Spazioamico

RASSEGNA STAMPA

PRESENTAZIONI

ATEI  e AGNOSTICI

MEMORIE

                                                                    RASSEGNA STAMPA     Iran

 Iran                                                 vedi anche Afghanistan     Siria   e  Egitto,_Tunisia_Libia.htm

INCONTRO INTERNAZIONALE DEI PARTITI COMUNISTI E OPERAI - ATENE 9-11/12/2011

RISOLUZIONE - IN OPPOSIZIONE ALLE MINACCE DI INTERVENTO MILITARE IN IRAN

"I nostri soldati restano", titola la Repubblica per l'intervista concessa dal premier Conte.
Praticamente l'Italia sta violando ogni norma del cosiddetto diritto internazionale, infischiandomene della decisione del parlamento dell'Iraq che chiede il ritiro di tutte le truppe straniere, violando l'articolo 11 della Costituzione e confermando il ruolo delle nostre truppe come forze di occupazione.
Quali saranno le tragiche conseguenze di questa scelta per la pace, per il popolo iracheno, per i soldati italiani ed anche per la sicurezza interna al nostro Paese? Pur di seguire supinamente le scelte folli degli USA, della Nato e della UE il governo sceglie di esporre gli Italiani a questi rischi, tace l'inutile ministro Di Maio, tacciono le opposizioni 'sovraniste di cartone' di Salvini e della Meloni, tace la sinistra, sia quella istituzionale che quella 'ittica'. Tutti complici, ognuno per il proprio misero tornaconto. Di fronte a questo possibile scenario di enorme rischio serve coraggio politico e senso di responsabilità verso il Paese. Il Partito Comunista chiede il «ritiro immediato dei nostri soldati», nell'ambito dei compiti che sono assegnati dalla Costituzione. Via le basi militari USA dall'Italia. Fuori dalla Nato, dalla UE, dall'Euro, perché a decidere siano i lavoratori, cioè chi produce davvero la ricchezza del Paese.
    QUI

Milioni di persone hanno partecipato al funerale del Martire Qassem Soleimani.qui

Barbara F Passera

In questi giorni ho letto le peggiori castronerie sul Martire Qassem Soleimani: che era un "terrorista islamico" che ha ucciso personalmente milioni di israeliani e di altre persone con il loro credo in giro nel mondo, che ha brutalmente ammazzato i "poveri ribelli moderati" (di Al Qaeda, come ormai tutti sanno) che cercavano la "democrazia" in Siria, che si divertiva a trucidare i bambini e, la "migliore", che era membro della Fratellanza Musulmana.
Purtroppo anche da parte di persone che ritenevo mediamente intelligenti.
Se non conoscete i fatti, tacete.
Non è necessario addentrarsi in discorsi che sapete argomentare solo con immani cazzate.
E abbiate almeno l'umiltà di vergognarvi e di chiedere scusa.
Perché la diffamazione è un reato penale e la verità è un dovere morale.
لقد قرأت في هذه الأيام أسوأ الأسوار على الشهيد قاسم سليمانى: إنه "إرهابي إسلامي" قتل شخصياً ملايين الإسرائيليين وغيرهم من الناس بمعتقداتهم في جميع أنحاء العالم ، الذين قتلوا بوحشية "المتمردين المعتدلين الفقراء" (من القاعدة) الذين سعوا إلى "الديمقراطية" في سوريا ، والتي تمتعت بقتل الأطفال ، و "الأفضل" ، الذي كان عضواً في جماعة الإخوان المسلمين. لسوء الحظ ، أيضا من قبل الناس اعتقدت كانت ذكية عموما. إذا كنت لا تعرف الحقائق ، فالتزم الصمت. ليس من الضروري الدخول في الخطب التي لا يمكنك أن تجادل فيها سوى هراء ضخم. وعلى الأقل التواضع للخجل والاعتذار. لأن التشهير جريمة جنائية والحقيقة واجب أخلاقي.
   QUI       

 

 

Putin e Netanyahu distanti sull'Iran  qui

INCONTRO INTERNAZIONALE DEI PARTITI COMUNISTI E OPERAI - ATENE 9-11/12/2011

RISOLUZIONE - IN OPPOSIZIONE ALLE MINACCE DI INTERVENTO MILITARE IN IRAN
https://www.resistenze.org/sito/te/po/in/poinca11-010279.htm?fbclid=IwAR2XE271GkE_ESDfPBDY2SkBEHPt6fhgxgtXKGix3fhv3uFrDrogW5dH814   

 

Versione integrale del discorso di Ahmadinejad alle Nazioni Unite

Il Tudeh condanna con forza gli attacchi terroristici di DaeshIn Iran un tentativo di colpo di stato di Domenico Losurdo

 di Tommaso Di Francesco

 Sscritto da Thierry Meyssan Sabato 18 Settembre 2010 00:06 sul sito megachip

a

Ahmadinejad all’Onu: pari opportunità per tutti gli Stati di Alessia Lai21 settembre 2010

 . lunedì 20 settembre 2010

Iran / Onu: versione integrale del discorso del Presidente Mahmoud Ahmadinejad

 ANSA) - ROMA, 19 SET 2010- Sakineh Mohammadi Ashtiani 'non e' mai stata condannata alla lapidazione''. Lo ha detto il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad.

 

La notizia, ha aggiunto Ahmadinejad, e' un'invenzione e non e' corretta. 'Sfortunatamente, - ha riferito il presidente alla rete Usa Abc - l'Occidente, influenzato dai media Usa... e' stato contaminato dai politici americani, per rendere questa una notizia''. leggi 

Mentre l'Occidente si é vergognosamente prestato a manifestazioni bipartisan di una campagna di odio contro l'Iran diffondendo una notizia falsa, Israele e la Nato preparano un attacco che Gore Vidal prevede prossimo appostando navi da guerra nel mare antistante l'Iran. <<Nessun paese del Primo Mondo si era mai prestato  prima a eliminare così totalmente ogni obiettività da tutti i suoi mezzi d'informazione.>> (Gore Vidal)

 

Una gigantografia di Sakineh, oltre che allo Steri, pende a Palermo dal Castello Utveggio al posto di quella che ci dovrebbe stare: una gigantografia di Falcone e Borsellino

_____________________________________________

 di Claudio Moffa

Agosto 2010 "La condanna a morte di Sakineh è stata già annullata il 9 luglio scorso e quindi tutti gli "appelli" sono non solo inutili ma anche ridicoli; inoltre mai viene ricordato che in Iran è in vigore da tre anni una moratoria voluta proprio dal "mo...stro" Ahmadinejad,per effetto della quale ogni condanna a morte per lapidazione viene poi annullata in secondo grado di giudizio. La lapidazione, è bene ricordarlo, sopravvive nella legislazione in quanto residuo di un'antica usanza, ma unicamente in pochissime zone rurali, difatti il tribunale che ha giudicato e condannato Sakineh non ha niente a che fare con il Governo Iraniano ma è un Tribunale locale nella regione autonoma di Tabriz.In ogni caso le notizie sull'Iran sono sempre distorte dai mezzi di informazione perché è necessario "preparare" l'opinione pubblica alla guerra imperialista che intendono scatenare contro quel paese."

La campagna di odio e di disinformazione che si fa attorno all'Iran ricorda molto quelle contro Allende, contro Castro, contro Milosevic, contro ...Sadam Hussein. Posso immaginare cosa direbbe oggi Oriana Fallaci che tanto male ha fatto alla causa della comprensione tra le culture ed i popoli.

___________________________________________

 di Michel Collon e Gregorie Lalieu ****

Gigantografie Lettera al Rettore dell'Università di Palermo di Pietro Ancona

di Ángel Guerra Cabrera   

 

 

  DI MIKE WHITNEY
 

 

   di Daniele Scalea 

 di Domenico Losurdo e Gianni Vattimo, «il manifesto» del 9 febbraio, p. 10

      

  Iran, rivoluzione verde

 

  di Massimo Fini del 18/02/2010                      Conoscete il 

; questa volta in Iran  28 giugno 2009

L'Iran ha diritto all'atomica di Pietro Ancona   

Un mostro fuori controllo? La minaccia nucleare israeliana di Alan Hart - 31/01/2010

  - un articolo di Fosco Giannini e Mauro Gemma, su La Rinascita della Sinistra, settimanale del PdCI

 ,  

 Con Ahmanedinejd per la libertà dell'Iran di Pietro Ancona

IL CAPO DELLA RIVOLUZIONE LIBERAL IN IRAN
  giugno 2009 di Fabristol

EURASIA   Rivista di studi geopolitici      24 Giugno 2009 di Enrico Galoppini

 

 27 giugno 2009 Domenico Losurdo

 27/6/2009

 25/06/2009   Pietro Ancona

  

  22/06/2009   Pietro Ancona

Il golpe di Mousavi e della Cia 21/06/2009   Pietro Ancona 

  21/06/2009

la guerra preventiva degli Usa con l'Iran 19/06/2009   Pietro Ancona

  Pietro Ancona 19/06/2009

Elezioni in Iran e l'invidia rapace dell'Occidente  Pietro Ancona  June 13, 2009

Iran Cia e Mossad e Ned tra tulipani, rose, e colori vari  Pietro Ancona  16-06-2009

    

  

  
 
di Noam Chomsky*

Liberazione       

  


Noreena Hertz 6 aprile 2006

  vedi anche            

 

 

 

IRAN la destra e ..... la sinistra
 
ANSA) - PARIGI, 8 FEB - Francia e Usa intendono lavorare in seno al Consiglio di sicurezza Onu per ottenere sanzioni contro il programma nucleare dell'Iran

Iran, Frattini: "Servono sanzioni"

 

"Da Teheran provocazioni inaudite"

"Nei confronti dell'Iran credo che sia il tempo delle sanzioni". Lo ha detto il ministro degli Esteri, Franco Frattini, 10/2/2010

Iran.   - Ian Morrison  il Manifesto, 9 febbraio              Sosteniamo anche Musavi, perché è rimasto fermo e risoluto a difesa del popolo: finché continua così, merita tutto il nostro sostegno.

