. “Le azioni militari russe hanno raggiunto un livello pericoloso con le recenti violazioni dello spazio aereo turco, il 3 e il 4 ottobre da parte di aerei Su-30 e Su-24 dell’Aeronautica russa nella regione di Hatay”, dice la dichiarazione. In realtà il testo riecheggia la versione turca di quanto accaduto, ignorando completamente l’essenza degli eventi in Siria. L’intenzione della Turchia è più che evidente. Il suo obiettivo principale è rovesciare con la forza il presidente siriano Bashar Assad e garantirsi che l’ulteriore sviluppo degli eventi incontri i propri interessi. Ankara sa bene che gli attacchi aerei lanciati dalla Russia complicano tale missione rinviandone l’attuazione per un periodo indefinito. In sostanza, l’alleanza USA-UK-Turchia si forma per contrastare non solo la Russia, ma anche le principali potenze europee, Germania e Francia, per non parlare dell’Europa centrale e orientale. L’establishment politico turco interpreta tale tendenza nel modo seguente: un funzionario degli USA ha detto che non crede che l’incidente sia stato accidentale, accusando la Russia. L’ambasciatore inglese in Turchia Richard Moore ha twittato: “Le incursioni della Russia nello spazio aereo turco sono avventate e preoccupanti. Il Regno Unito e gli altri alleati della NATO sono a fianco della Turchia”. In effetti, Obama ha dato un segnale a reagire così. Inoltre, la Turchia in qualsiasi modo fa sentire la propria voce nella NATO e in contrasto all’Unione Europea, l’organizzazione con cui ha praticamente congelato i rapporti. Secondo le informazioni disponibili, il tacito incoraggiamento del flusso di richiedenti asilo verso l’Europa è visto da Ankara quale leva per influenzare l’Unione europea e farla aderire agli interessi della Turchia. L’obiettivo principale della politica nella NATO è concentrare l’alleanza sulla situazione al confine turco-siriano. Incitando l’isteria antirussa, Ankara cerca di posizionarsi da alleato chiave della NATO nella regione. Utilizza frasi tipiche da solidarietà euro-atlantica per coprire propri piani ed intenzioni reali. In Azerbaigian, Paese amico della Turchia, ne parlano più chiaramente. “La Turchia ritiene che le azioni militari della Russia rafforzeranno Assad. Questo è ciò che la Russia cerca. Dal punto di vista di Ankara, Assad sarà più forte con il totale fallimento della politica turca sulla Siria”, scrive l’agenzia azera Trend.
Più spesso i politici europei hanno giudizi fondati. Ad esempio, il Ministro della Difesa ceco Martin Stropnický ha detto che gli attacchi aerei russi contro i terroristi di Stato islamico potrebbero stabilizzare la Siria. Il funzionario ritiene che sia ragionevole accogliere tutto ciò che può calmare la situazione. Ha indicato come esempio la grave crisi dei rifugiati europea, conseguenza diretta del conflitto in Siria. I membri conservatori del comitato scelto sulla Difesa del Parlamento del Regno Unito sostengono la decisione della Russia di utilizzare la propria Aeronautica per colpire i terroristi in Siria. In particolare, Bob Stewart ha invitato l’occidente ad appoggiare il governo di Bashar Assad affermando che “per sconfiggere il grande Satana potrebbe essere necessario allearsi con il piccolo diavolo”. James Gray, collega al comitato scelto sulla Difesa, ha detto, “Non si può combattere Assad ed allo stesso tempo lo SI”. Julian Lewis, presidente del comitato scelto sulla Difesa, ha riassunto i risultati del dibattito dicendo che a differenza dell’occidente, la Russia ha una strategia coerente sulla Siria. Oggi la strategia costante della Russia in Siria, che si applica a tutto il Medio Oriente, non solo alla Siria, viene intensamente applicata, suscitando il panico totale in occidente. La strategia è ciò che Stati Uniti ed alleati non hanno. Le loro azioni sono per metà motivate dall’interesse a destabilizzare la situazione e creare terreno fertile per il terrorismo, divenuto la principale minaccia per il mondo e l’Europa in particolare. La Turchia gioca il suo gioco che non è per nulla costruttivo e multilaterale. Le classi dirigenti europee sono estremamente riluttanti ad ammettere che gli esperimenti geopolitici occidentali in Nord Africa e Medio Oriente sono direttamente legati ai flussi di centinaia di migliaia di rifugiati, mentre il terrorismo allevato dall’occidente infuria in Siria e in Iraq. Certamente lo capiranno col tempo solo se le élite nazionali che non saranno estromesse da forze politiche più sagaci che danno priorità agli interessi nazionali

https://aurorasito.wordpress.com/2015/10/10/fronte-unito-di-russia-e-siria-contro-il-terrorismo/   

 

            RAGGIUNTO L’ACCORDO?

 

12 febbraio 2016

 

Siria, raggiunto l'accordo a Monaco: "Cessate il fuoco in sette giorni"

Il segretario di Stato Usa, John Kerry: "Garantire da subito l'accesso agli aiuti umanitari". Oggi la task force dell'Onu a Ginevra. Gentiloni: l'accordo riaccende la speranza
Al termine di una lunga notte di trattative è stato raggiunto a Monaco l'accordo sulla Siria: le ostilità dovranno cessare entro 7 giorni mentre fin da subito dovrà essere garantito l'accesso agli aiuti umanitari. E' quanto prevede il documento approvato dell'International Syria Support Group, come confermato dal segretario di Stato Usa, John Kerry. In programma nel pomeriggio a Ginevra una task force dell'Onu per programmare gli interventi umanitari.
 "I membri dell'Issg si impegnano a esercitare la loro influenza per una immediata e significativa riduzione delle violenze che porti alla fine delle ostilità in tutta la nazione entro una settimana", si legge nell'atto finale.