Quanche tempo fa Martino Mazzonis su Liberazione  Il rispetto dei diritti umani, quello sì, la comunità internazionale deve chiederlo. Magari inasprendo le sanzioni economiche. Per fare una scelta così servirebbe che le grandi potenze fossero d'accordo.
 
 in una lettera di Marcello Buttazzo a Liberazione
<<L’Ue, l’America, tutta la comunità internazionale non possono tergiversare, non possono stare alla finestra o guardare il precipitare degli eventi....... L’Iran brucia e l’Occidente non può solo condannare formalmente, perché le strade insanguinate di Teheran sono le nostre strade, il nostro stesso universo offeso, mortificato>>
 
 i

Mentre tutto l'occidente strepita contro l'Iran e invoca sanzioni per strangolarlo, la signora filoamericana Timoscenko, sebbene abbia perso le elezioni, rifiuta di abbandonare il potere e di cederlo ai legittimi vincitori. Ma questo non desta scandalo
e non preoccupa le anime belle amanti della libertà
 
Le anime belle che sono preoccupate per la libertà degli iraniani farebbero bene a dedicare un po' di attenzione e magari qualche momento di lotta a due milioni di esseri umani condannati a morte nella striscia di gaza dalla quale non possono scappare
 
 
Pietro Ancona

          

4 idee chiare di Pietro Ancona  sull’Iran

 

<<Conosco la posizione  anti geopolitica che vorrebbe prescindere dai rapporti di forza internazionali per richiamare l'attenzione soltanto sui rapporti di classe interni e sui contenuti delle lotte indipendentemente dal fatto che coincidano o meno con gli interessi dello imperialismo. Questa

posizione è sbagliata e serve solo a giustificare lo spostamento del PRC sotto lo scudo del Patto

Atlantico per dirla con Berlinguer. Non si può spacciare una politica estera bipartisan con la destra italiana per lotta alla tirannia e di classe!!! Questa linea bipartisan è apparsa chiaramente nella polemica della Menapace con padre Zanotelli.

Nel merito dell'Iran la posizione è anche menzognera dal momento che spaccia il golpe continuato di Mousavi e Rafsanjani per il movimento di libertà e democrazia.  Se in Iran fossero le rivendicazioni dei giovani protagoniste della "rivoluzione" e tutto fosse interno ad un movimento antiimperialistico sarei certamente d'accordo. Ma non è così. I capi della rivolta sono  vecchi e sanguinari arnesi del regime che si sono messi come Abu Mazen al servizio del nemico dell'Iran e dell'umanità.

Purtroppo queste forze è probabile che vincano. Ai  giovani resteranno in mano un pugno di mosche.

Non identifico nella "rivoluzione verde" che una manovra con  altri mezzi del colpo di stato

in Honduras. (del quale non si parla!).

Dismettendo la visione globale degli interessi del socialismo e la giusta valutazione degli  interessi geostrategici dell'occidente, porterete acqua al mulino di coloro che hanno in atto dislocato nella zona oltre duecentomila soldati armati fino ai denti e forse altrettanti contractors che ogni notte in Iraq ed Afgghanistan danno vita ad eccidi di massa come del resto gli USA sono abituati a fare da sempre in America Latina.

Uno dei capi del tentato golpe è tra le prime cariche dello Stato. Rafsanjani è il ricchissimo proprietario di trecento università private. Mousavi è noto per avere foraggiato i contras contro il legittimo governo sandinista del Nicaragua.
 E' legittimo supporre che abbiano  stretti legami con i servizi segreti occidentali che puntano ad insediare in Iran un Quisling, un Petain da aggiungere ai  Quisling ed ai Petain  al vertice di Iraq ed Afghanistan e della Cisgiordania.
 Se il golpe sarà sconfitto, (la cosa non è certa), non è da escludere iniziative militari dirette o indirette dello Occidente per ridurre l'Iran al servizio degli interessi geostrategici e delle multinazionali dell'imperialismo.>>

­­­­­­­­­­­­­­­­­­­_________________________________________________________

 

<<L’alternativa non è tra il regime teocratico e le masse assetate di libertà ma tra l’Iran autonomo  e Mausavi agente americano!


Irak ed Afghanistan hanno due regimi fantocci travestiti di democrazia diretti dagli Usa e dalla Nato. Dobbiamo farne un terzo?
La tristissima esperienza della Palestina di Abu Mazen dimostra che la scelta di una direzione “moderata e filooccidentale” non c
ambia niente e non ottiene niente. L’Occidente non ha rispetto per niente, vuole solo espandere i suoi interessi economici e militari.>> 

 

 

 La rivoluzione ingannata  22/06/2009
======================
   Gli obiettivi della  "rivoluzione" in corso in Persia non sono libertà, democrazia  eguaglianza sociale, laicizzazione dello Stato e separazione della religione dalla politica. Niente di tutto questo certamente assai presente nell'animo dei tantissimi giovani che sfidano il Regime è presente e ravvisabile nelle parole d'ordine imposte da chi ha fatto la "griffe" ed ha assegnato un colore  (verde) alla rivolta. Le parole d'ordine sono: Morte ad Ahmaninejd e potere a Mousovi. La rivoluzione è scoppiata a causa di una profonda frattura interna
all'estambliscement del Regime da coloro che aspirano alla collaborazione con Israele e l'occidente, a spartire con le multinazionali la ricchezza escludendone il popolo e lo Stato a vantaggio di una oligarchia già assai potente. La rivoluzione è  nelle loro mani. I giovani sono soltanto carne da macello da immolare per svergognare il Regime.
  Uno dei capi del tentato golpe è tra le prime cariche dello Stato. Rafsanjani è il ricchissimo proprietario di trecento università private. Mousavi è noto per avere foraggiato i contras contro il legittimo governo sandinista del Nicaragua.
 E' legittimo supporre che abbiano  stretti legami con i servizi segreti occidentali che puntano ad insediare in Iran
un Quisling, un Petain da aggiungere ai  Quisling ed ai Petain  al vertice di Iraq ed Afghanistan e della Cisgiordania.,
 Se il golpe sarà sconfitto (la cosa non è certa) non è da escludere iniziative militari dirette o indirette dello Occidente per ridurre l'Iran al servizio degli interessi geostrategici e delle multinazionali dell'imperialismo.
http://www.altrainformazione.it/wp/2009/06/17/una-connessione-tra-mir-hossein-mousavi-e-lirangate/

Pietro Ancona

_____________________________---

 June 21, 2009 3:54 PM
 Il golpe di Mousavi e della Cia


altre considerazioni sul golpe di Mousavi



Il golpe tentato da Mousavi con l’appoggio anglosassone forse fallirà ma comunque ha già ferito l’Iran. L’Iran da sempre è preda dell’Occidente per via del petrolio ed ora della sua posizione strategica nel mondo globalizzato. L’Occidente non avrà pace fino a quando non lo ridurrà in macerie come Gaza, come l’Irak, come l’Adghanistan. Sempre in nome della libertà e della democrazia….. Escludere aprioristicamente l’intervento della Cia o del Mossad è davvero irrazionale ed è comunque diventata una moda. Le sollevazioni dei contadini colombiani contro il regime militare vengono subito coperte dal silenzio delle batterie massmediatiche dell’occidente e duramente represse con le torture e la morte. Ma i contadini colombiani non contano niente per la sinistra italiana che oggi si rinnova accettando il libero arbitrio delle masse iraniane che si sono mosse spontaneamente ed in nome della libertà contro il Regime.
Riflettete: l’alternativa non è tra il regime teocratico e le masse assetate di libertà ma tra l’Iran autonomo e Mausavi agente americano!
Irak ed Afghanistan hanno due regimi fantocci travestiti di democrazia diretti dagli Usa e dalla Nato. Dobbiamo farne un terzo?
La tristissima esperienza della Palestina di Abu Mazen dimostra che la scelta di una direzione “moderata e filooccidentale” non cambia niente e non ottiene niente. L’Occidente non ha rispetto per niente, vuole solo espandere i suoi interessi economici e militari.
http://wapedia.mobi/it/Rivoluzioni_colorate

pietro ancona

  Iran Cia e Mossad e Ned tra tulipani, rose, e colori vari  Pietro Ancona

Chissà quale nome ha in codice e quale colore ha dato la Cia alla "rivoluzione" iraniana. In Georgia, per cacciare via Sevardnadze e mettere al suo posto Saakasvile assai più servile dell' orgoglioso  ex Ministro agli Esteri di Gorbaciov, si diede vita ad una operazione denominata "Rivoluzione delle Rose". In Ucraina l'operazione Cia si chiamò "rivoluzione arancione" e si vedevano in tv enormi attendamenti di colore arancione, abitate da dimostranti vestiti di arancione, che agitavano  stendardi arancione. Qui come in Georgia la ciambella riuscì con il buco ed il candidato filooccidentale ottenne la ripetizione delle elezioni e la vittoria.  C'è stata una rivoluzione dei "tulipani" in Kirghizistan anche questa coronata dal successo del filooccidentale che poi si è installato al potere con il  novanta per cento dei voti (non controllato da nessuno)
 Qualche ciambella però è venuta senza buco come in Birmania dove sono stati inquadrati e mobilitati i monaci buddisti contro il regime che non permette penetrazione degli interessi americani. Abbiamo anche avuto la recita dello stesso copione in Bielorussia con la rivoluzione dei "Jeans" ed in Mongolia, in Serbia, dappertutto gli americani ed i loro alleati hanno ritenuto di dover destabilizzare governi e nazioni considerati se non veri e propri stati-canaglia perlomeno non funzionali al loro dominio imperiale. In occasione delle Olimpiadi fu intensissima la mobilitazione dei seguaci del DalaiLama per avvelenare alla Cina il successo internazionale e destabilizzare il Tibet teatro di pogrom di monaci armati dalla Cia  contro i civili cinesi.
  Esistono teorie e manuali su questa strategia adottata dagli Usa in alternativa ai bombardamenti ed alle occupazioni militari che a volte risultano troppo costosi. Teorici come Gene Sharp hanno scritto manuali che propongono ed analizzano le sequenze di una destabilizzazione dalla denunzia dei brogli alla disobbedienza civile alle manifestazioni di piazza, agli assedi dei Parlamenti e dei Governi.
  La giustificazione dei movimenti di rifiuto del responso elettorale e di denunzia dei brogli e richiesta o di ripetizione delle elezioni o di immediato riconoscimento del leader della "rivoluzione" è sempre la stessa: difesa della democrazia e della libertà, lotta al tiranno o ai tiranni, rinnovamento in senso filooccidentale dello Stato. Se analizziamo le conseguenze che si sono registrate dove questi movimento hanno avuto successo notiamo la massiccia penetrazione di multinazionali e di interessi stranieri e la svendita delle risorse locali al mercato oligopolistico.
  In Iran l'operazione Cia-Mossad è stata eseguita da maldestre maestranze capeggiate da Maussavi. Questi, ad urne ancora aperte, si è autoproclamato vincitore e  ha dato il via a violente agitazioni dei suoi seguaci con assalti ai negozi ed alle banche e falò nelle pubbliche piazze.  Una vera e propria insurrezione contro il responso elettorale mancata, ma che sarà ampiamente sfruttata dal potentissimo apparato massmediatico occidentale per gridare al regime che si macchia le mani di sangue e che organizza la repressione. Le urla di brogli elettorali non sono convincenti ed il broglio non viene invocato da tanti opinionisti dell'occidente che si limitano a sottolineare la delusione o la sconfitta di Obama per la riconferma di  Ahmadinejad e quanto possa essere sgradevole il regime iraniano. Israele ha già ribadito al mondo intero la sua proposta di distruggere l'Iran prima che possa dotarsi di armamento nucleare e molti incitano l'Occidente a menare le mani, a liquidare l'autonomia della nazione persiana.
  Credo che questa "rivoluzione" frutto di collaudate e sofisticatissime metodologie di penetrazione e rovesciamento non riuscirà dal momento che  non si potranno sfruttare situazioni come quelle date dai sentimenti antisovietici delle repubbliche caucasiche e l'Occidente è sempre più nudo e smascherato nella sua voglia di potenza e di sopraffazione.
pietroAncona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
 

Elezioni in Iran e l'invidia rapace dell'Occidente June 13, 2009  Pietro Ancona


 LE ELEZIONI IN IRAN E L'INVIDIA RAPACE DELL'OCCIDENTE
===================================================


Le immagini che arrivano dall'Iran (che io chiamerei Persia in onore della sua antichissima civiltà) che vota sono davvero un documento civile di eccezionale valore. Siamo  davanti ad un popolo che con grandissimo entusiasmo e partecipazione  ha dato vita al rito più importante della democrazia, il rito del voto, del recarsi in  un luogo stabilito dove stanno le urne, fare la fila per poi esprimere la propria volontà sul governo della nazione. Questo entusiasmo,confrontato alla stanchezza della sfregiata democrazia italiana, ci fa capire di quanto siamo stati allontanati dall'esercizio concreto dei nostri diritti.
Una nazione giovane  fatta di sessantasemilioni di persone dall'età media di 27 anni ( in Italia 43 anni!) proiettata verso il futuro, una nazione sopravvissuta ad un secolo di massacri e di spoliazioni del colonialismo anglosassone e tedesco ed alla guerra dolorosissima durata quasi dieci anni provocata dall'Irak che ha causato oltre un milione di morti, milioni di invalidi e mutilati per sempre, molte vittime delle armi chimiche fornite dagli USA a Sadam Hussein.
Questa nazione tanto ricca di gioventù, con università piene zeppe di ragazze, aperta al mondo con oltre ventidue milioni di utenti internet, è  stata per anni nel mirino di Bush che l'ha assediata e  non l'ha aggredita per mancanza di mezzi e  perchè non poteva delegare l'attacco alla sola Israele che tuttavia non esiterebbe un solo istante ad azzannarla e si prepara ogni giorno all'ora x con esercitazioni navali e terrestri.
La Persia ha una antica voglia di democrazia e di libertà. Ricordo per tutti il Primo Ministro Mossadek al quale gli americani fecero fare la fine di Allende per gli interessi delle compagnie petrolifere e poi installarono
al potere lo Scià, un individuo feroce, sanguinario, ligio ai padroni mondiali del petrolio. Mossadek aveva aperto la strada ad una rivoluzione democratico-borghese che, se aiutata a radicarsi, avrebbe cambiato il volto dell'intera regione medioorientale ma fu rovesciato ed ucciso da un complotto organizzato dalla Cia. La rivoluzione religiosa che ha portato al potere l'attuale regime parte dalle stesse motivazioni profonde della Persia che Mossadek avrebbe voluto ma si è materializzata in uno Stato che comunque evolve verso forme superiori di civiltà e di democrazia se l'assedio, il malanimo, l'ostilità dell'Occidente non la costringeranno a difendersi ed a spendere sopratutto nelle armi le risorse che si potrebbero destinare alla cultura ed al progresso civile.
L'invidia dell'Occidente per il possibile itinerario di progresso e di benessere della Persia susciterà tensioni e forse nuove guerre. E' destino di tutte le Nazioni che si sottraggono all'abbraccio mortale dell'imperialismo Usa essere riportate alla loro preistoria, all'anno zero. Il Libano dei meravigliosi cedri per ben due volte è stato raso al suolo dagli israeliani. La sua prosperità è stata distrutta e ridistrutta con sadico piacere di gente come Condolence Rice che si fece una storica passeggiata nel corso di Beirut fiancheggiato a destra ed a inistra da palazzi in fiamme o ridotti in macerie. L'Iraq di Sadam  Hussein era un treno in piena corsa con una alfabetizzazione elevatissima, migliaia e migliaia di ingegneri, di tecnici, scienziati, centri culturali pulsanti di vita. Ebbene, dopo essere stato spinto alla guerra contro l'Iran è stato distrutto dagli USA ed i suoi volenterosi alleati da  guerra interminabile e tuttora occupato da un esercito di occupazione fiancheggiato da contractors, spesso killers assassini con licenza di uccidere. Maddalena Albright dichiarò senza provocare alcun rimorso che i cinquecentomila bambini irakeni morti a causa dell'isolamento del boicottaggio erano "un prezzo" da pagare agli interessi degli USA e del "mondo libero"!!!
 Insomma, se qualcuno comincia ad alzare la testa ed a partecipare al progresso, viene subito fatto regredire
alla condizione della massima emarginazione economica sociale e culturale.
Avevo sperato nelle dichiarazioni di Obama all'Università del Cairo e vorrei continuare a sperare. Ma ritengo che non farà niente di diverso dal suo predecessore. Democratici o Repubblicani fanno la stessa politica estera e magari quella repubblicana, a volte, ha maggiore apertura dal momento che non hanno l'ansia dei democratici di mostrarsi abbastanza "patriottici".
Pietro Ancona

*************

June 20, 2009 2:21 PM
Subject: la guerra preventiva degli Usa con l'Iran  Pietro Ancona


La guerra preventiva degli USA con l'Iran
================================

 Gli Usa escono allo scoperto per spalleggiare apertamente il golpe "populista" del loro quisling Mausavi che, appena iniziato lo spoglio, si era proclamato subito immediatamente vincitore per dare il via alla grande eversione antidemocratica di questi giorni. Non ci sono dubbi sulla vittoria di Ahmaninejad come ben sanno gli stessi americani che avevano monitorato le elezioni con ben due sondaggi di pubblico dominio. Ma tutto era stato preparato minuziosamente per dare vita ad una "rivoluzione colorata" come le tante che abbiamo visto e che sono state dimenticate presto dalla opinione pubblica occidentale sempre pronta a difendere  libertà e democrazia dei cattivi di turno o trattati come tali dagli Usa. Ieri il Congresso americano, dopo avere stanziato altre centoseimiliardi di dollari per le guerre con l'Iraq e l'Afghanistan ha espresso simpatie per la
"rivoluzione"iraniana ed oggi Obama-Bush che fino all'altro ieri si dichiarava indifferente e pudicamente guardava da un'altra parte ricordando che per lui Mousavi equivaleva ad Ahmaninejad oggi minaccia lo Stato iraniano dicendo di stare attento perchè gli occhi del mondo sono tutti fissati su di lui. Questa uscita di aperto
appoggio smaschera la natura di sovversismo e di tradimento della patria  del movimento "verde" ma dimostra anche la difficoltà a fare come in Ucraina, in Georgia, in Bielorussia ed altrove...
  Gli Usa sono in guerra preventiva con tutto il mondo. La loro pax è fatta di distruzioni, montagne e montagne di cadaveri, bombardamenti, occupazioni militari, asservimento colonialistico, inquinamento, distruzione dei
beni archeologici e della storia dell'umanità. Ma anche di "rivoluzioni colorate". Le uniche nazioni che "rispettano" sono quelle che hanno affidato
dopo l'intervento degli squadroni della morte ad incalliti criminali, a regimi militari come quello colombiano che tiene in galera diecine di migliaia di contadini dopo averli depredati delle loro terre assegnate alle loro multinazionali. Il pianeta è stretto in una rete di basi militari Usa che hanno lo scopo di controllare innanzitutto la nazione dove sono collocate. In Italia le basi militari ed i depositi nucleari USA servono innanzitutto a controllare la fedeltà del nostro Paese. L'Iran  (lo chiamerei volentieri Persia) non minaccia nessuno ed è minacciato da vicino da una Israele dotata di oltre mille testate nucleari e di un esercito tra i più potenti del mondo.
  L'Iran è in pericolo come lo sono la Russia, la Cina, l'India e tutti i paesi che non sono stati marchiati dalla presenza di una base militare Usa. Ma forse questa ennesima ciambella al signor  Obama- Bush terzo non riuscirà con il buco.
   