 

"Guerra avvantaggia solo estremismo" - "Più a lungo dura la guerra più ne approfittano gli estremisti", ha spiegato Kerry, sottolineando come tutti abbiano capito la grande importanza di questo momento. "Ci sono stati dei progressi e questo migliorerà la vita quotidiana dei siriani".

 

Il gruppo internazionale di sostegno alla Siria è stato costituito nel mese di novembre, poco dopo l'inizio dei colloqui di pace a Vienna, per risolvere la crisi siriana.

 

Task force Onu per garantire aiuti - L'Onu venerdì alle 16 riunirà a Ginevra una task force umanitaria composta da membri del gruppo di sostegno alla Siria, a cui verrà sottoposto un piano delle Nazioni Unite di interventi umanitari.

 

Gentiloni: accordo riaccende la speranza - "Aiuti umanitari entro domenica e una settimana per fine ostilità. La nottata diplomatica qui a Monaco ha riacceso la speranza": il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha commentato così, sul suo account Twitter, l'accordo sulla Siria raggiunto la notte scorsa a Monaco.

 

Lavrov: "Basta accuse a Mosca" - A margine dell'incontro di Monaco, il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha difeso Mosca: "I russi sono colpiti da mesi da accuse senza fondamento. E' solo propaganda. Era un sistema tipico dell'Unione Sovietica, noi l'abbiamo abbandonato ma ci sono molte manifestazioni di trend del genere nei media di altri Paesi". Poi ha aggiunto: "Invece di puntare il dito contro, bisognerebbe dire che abbiamo un nemico comune e trovare soluzioni".

http://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/siria-raggiunto-l-accordo-a-monaco-cessate-il-fuoco-in-sette-giorni-_2159857-201602a.shtml

 

 

 I media ingannano l’opinione pubblica sulla Siria

 

Quelli che non condannano il nazismo

All'ONU la Russia propone una condanna del nazismo. Ucraina, USA e Canada votano contro. L'Italia si astiene, con l'Europa. Capire dove si sta andando [Giulietto Chiesa]
 
di Giulietto Chiesa.

 
Una commissione delle Nazioni Unite ha esaminato recentemente un documento di condanna della glorificazione del nazismo. Qui di seguito il testo: 
http://daccess-ods.un.org/TMP/3963157.5345993.html

 
Il voto finale ha prodotto questo risultato: 115 voti a favore, 55 astenuti, 3 voti contrari. I tre voti contrari sono stati quelli di Ucraina, Stati Uniti e Canada. L'Italia - nella sua qualità di presidente di turno dell'Unione Europea -  ha dichiarato la propria astensione, trascinandosi dietro tutti i paesi europei. 

 
La dichiarazione di voto italiana merita di essere qui riportata in base al resoconto sintetico che ne ha fatto lo stesso uffico stampa dell'ONU
"Spiegando il voto, ad avvenuta votazione, il rappresentante dell'Italia, che parlava a nome dell'Unione Europea, ha detto che l'Unione è impegnata a combattere il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e le correlate intolleranze, mediante sforzi generali a livelli nazionali, regionali e internazionali. I singoli stati sono stati liberi di decidere il contenuto del testo della risoluzione, tuttavia l'Unione ha avuto dubbi circa la sincerità del testo, visto che il sostenitore principale della risoluzione ha violato i diritti umani".
 
Si noti che il rappresentante italiano ha evitato accuratamente di nominare il nazismo. E si capisce bene perché, avendo l'Unione Europea stretti rapporti con un governo  - quello ucraino - che include forze apertamente inneggianti al nazismo.  L'argomentazione usata è, del resto, non solo puerile, ma completamente ridicola perfino sul piano diplomatico. Se il voto di una qualsivoglia risoluzione fosse subordinato all'accertamento della buona fede del proponente, con ogni evidenza, non vi sarebbe nessun voto possibile in nessun consesso internazionale. In questo caso il proponente era, evidentemente, la Russia, non la potenza che tiene aperto il campo di prigionia di Guantánamo.

 
Impressionante lo schieramento dei tre voti contrari, con Stati Uniti e Canada principali e unici sponsor dell'Ucraina.
E particolarmente pregnante la dichiarazione di voto del rappresentante ucraino. Il quale ha dichiarato il voto contrario in questo modo: 
"Lo stalinismo (sic) ha ucciso molte persone nei Gulag, e ha condannato Stalin e Hitler come criminali internazionali. Ha invitato la Federazione Russa a smetterla di glorificare e di incrementare lo stalinismo. Per queste ragioni ha detto di non poter appoggiare il documento. Ogni intolleranza va affrontata in modo  equilibrato e appropriato. E' errato manipolare la storia in favore della propria agenda politica. La Federazione Russa sta sostenendo gruppi neo-nazisti e nazionalisti in Crimea. Annuncia il voto contrario dicendo che la risoluzione contiene un messaggio errato."
 
Chiunque può trarre le sue conclusioni da queste dichiarazioni che coprono di vergogna, almeno storicamente parlando, l'Occidente. 
Ma, per  provare vergogna, occorre conoscere i fatti. E i fatti resteranno sconosciuti ai più. Infatti questa notizia, insieme ai particolari che qui abbiamo fornito, è stata ignorata da tutti i quotidiani italiani e da tutte le televisioni italiane.