Pietro Ancona
____________________________________________________________________________--


 June 19, 2009 7:42 AM
Subject: Gli USA e LA GUERRA   Pietro Ancona



CENTOSEIMILIARDI DI DOLLARI PER LA GUERRA
========================================

 Il mondo bipolare uscito dalla seconda guerra mondiale era certamente assai più sicuro del mondo unipolare
in cui abitiamo dal 1990. La fine dell'Unione Sovietica non ha generato la fine della storia ma l'inizio di una dominazione alla quale gli USA si erano preparatI nei cinquanta anni precedenti con numerose iniziative militari e politiche tutte rivolte all'affermazione della loro assoluta supremazia militare, economica e politica.
 Dall'alternanza di Presidenti democratici a Presidenti  repubblicani non c'è molto da aspettarsi. La strategia USA è di lungo periodo, può subire variazioni o attenuazioni,  ma non viene meno ad i suoi obiettivi fondamentali di dominazione imperiale.
Tutto il mondo dove gli USA sono riusciti ad allungare le mani è in una rete fittissima di  loro basi militari che si allargano con l'espansione della  loro influenza politica. Dovunque si incontrano resistenze o ostilità sono pronte opzioni di intervento che possono essere militari o politiche. In Polonia e Cecoslovacchia si sfrutta il sentimento anticomunista delle popolazioni per installare basi missilistiche praticamente a ridosso della Russia la quale, peraltro, individuata come obiettivo da abbattere o da  sottomettere è già dentro un grande reticolato di basi strategiche installate dagli Usa negli ultimi anni in tutte le Repubbliche ex sovietiche a volte dopo la sostituzione incruenta ma manovrata dei governi attraverso le rivoluzioni colorate.
  Gli USA non hanno mai ritenuto di dare spiegazioni al mondo della  occupazione dell'Iraq dopo la diffusione
della verità sulla inesistenza delle armi di distruzione di massa. Si sono resi responsabili del macabro rito di potere della impiccagione di Sadam Hussein e della distruzione del governo e della classe dirigente irakena.
Mi hanno  molto colpito le carte di poker con le immagini dei "ricercati" distribuite ai soldati ed ai contractors  quasi si trattasse di selvaggina da cacciare. Non ha alcuna giustificazione l'invasione dell'Afghanistan dal momento che è ridicola la tesi dei talebani che minaccerebbero la sicurezza del pianeta con il loro terrorismo!
 Oramai è abbastanza accettata una spiegazione dell'11 settembre che esclude il complotto  "terroristico" mentre continuano a risultare assai ambigui i rapporti degli USA con Bin Laden. Altre guerre sono in preparazione in Africa per costringerla  dentro binari rirogosamente filo occidentali Il Congresso .ha approvato  la spesa di 106 miliardi di dollari per la guerra in Iraq ed Afghanistan e varato blande norme per il controllo dei mercati finanziari preda delle scorrerie di finanzieri privi di scrupolo che hanno piazzato patacche  in tutto il mondo e provocato la crisi che ne ha  messo in ginocchio l'economia.
  Fa senso e mette paura la decisione di continuare a bombardare ed occupare due grandi nazioni islamiche stanziando enormi cifre che vengono sottratte al welfare necessario ad una America priva di servizio sanitario, priva di ammmortizzatori sociali, con centinaia di migliaia di famiglie che vivono in tenda non potendo più permettersi una casa.
  Cìè da chiedersi a chi serve tutto il potere militare ed economico che gli USA si sono procurati e continuano a procurarsi nel mondo se la popolazione americana nella sua stragrande maggioranza  vive in condizioni di grande disagio e soltanto le multinazionali e la casta militare-industriale ne ricavano vantaggi. Gli stanziamenti
per finanziare le guerre sottraggono risorse ad una nazione in cui la solidarietà e la coesione sociale non esistono ed ha zone di sofferenza sociale.
  Insomma, la supremazia USA, il  bellicismo militarista non servono  alla popolazione americana e tengono il mondo in costante pericolo.
Obama non ha cambiato di una virgola niente nè per il suo popolo nè per il mondo. Si va avanti come negli ultimi venti anni verso il peggio della rottura con gli Stati renitenti (Russia,Cina,Iran...)
  Pietro Ancona
___________________________________-

 

 Liberazione 24 agosto 2005

Nucleare in Iran? Balle come le armi di Saddam

Il Washington post: le tracce di uranio sono pakistane

Angela Nocioni
Sorpresa. Le tracce di uranio che tanti guai stanno causando a Teheran non possono provare l'intenzione dell'Iran di produrre armi nucleari perché iraniane quelle tracce non sono. Appartengono a una vecchia attrezzatura pakistana contaminata. Lo rivela il quotidiano statunitense "Washington post". A questa conclusione è giunto un gruppo di scienziati americani, francesi, giapponesi, russi e britannici che per nove mesi, in gran segreto, ha spulciato i dati raccolti in Iran dagli ispettori dell'Aiea, l'agenzia dell'Onu per l'energia atomica. Risultato: il campione dell'uranio arricchito trovato in Iran non appartiene a impianti illegali iraniani, ma a un vecchio macchinario contaminato arrivato da Islamabad. I risultati definitivi della ricerca non sono ancora stati resi pubblici, ma la fonte riservata del "Washington post" si dice certa delle conclusioni dello studio: «La "pistola fumante" - dichiara riferendosi alle accuse e alle minacce piovute su Teheran - è eliminata». L'Iran, per la verità, ha sempre affermato che le tracce di uranio appartenevano ad attrezzature pachistane contaminate, ma l'Amministrazione Bush ha continuato ad indicare quel materiale come la prova inconfutabile dell'esistenza di un programma nucleare illegale.

Così come in Iraq non sono state mai trovate le armi di distruzione di massa che furono evocate in sostegno alla decisione di attaccare Bagdad, quindi, neanche l'Iran avrebbe un programma attivo per la produzione dell'arma nucleare. Se quei dati fossero considerati attendibili, potrebbe diventare complicato per l'Amministrazione Bush convincere la comunità internazionale a fare pressioni su Teheran con la minaccia di sanzioni dell'Onu.

I dati definitivi dello studio saranno presentati in un rapporto all'Aiea nella prima settimana di settembre. Nelle conclusioni, a quanto risulta al "Washington Post", ci sarà scritta la frase: «e con questo la questione della contaminazione è risolta».
 

http://www.liberazione.it/giornale/050824/archdef.asp

indietro

                                             ****



21/06/2009
Un interessante analisi di Fulvio Grimaldi sui fatti Iraniani!!


Stavolta la “rivoluzione” è verde e assomiglia come una sfilata di cacchette
di capra a quelle precedenti, o riuscite come in Serbia, Georgia e Ucraina,
o fallite come in Venezuela, Bolivia, Libano, Uzbekistan. Ovunque un voto
non sia andato come auspicato dal Nuovo Ordine Mondiale del saccheggio e
della morte. E ci risiamo inesorabilmente con l’unanimità
destra-centro-sinistra su "giovani e donne contro tirannia, oscurantismi,
fondamentalismi, terrorismi, brogli". Quella dei brogli, poi, venendo da un
mondo che il voto l’ha sfigurato fino al suo contrario, è degna del
Bagaglino: vai avanti tu, chè a me viene da ridere. Quanto ai “giovani” e
alle “donne”, a guardar bene le immagini che simpatizzanti ed accorati
inviati dirittoumanisti filo-Mussavi ci trasmettono da Tehran, si capisce
subito tutto.

A voler capire, s’intende. Come a Belgrado, a Kiev, a Tblisi, a Beirut, lo
jato antropologico è drastico che più drastico non si può: nella folla dei
filo-Mussavi, volti pariolini, lisci, curati, truccati, fighetti in mise che
sembrano usciti da una selezione di “Amici”, o da un cartellone di Benetton;
nei cortei dei sostenitori di Ahmadinejad, le solite facce proletarie e
contadine del Sud del mondo, rughe, veli, abiti stazzonati, i volti del
nostro neorealismo. Plebaglie. Come andrebbe ripetuto ad nauseam , quando
sono concordi sinistre e destre, è la destra che vince e la sinistra che la
prende nel culo. E’ un teorema così incontrovertibile che quello di Pitagora
al confronto pare un’affermazione del guitto mannaro su Noemi. Non dovrei
aver bisogno di rivendicare la mia militanza giornalistica contro l’Iran
degli ayatollah.

Ci sono decine di mie pubblicazioni a ribadirla. Critiche, certo, per motivi
diversi, a volte opposti, rispetto ai sensocomunisti (non male, come
calambour, no?), agli unanimisti umanitaristi, cercando di non farmi
imbrigliare dal senso comune, appunto, di ideologhi a scatola chiusa,
ignoranti e opportunisti, con dentro i batteri dell’infiltrazione. Siamo
stati in pochi a ricordare che il “rivoluzionario” Khomeini, ospitato e
foraggiato dall’Occidente, giunto da Parigi a Tehran su aereo Usa, per prima
cosa ha fatto piazza pulita di coloro, comunisti e marxisti islamici, che a
milioni avevano cacciato lo Shah: necessità di ricambio e aggiornamento
imperialista-sionista per un regime feudal-gossiparo privo di base di massa,
logoro e sputtanato. Ricambio di elites, per sventare il rischio che l’insurrezione
popolare facesse entrare l’Iran nell’orbita sovietica o non-allineata. Voces
clamantes in deserto, abbiamo documentato il complotto khomeinista per
falciare il moderato Carter e promuovere il cane rabbioso Reagan con il
rilascio degli ostaggi Usa in coincidenza con la vittoria dell’attoruccolo
da mezzogiorno di fuoco. Ne abbiamo illustrato il pagamento di pegno a
USraele quando, rifornito di armi e istruttori israeliani, ha assaltato l’Iraq
di Saddam Hussein, ultimo baluardo di una nazione araba da unificare nel
segno della laicità, del progressismo sociale, dell’antimperialismo e dell’identificazione
con la causa palestinese.

Con i quattrini pagati dal regime degli ayatollah ai fornitori USraeliani e
indi trasferiti ai mercenari Contras, Khomeini ha restituito il favore
contribuendo alla distruzione del Nicaragua e alla cacciata dei sandinisti.
In un’affascinante altalena tra collusione e collisione, i due compari
anti-arabi hanno poi sbranato l’Iraq, aggredito l’Afghanistan dei Taliban
(odiato da Tehran fin dal primo giorno) e chiuso il cerchio con un’alleanza
di burattinai e fantocci che s’è vista consacrare dall’Occidente nella
recente processione a Tehran della fraternita di Ahamedinejad, Al Maliki,
Karzai e Zardari. Tutto questo sta molto bene all’imperialismo-sionismo, in
quanto contributo all’eliminazione di popoli di troppo.

Ma ancora meglio andrebbe un sodale meno pretenzioso e autonomo, magari un
fiduciario assai più ossequioso, senza pretese di egemonia regionale, magari
un agente Cia, magari un corrotto ladrone ricattabile che, magari,
rinunciasse a certi equilibri tra cosche assassine e, magari, abbandonasse
Hezbollah e Hamas al destino programmato dagli sterminatori israeliani. E,
visto che il padrino della cosca, Rafsanjani, lo “squalo”, ha perso un po’
di smalto a furia di ladrocini e complotti antipopolari, vada per il
vecchio, fidato arnese della guerra all’Iraq con armi USraeliane, Musavi,
primo ministro al tempo di quell’impresa congiunta, e delfino del satrapo
filo-Usa, Akbar Rashemi Rafsanjani. Abbiamo cercato di spiegare come i
persiani, nella loro millenaria strategia di potenza regionale, siano astuti
biscazzieri che giocano su vari tavoli, anche opposti: con gli Usa e Israele
a sventrare l’Iraq e vanificare l’unità araba, con Hezbollah e Hamas (la cui
autonomia palestinese e araba non si ha il minimo motivo di mettere in
discussione: i sostegni si accettano leninisticamente anche dal diavolo), a
contrastare l’avanzata dell’altra potenza regionale: Israele. Quelli che
tagliano la geopolitica con l’accetta, secondo schemi prefissati e
incartapecoriti, succubi di sparate demagogiche dell’uno o dell’altro
protagonista dello scenario, farebbero bene a studiarsi qualche manuale
della realpolitik degli Stati.

E farebbero benissimo a estrarre il “moderato” e “democratico” Mir-Hossein
Musavi, virtuoso antagonista dell’oscurantista radicale Ahmadinejad, dalle
nebbie soffiategli addosso dagli specialisti delle rivoluzioni colorate e
collocarlo sul vetrino del loro microscopio. Chi è Mir-Hussein Mussavi? Cosa
hanno in comune l’ultrà neocon Michael Ledeen, amico dei fascisti italiani,
il saudita Adnan Kashoggi, massimo mercante d’armi mondiale con logo Cia e
Mir-Hussein Musavi? Sono tutti amici e associati di Manucher Ghorbanifar,
anche lui grande mercante d’armi, doppio agente iraniano del Mossad, figura
centrale nella porcata Iran/Contra, l’affare triangolare armi in cambio di
ostaggi e dell’assalto all’Iraq messo in piedi con i persiani di Khomeini e
Musavi dall’amministrazione Reagan. Del compare di Mussavi, Ghorbanifar, si
legge nel rapporto Walsh su Iran/Contra: “Ghorbanifar, informatore Cia,
fiduciario del primo ministro Musavi, si fece prestare da Kashoggi milioni
di dollari, con pieno consenso di Washington, per l’acquisto delle armi
israeliane da usare per distruggere l’Iraq (colpevole di aver creato il
Fronte del rifiuto contro la svendita egiziana di arabi e palestinesi a Tel
Aviv e Washington) Ottenuti fondi dal governo di Tehran, Ghorbanifar
compensò Kashoggi con una tangente del 20% . Sfiduciato in un primo momento
da Khomeini, Ghorbanifar rientrò nel gioco diventando il fiduciario e
braccio operativo di Mir-Hossein Musavi, primo ministro iraniano.

A questo proposito, ecco il commento di Michael Ledeen, allora consulente
del Pentagono per l’antiterrorismo, sulla coppia di compari: “Si tratta
delle persone più oneste, istruite e affidabili che abbia conosciuto”. Per
altri si tratta di bugiardi che non saprebbero dire la verità sugli abiti
che indossano”. Il rapporto Walsh si dilunga poi su certe lamentele di
Musavi al presidente Reagan per una spedizione di elicotteri Hawk non
corrispondenti al modello ordinato (dovevano servire contro l’opposizione
laica e di sinistra non ancora del tutto domata e contro l’Iraq). E
aggiunge: “All’inizio di maggio, 1985, il colonello Oliver North (il
gangster che raggirò il Congresso per occultare l’operazione Contra), il
capostazione Cia, George Cave, Ghorbanifar e Musavi si incontrarono a Londra
per discutere questa ed altre collaborazioni Iran-Usa-Israele. Ledeen fu
incaricato di informarsi presso il primo ministro israeliano, Shimon Peres,
sul suo accesso a buone fonti e a buoni contatti in Iran. Israele diede
garanzie in tal senso e Reagan approvò che all’Iran di Mussavi si spedissero
missili Usa Tow in cambio del rilascio degli ostaggi statunitensi in mano
alla resistenza libanese.

Il capo della Cia, Casey, raccomandò che il Congresso fosse tenuto all’oscuro
di tutto l’affare”. ll rapporto di amicizia e collaborazione tra Ledeen,
Ghorbanifar e il candidato “riformista” Musavi resistette nel tempo, fino ad
alimentare il sostegno dei “moderati” Usa alla candidatura del provato
fiduciario. Fino all’attuale tentativo di regime change alla serba, o all’ucraina.
Davvero un bell’eroe riformista che s’è scelto la sinistra italiota. Fattosi
le ossa con le cinque pagine di lirica esaltazione per un discorso di Obama
al Cairo, zeppo di banalità e retorica e di sostanziale identificazione con
i nazisionisti di Tel Aviv (fatta salva la “preoccupazione” per la
“continuità” dell’espansione delle colonie in Cisgiordania), il “manifesto”,
in assoluta sintonia con il coro delle destre, si è fatto reclutare, con la
nota Marina Forti, nelle schiere colorate della spia Musavi, quasi fosse un
novello Mossadeq o Dubcek. Astutamente l’inviata ha messo le mani avanti fin
dai giorni della vigilia, sia anticipando brogli (è la regola dalla Serbia
di Milosevic in qua), sia dando voce esclusivamente a intervistati dell’eversione
filoccidentale. Viaggiava sottobraccio a quella Lucia Goraci del TG3 che,
rinnovando i fasti collaborazionisti e mistificatori dell’ancor più nota
collega Giovanna Botteri, nuotava felice nell’elegante piscina verde delle
masse scese dai quartieri alti. Accodatisi tutti quanti alle geremiadi su
brogli, conclamati senza un’ombra di evidenza dalle centrali della
disinformazione ontologica (CNN, Reuters, Fox di Murdoch, NBC, New York
Times, Time), hanno dovuto subire l’onta di una smentita addirittura di
fonte statunitense.

Un sondaggio condotto da un’organizzazione non profit, “The Center for
Public Opinion”, che da tre anni monitora le posizioni dei cittadini
iraniani cogliendo sempre nel segno e venendo per questo premiata con un
“Emmy Award”, aveva constatato una prevalenza di Ahmadinejad sul diretto
rivale addirittura superiore all’esito finale del 66% contro il 32%. 12
milioni di voti di differenza, all’anima dei brogli! La ricerca era stata
condotta dall’11 al 20 maggio in tutte le 30 province del paese. Sul campo
aveva operato con una società di ricerca che da anni lavora per le
televisioni ABC e BBC e aveva previsto una vittoria del presidente in carica
per 2 a 1. Nei media infervorati per i “riformisti” si rivendicava a Musavi
la gran maggioranza dei giovani dotati di internet. Peccato che solo un
terzo degli iraniani ha accesso a tale tecnologia e che il gruppo di età fra
i 18 e i 24 è risultato il blocco dal sostegno più forte per Ahmadinejad.
Dove il suo rivale primeggiava era tra studenti, laureati e ceti dal reddito
elevato. Il che dovrebbe far riflettere anche quegli integerrimi puristi
della lotta di classe che individuavano in Musavi il vindice delle richieste
sociali delle masse. Quanto ai wrestlers per la “democrazia” contro la
“tirannia” dei mullah, che confrontino l’ultralibero e vivacissimo dibattito
pre-elettorale di quel paese, la quota dei suoi votanti (80%), con l’assetto
mediatico del nostro paese e il numero di elettori e votanti nel
paese-modello Usa, questo sì organizzatore di brogli vincenti a casa sua
(due presidenze fasulle) e nei paesi satelliti.

Dice, ma alla protesta degli sconfitti (anzi, “derubati del voto”) si sta
reagendo con la repressione, le bastonate, gli spari, la censura ai media
stranieri. Vogliamo vedere cosa farebbe qualsiasi governo occidentale se
bande istigate a foraggiate dal Cremlino facessero tutto questo ambaradan,
bloccassero il paese, in seguito a un’elezione non vinta? Vogliamo ricordare
cosa capitò ai militanti scesi in strada perchè non tollerarono il ritorno
del fascismo in salsa tambroniana? Se i media stranieri sparano balle al
servizio degli destabilizzatori di un governo, compiono reati che vanno
puniti perlomeno con l’espulsione. Da noi i giornalisti che pubblicheranno
le nefandezze del guitto mannaro e dei suoi commensali finiranno in carcere
e, quanto alla censura, si guardi al modello israeliano, che non ha ammesso
neanche un giornalista alla carneficina di Gaza, che ha espulso il
sottoscritto perché non assecondava la ferocia e le menzogne della Guerra
dei sei giorni. Gli assassini mirati e le stragi di bambini per mano
israeliana, gli stermini di oppositori in Iraq, sono stati oggetto di
analoga indignazione? Perché non se la prendono con le milizie di tagliagole
controllate da Tehran che hanno fornito il contributo decisivo
all'assassinio di quasi due milioni di inermi iracheni? Perché in quel caso
sta bene all’Occidente e punisce un popolo che ha sostenuto Saddam? Tutti
allineati e coperti nelle formazioni d’assalto dell’eurocentrismo, nel
disprezzo e nella persecuzione di popoli e culture, costumi e fedi generati
da altre storie, altri ambienti, necessitati da altre priorità e
sensibilità. Tutti ostinatamente incorreggibili. Nel 2001, quando un colpo
di Stato promosso dalle stesse matrici Usa ed eseguito dalle bande CIA-NED
di Otpor incendiando il parlamento e distruggendo le schede, rovesciò il
democratico governo serbo e sventrò la trincea jugoslava contro l’espansione
UE-Nato, riducendo i Balcani a sette malavitosi micro-protettorati del
vampirismo occidentale, “Liberazione” titolò, all’unisono con i bollettini
mafio-imperiali: “Belgrado ride” . Ancora meglio il “manifesto” con “La
primavera di Belgrado”. Una primavera finita nella ghiacciaia. Oggi lo
stesso giornale, sotto le foto del manutengolo USraeliano e dei suoi fan in
maglietta verde, spara in prima pagina: “I giorni dell’Iran” e, il giorno
dopo, “Iran contro” . Perseverare diabolicum.
Ma nei covi dei cospiratori e serial killer USraeliani si brinda a tale
stampa come Nelson ai rincalzi di Bluecher a Waterloo. Se avesse vinto
Mussavi si rallegrerebbero, costoro, che i patrioti libanesi e palestinesi
verrebbero a perdere l’unico punto d’appoggio in tutto il mondo, almeno
politico, forse strumentale ma tant’è, e che il fronte USraeliano, con il
corredo dei suoi vassalli e fantocci alla Abu Mazen, si avvantaggerebbe di
un ancora più disciplinato e incondizionato apporto persiano per meglio
sistemare Afghanistan, Pakistan, pieni di odiati sunniti, la Russia, la
Cina, tutti noi? Ma ci sono o ci fanno? E’ così che si sostiene l’autodeterminazione
dei popoli? Mettendovi a capo spioni dell’impero, chiamandone i manichini
estratti dal sangue dei loro popoli “governo”, “presidente”, “primo
 ministro”, come una qualsiasi Ong di merda? Sempre su questa linea quattro
donne stronze, quattro studenti imbecilli, indegni dell’Onda, quattro
fascisti revanscisti, un capopartito che di politica internazionale ne
capisce quanto io di astrofisica (Di Pietro), hanno fatto casino contro
Muhammar Gheddafi, il dittatore, il pagliaccio. E quando sono venuti il
nazista nucleare Lieberman, l’assassino seriale Olmert, il licantropo in
gonnella Condoleezza, il fantoccio Karzai, il macellaio Uribe? Zitti e
mosca.

Prima di aprire bocca su un presidente di un paese che dal buco nero del
colonialismo ha tirato fuori un popolo e gli ha dato dignità e benessere,
dove le leggi vengono formulate e votate da assemblee di popolo, costoro
dovrebbero sfondarsi il petto di mea culpa per i connazionali che, tra il
1911 e il 1941, hanno massacrato un libico su sette, ne hanno gassato,
torturato e impiccato decine di migliaia, sono corresponsabili della
catastrofe inflitta all’Africa intera dal colonialismo europeo. Quella
catastrofe per la quale la Libia diventa l’imbuto in cui finiscono i
profughi delle tragedie sociali, politiche, ambientali da noi provocate in
tutto il continente. E’ Gheddafi che dovrebbe sistemare a proprio agio e a
tempo indeterminato questi profughi delle terre da noi devastate, o dovremmo
essere noi, solo noi, smettendola intanto di esaltare o riconoscere i vari
tirannelli indiamantati che le nostre multinazionali mettono su troni con le
gambe radicate nel sangue, eurocentristi del cazzo?

 


 

EURASIA Rivista di studi geopolitici

La fantasia al potere: le invenzioni della propaganda occidentale contro la Repubblica Islamica dell’Iran 24 Giugno 2009 di Enrico Galoppini*

In questi giorni, a chi segue le notizie provenienti dall’Iran e cerca d’interpretare la portata degli eventi in corso, non sarà sfuggito il totale allineamento pro-“dimostranti” di tutte le opinioni ammesse dal sistema mediatico occidentale. Non solo quello “ufficiale” delle tv e dei giornali ad alta visibilità (garantita dal meccanismo delle rassegne stampa), ma anche di gran parte di quello per così dire “alternativo” dei siti e delle agenzie “pacifiste”. La voce unanime che accomuna tutti costoro è che le elezioni presidenziali iraniane sono state “falsate da brogli” e che gli iraniani vogliono “libertà e democrazia”. E tanto basterebbe per convincere un pubblico naturalmente distratto e non qualificato della bontà dei motivi per cui “gli iraniani” scendono in piazza per protestare contro “il regime”.

Tra tutti i motivi messi in giro dalla macchina disinformativa ci ha colpito in particolare quello di chi è giunto – in una sede considerata “autorevole”, gestita da “accademici” - a definire "resistenza" un'organizzazione come quella dei “Mujahidin del Popolo” resasi responsabile di una catena ininterrotta di attentati in tutto l’Iran (v. il famoso "terrorismo" contro cui tutti dovremmo unirci). Forse costoro credono sia giunto il loro momento di gloria? Ci si può documentare facilmente sulle imprese di questa organizzazione e la scia di sangue che sin dall’inizio della Rivoluzione del ’79 ha colpito la Repubblica Islamica dell’Iran. Purtroppo per gli sponsor di questi "resistenti", accolti non molto tempo fa con grandi onori presso il Parlamento Europeo (!) dagli agenti che in quella sede ha il partito americano-sionista, la nuova "rivoluzione colorata" (di verde!) pare già abortita prima di condurre all'agognato abbattimento del "regime". Non ce la possono fare dall'esterno, militarmente, sia perché impantanati in Iraq e Afghanistan, sia perché l'Iran è inattaccabile, iperprotetto ed armato com’è fino ai denti, quindi hanno scelto di giocare la carta della sovversione interna, resa difficilissima però dall'assenza in loco delle ONG delle "rivoluzioni colorate" e delle tv private.

La macchina della propaganda occidentale, come detto, va a tutto gas, sempre più patetica e dalla fervida immaginazione. Gli inviati-fotocopia che si dolevano di non poter più "informare" a causa della scadenza dei visti (hanno mai intervistato, questi "professionisti", un sostenitore di Ahmadinejad?) si sono ridotti a smanettare su Facebook e su qualche altro arnese simile alla ricerca dell’ultimo “video-verità”. S’è narrato d’un inesistente "attentato suicida" al mausoleo dell'Imam Khomeyni, sul quale ora, guarda caso, s’allunga postumo lo zolfo della “benevolenza” del Mossad nei mesi che precedettero la rivoluzione (“potevamo ucciderlo, ma non lo facemmo: ne siamo pentiti”, hanno messo in circolazione)... Si sparano cifre tonde di "martiri" senza uno straccio di prova: anche la "martire Neda" presto si rivelerà essere l'ennesima trovata mediatica da affiancare al mitico “cormorano iracheno” inzuppato di petrolio (del Mare del Nord). In apici di sbornia mediatica s’è gridato anche all’acido lanciato dagli elicotteri dei Basij!

Le foto che circolano dalla rete anche nei tg dimostrano solo che c'è una “mobilitazione di piazza” dei sostenitori di Moussavi contro Ahmadinejad e quel che rappresenta, in politica interna ed estera. Dimostrano anche che c'è una "repressione". Ma la cosa finisce qui. Perché se i risultati delle elezioni sono veritieri (ed i "brogli" non possono essere dell'ordine dei 30 punti di scarto!), questa operazione si chiama "colpo di Stato". E come ad ogni latitudine le autorità non possono non intervenire per sedare ogni tentativo di questo tipo. Nel “democratico” Occidente, per molto meno, non succederebbe una carneficina (al di là del giudizio su quelle vicende, ci si ricordi di quel che accadde a margine del G8 di Genova)? Si assiste, inoltre, a tentativi di “colonialismo elettorale”; così, sulle prime, i “verdi” hanno sperato di far ripetere le elezioni alla presenza di "osservatori". Ma da quando un Paese sovrano accetta simili imposizioni?

Ahmadinejad viene presentato sempre più come un "nuovo Hitler", mentre giganti eurasiatici del calibro di Turchia e Russia, a margine della riunione della Organizzazione della Conferenza di Shanghai gli riconoscono la rielezione (e poi sarebbero loro, due terzi d’Eurasia, che “si isolano”…). Un presidente che è amato dalle classi popolari perché incarna i valori della "tradizione", detestato dalle classi già agiate (simili a quelle mandate a ''spentolare' a Caracas nel 2002, aizzate dalla Cia e dalle tv private) che vorrebbero diventarlo sempre di più! Il Presidente iraniano – nella neolingua dei megafoni dell’informazione – sarebbe addirittura ‘reo' d'aver aumentato pensioni e stipendi, il che ha dato lo spunto, per i soliti in malafede, di dire che "è in campagna elettorale da 3 anni": insomma, non è importante cosa si fa, ma "chi fa cosa"! Quanto al posizionamento dell'Iran in politica estera, un'inversione di rotta farebbe molto comodo a Usa e soci. La linea seguita sin qui è quella giusta, compreso il "nucleare iraniano", che nasconde la vera posta in gioco, quella energetica (quindi, politica con la P maiuscola). Ecco cosa sono gli “studenti e gli operai” di cui vaneggiano vecchie ciabatte dell’”antimperialismo” totalmente a digiuno di geopolitica.

Ma chiediamoci: perché tutta questa agitazione intorno all'Iran? Perché il risultato delle elezioni (alle quali ha partecipato l'85% degli aventi diritto, a differenza delle nostre elezioni, che ormai non entusiasmano più nessuno) dovrebbe essere "falsato"? Chi lo dice? Qualche istituto "indipendente"? E chi è che ha l'autorità per ficcare il naso in questo modo in casa d'altri? Noi lo sopporteremmo (in effetti lo facciamo, dal '45 in poi, passando per i "casi" Mattei, Moro, “misteri d’Italia”, servizi cosiddetti "deviati" e "terrorismo rosso” e “stragismo nero", Cermis, Mani Pulite, fino alle ultime uscite su "Papi&Noemi", e la cosa non ci fa molto onore come "popolo italiano"). Insomma, qual è il "problema" con l'Iran? Quale "pericolo" rappresenta per noi? Parliamone, magari in un confronto tra “punti di vista” divergenti così come piace alla retorica “democratica”, così vediamo di chiarire una cosa che altrimenti rischia di non assumere connotati chiari (le manfrine sui "diritti umani" lasciamole perdere, perché chi ne fa uno strumento di pressione in giro per il mondo è il primo che dovrebbe starsene zitto).

La verità – oltre al dato geopolitico - è che non si vuol prendere atto da trent'anni che nel 1979 in Iran è avvenuto un evento di quelli che andrebbero studiati sui manuali di Storia, come l'89 della Rivoluzione francese o il '17 della Rivoluzione bolscevica, che a torto o a ragione sono considerate delle date-simbolo. Questo rifiuto di accettare che anche i non europei possano scrivere pagine di "storia universale" è uno dei tanti segni della boria della cosiddetta "civiltà occidentale" e dei suoi rappresentanti. Una cosa è certa: dall'esito di questa situazione in Iran dipenderà molto di quel che resta di speranza, per noi italiani ed europei, di affrancarsi dalla presa del dominio occidentale.

*Enrico Galoppini, saggista e traduttore dall'arabo, diplomato in lingua araba a Tunisi e ad Amman, ha lavorato nell’ambito di progetti internazionali (ad es. in Yemen) ed ha insegnato per alcuni anni Storia dei Paesi islamici presso le Università di Torino e di Enna. È nel comitato di redazione della rivista di Studi geopolitici “Eurasia” (www.eurasia-rivista.org). Particolarmente interessato agli aspetti religioso e storico-politico del mondo arabo-islamico, alla storia del colonialismo, all'attualità politica internazionale, ma anche ai viaggi e a fenomeni di costume, collabora o ha collaborato a riviste e quotidiani tra cui "LiMes", "Imperi", "Eurasia", "Levante", "La Porta d'Oriente", "Kervàn", "Africana", "Meridione. Sud e Nord del mondo", "Diorama Letterario", "Italicum", "Rinascita". Tra le sue pubblicazioni: "Il Fascismo e l'Islàm" (Edizioni All'Insegna del Veltro, Parma 2001), Islamofobia (Edizioni All'Insegna del Veltro, Parma 2008).

 

 

IL CAPO DELLA RIVOLUZIONE LIBERAL IN IRAN
 

Mousavi: un mostro che l’Occidente fa finta di non vedere  di Fabristol

FONTE: http://www.giornalettismo.com/archives/29389/mousavi-il-ritratto-di-un-mostro-che-l’occidente-fa-finta-di-non-vedere/

 

Mentre l’Occidente sta con il fiato sospeso sperando che la piazza rovesci il regime iraniano, nessuno si rende conto che quella piazza è aizzata da un candidato peggiore di Ahmadinejad.

È curioso come l’opinione pubblica e i media dell’Occidente in questi giorni si siano schierati a favore di Mousavi senza minimamente essersi informati sul suo passato e soprattutto sulle sue idee politiche attuali. Con questo articolo cercheremo di rispondere a due domande: chi è Mousavi?; e, soprattutto, l’Iran sarebbe diverso con Mousavi?

CHI È MOUSAVI? – Mir-Hossein Mousavi Khameneh è stato il principale candidato dell’opposizione nelle appena svolte elezioni iraniane. All’interno del panorama politico iraniano è considerato un riformatore. Il che per i canoni dell’occidente democratico rimane comunque un conservatore di stampo fascista. Mousavi non arriva dal nulla. Non è parte di un progetto rivoluzionario nato nell’illegalità, nel sottosuolo della resistenza, fuori dai palazzi del regime. Mousavi è stato parte del regime per quasi un decennio. Fu infatti il Primo Ministro (la più alta carica in Iran prima della riforma presidenziale) della Repubblica Islamica d’Iran dal 1981 al 1989. Fu prima ancora tra i rivoluzionari che nel 1979 seguirono Khomeini nella sua rivoluzione culturale islamica e scacciarono lo Shah. Fu quindi uno tra i fondatori del regime attuale. Come Primo Ministro iraniano condusse la guerra contro l’Iraq in cui morirono quasi un milione tra irakeni e iraniani. Fu durante il suo mandato che il governo iraniano decise di mandare sul campo di battaglia 100.000 bambini per pulire i campi di mine, arruolandoli nel corpo dei volontari Basij. Negli anni terribili del rapimento degli americani all’ambasciata americana di Teheran nel 1979, Mousavi dichiarò che quell’atto era necessario e faceva parte del “secondo stadio della nostra rivoluzione”. Sotto il suo mandato vennero uccisi per impiccagione migliaia di dissidenti politici, criminali, donne fedifraghe e omosessuali. Altri vennero uccisi dai servizi segreti e dai Pasdaran. È del 1988 invece la fatwa di Khomeini contro lo scrittore Salman Rushdie, reo di aver scritto “Versetti satanici”. Fondamentalisti in tutto il mondo si mobilitarono per ucciderlo e diversi traduttori della sua opera furono assassinati o feriti (incluso quello italiano). Mousavi appoggiò in pieno la condanna a morte di Rushdie e si felicitò della mobilitazione internazionale dei fedeli khomeinisti, definendo Rushdie “uno strumento dei sionisti contro l’Islam”. Nello stesso anno Mousavi dichiarò Israele un “tumore canceroso” da eliminare. L’anno prima definì gli Stati Uniti d’America “il grande Satana”. Tutte frasi e concetti ricorrenti nella retorica iraniana. Di fatto Mousavi fu il fondatore della politica isolazionista e fondamentalista dell’Iran. Negli anni ’80 fondò e finanziò il gruppo terroristico sciita Hezbollah in Libano e fu accusato di essere tra i mandanti degli atti di terrorismo internazionale di quegli anni, dalla Germania all’Argentina. Fu anche l’architetto dietro il MOIS, i servizi segreti iraniani, su modello del KGB sovietico, che in quegli anni torturava e uccideva i dissidenti interni.

L’IRAN SAREBBE DIVERSO CON MOUSAVI? – Per rispondere a questa domanda bisogna capire quale sia la faccia che si nasconde dietro la maschera di Mousavi e la sua pseudorivoluzione. È ormai assodato che si tratti di Rafsanjani. E, allora, conviene chiedersi chi sia anche Akbar Hashemi Rafsanjani. Fu Presidente della Repubblica alla fine degli anni ’80, fa parte della casta clericale e del Consiglio degli Esperti, il potentissimo organo di potere iraniano (secondo solo alla Guida Suprema, l’Ayatollah). È considerato uno tra gli uomini più ricchi del paese e la sua famiglia tiene in mano l’industria del petrolio. Nel parlamento iraniano viene soprannominato “lo squalo”, per la sua tenacia e i suoi modi duri. Ma, soprattutto, fu grande amico di Mousavi negli anni della sua presidenza. Nei giorni scorsi la folla di centinaia di migliaia di persone scese in piazza per sostenere la vittoria di Ahmadinejad urlava il suo nome con rabbia, stramaledicendolo. Tutti sanno che dietro le rivolte c’è lui. Avversario storico dell’attuale ayatollah Khamenei (considerato debole), molti pensano che stia progettando di prendere il suo posto.

RIVOLUZIONE O RESA DEI CONTI? - Ma allora che sta succedendo in Iran? In poche parole, trattasi non di rivoluzione, ma di resa dei conti all’interno del regime degli ayatollah. Nei prossimi giorni potrebbe anche diventare guerra civile. Altro non è che una lotta per la supremazia all’interno del regime. Nessuno dei contendenti mette in discussione il clero, le sue leggi e le sue guide e di fatto nessuno mette in discussione il regime iraniano. Men che meno il “riformatore” Mousavi, dipinto come un rivoluzionario, ma che altro non è che un gerarca del regime in cerca di potere. Sulla carta poi, tra Mousavi e Ahmadinejad, è il primo ad essere stato il più sanguinario, integralista e di fatto “il più cattivo”. Quest’uomo, che tutti in Occidente vedono come il buon salvatore, ha sulla coscienza centinaia di migliaia di morti, mutilazioni, torture, impiccagioni, sofferenze. È responsabile dell’odio contro Israele, della fondazione di Hezbollah e di attentati terroristici al’estero. Ahmadinejad in confronto pare un agnellino.

FONTE: http://www.giornalettismo.com/archives/29389/mousavi-il-ritratto-di-un-mostro-che-l’occidente-fa-finta-di-non-vedere/

________________

 

IRAN: MOUSSAVI, NO A RICONTEGGIO VOTI MA NUOVE ELEZIONI
AGI) - Teheran, 27 giu. - Il leader dell'opposizione iraniana Mir Hossein Moussavi continua a sfidare i vertici della Repubblica Islamica. L'ex premier non intende partecipare alla commissione speciale istituita per verificare il riconteggio del 10% delle schede, concesso dal Consiglio dei Guardiani, e insiste nel chiedere l'annullamento delle presidenziali del 12 giugno che hanno visto la riconferma di Mahmoud Ahmdinejad. Lo riferiscono fonti vicine a Moussavi. Ieri il Consiglio per il Discernimento del Sistema, chiamato a verificare la correttezza del voto, ha invitato i candidati a collaborare. La commissione all'interno del Consgilio "chiede a tutti i candidati di collaborare con il Consiglio dei Guardiani e di sfruttare questa corretta opportunita' (per far valere i propri diritti) inviando i loro documenti e le prove a loro disposizione per un esame completo e preciso". Il Consiglio, nato come organo consultivo della Guida Suprema, e' guidato dall'ex presidente Akbar Hashemi Rafsanjani, sostenitore del leader dell'opposizione Mir Hossein Moussavi.

 

 

sabato 27 giugno 2009 Domenico Losurdo

In Iran un tentativo di colpo di Stato filo-imperialista

 

Non c'è dubbio che in questi giorni si è assistito a un tentativo di colpo di Stato, fomentato e appoggiato dall'esterno. Ovviamente, tentativi del genere possono aver chances di successo solo in presenza di una consistente opposizione interna. E, tuttavia, la sostanza del problema non cambia.

 

La tecnica dei colpi di Stato filo-imperialisti, camuffati da«rivoluzioni colorate», segue ormai uno schema ben consolidato:

 

 

 

1) Alla vigilia delle elezioni o immediatamente dopo il loro svolgimento una gigantesca potenza di fuoco multimediale, digitale e persino telefonica bombarda ossessivamente la tesi secondo cui a vincere è stata l'opposizione, che dunque viene spinta a scendere in piazza per protestare contro i «brogli».

 

2) Il «colore» e le parole d'ordine delle manifestazioni sono state già programmate da tempo; la «guerra psicologica» è stata già definita in tutti i suoi dettagli per fare apparire l'opposizione filo-imperialista come «pacifica» espressione della volontà popolare e per bollare come intrinsecamente fraudolente e violente le forze di orientamento diverso e contrapposto.

 

 

 

3) La rivendicazione è quella dell'annullamento delle elezioni e della loro ripetizione. Non sarà ritenuto valido nessun risultato che nonsia avallato dai giudici inappellabili che risiedono a Washington e a Bruxelles. E comunque, la ripetizione della consultazione elettorale già di per sé è destinata a produrre un rovesciamento del risultato precedente. Il blocco politico-sociale che aveva espresso il vincitore considerato illegittimo a Washington e a Bruxelles tende a sgretolarsi: appare ora privo di senso opporsi ai padroni del mondo, che già con l'annullamento delle elezioni hanno dimostrato la loro onnipotenza; donchisciottesco risulta ora tentare di opporsi alla corrente «irresistibile» della storia. Donchisciottesco e anchepericoloso: come dimostra in particolare il caso di Gaza, un risultato elettorale non gradito ai padroni del mondo spiana la stradaall'embargo, al blocco, ai bombardamenti terroristici, alla morte per inedia o sotto il fosforo bianco. Su versante opposto i «democratici» legittimati e benedetti da Washington e da Bruxelles, oltre a disporre della strapotenza economica, multimediale, digitale e telefonica dell'Occidente, saranno ulteriormente caricati dalla sensazione di muoversi in consonanza con le aspirazioni dei padroni del mondo e con la corrente «irresistibile» della storia.

 

Alla luce di queste considerazioni evidente è la miseria intellettuale e politica di buona parte della «sinistra» italiana. Essa non presta nessuna attenzione ad esempio alla presa di posizione del presidente brasiliano Lula: in base a quale principio l'Occidente può pretendere di proclamare in modo inappellabile la legittimità delle elezioni in Messico dell'anno scorso e l'illegittimità delle elezioni di due settimane fa in Iran? Eppure anche nel primo caso il candidato sconfitto denunciava brogli e nel far ciò dava voce a un sentimento largamente diffuso nella popolazione, che infatti scendeva in piazza in manifestazioni non meno massicce di quelle che si sono viste a Teheran. Ed è da aggiungere che in Messico il margine di vantaggio del vincitore era assai risicato, al contrario di quello che si è verificato in Iran...

 

 

Rinvio a altra occasione l'analisi complessiva della rivoluzione e situazione iraniana. Ma una cosa intanto è chiara. Nel suo conformismo, una certa «sinistra» crede di difendere la causa della democrazia: in realtà essa prende posizione a favore di un ordinamento internazionale profondamente antidemocratico, nell'ambito del quale le potenze oggi economicamente e militarmente più forti avanzano la pretesa di decidere sovranamente della legittimità delle elezioni in ogni angolo del mondo, nonché di condannare all'inferno dell'aggressione militare e dello strangolamento economico quei popoli che esprimono preferenze elettorali «sbagliate»: Gaza docet!

 

Domenico Losurdo

 

Pubblicato da Domenico Losurdo

 

 

 

 

Domenica 28 giugno 2009 7 28 /06 /2009 07:13 La “Rivoluzione Verde”: il copione è stato riproposto; questa volta in Iran Il set

Colore: Verde

Slogan: “Dov’è il mio voto?”

Attori principali: Studenti e giovani delle classe media e alta, dirigenti dell’opposizione, mezzi di comunicazione internazionale, nuove tecnologie (Twitter, Youtube, cellulari, SMS, Internet).

Attori secondari: Organizzazioni non governative (ONG) internazionali, Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, Freedom House, Centro per l’applicazione dell’azione non violenta “CANVAS” (ex OTPOR), Centro per il Conflitto Internazionale Non Violento (ICNC), Istituto Albert Einstein, Pentagono, Missione Speciale della Direzione Nazionale dell’Intelligence USA per l’Iran.

Scenario: Elezioni Presidenziali; il candidato ufficiale, Mahmud Ahmadinejad, l’attuale presidente che mantiene una linea molto dura contro l’imperialismo statunitense e il sionismo israeliano e gode di un alto grado di popolarità tra le classi popolari iraniane per gli investimenti in programmi sociali, vince con il 63% dei voti; il candidato dell’opposizione, Mir Hossein Musavi, di classe medio-alta, che prometteva (in inglese) durante la campagna che la sua elezione alla presidenza avrebbe assicurato “un nuovo saluto al mondo”, frase che stava ad indicare che avrebbe cambiato la politica estera nei confronti di Washington, ha perso per più di 15 punti; l’opposizione denuncia una frode elettorale e chiede alla comunità internazionale di intervenire; gli studenti manifestano nelle strade, nelle zone della classe media e alta della capitale, Teheran; dicono di essere “non violenti”, ma provocano reazioni repressive dello Stato con azioni aggressive e immediatamente denunciano presunte violazioni dei loro diritti di fronte ai media internazionali; dicono che il presidente eletto è un “dittatore”.

Luogo: L’Iran, quarto produttore di petrolio nel mondo e il secondo di riserve di gas naturale. In piena flagranza dell’embargo commerciale imposto da Washington, la Cina ha firmato un accordo con l’Iran nell’anno 2004, per un valore di 200.000 milioni di dollari, per l’acquisto di gas naturale iraniano nei prossimi 25 anni. Negli ultimi quattro anni, l’Iran ha stretto relazioni commerciali con i paesi dell’America Latina, nonostante le minacce di Washington, e attualmente sviluppa tecnologia nucleare a scopi pacifici.

Vi suona familiare? Di certo suona familiare ai venezuelani e alle venezuelane che da tre anni, senza ombra di dubbio, stanno vivendo in questo scenario. Le cosiddette “rivoluzioni colorate”, che cominciarono in Serbia nell’anno 2000, con il rovesciamento e la demonizzazione di Slobodan Milosevic, e che poi passarono per la Georgia, l’Ucraina, il Kirghiztan, il Libano, la Bielorussia, l’Indonesia e il Venezuela, sempre con l’intenzione di cambiare “regimi” non favorevoli agli interessi di Washington con governi “più amichevoli”, sono adesso arrivate in Iran. Il copione è identico. Un colore, un logotipo, uno slogan, un gruppo di studenti e giovani di classe media, un processo elettorale, un candidato filo-statunitense e un paese pieno di risorse strategiche con un governo che non rispetta l’agenda dettata dall’impero. Sono sempre le stesse ONG e agenzie straniere quelle che appoggiano, finanziano e promuovono la strategia, fornendo contributi finanziari e formazione strategica ai gruppi studenteschi perché eseguano il piano. Dovunque ci sia una “rivoluzione colorata”, si trovano anche l’USAID, il National Endowment for Democracy, Freedom House, il Centro Internazionale per il Conflitto Non Violento, il CANVAS (ex OTPOR), l’Istituto Albert Einstein, l’Istituto Repubblicano Internazionale e l’Istituto Democratico Nazionale, per citarne alcuni.

Si esamini questo testo, intitolato “Una guida non violenta per l’Iran”, scritto dall’ex direttore dell’Istituto Albert Einstein, fondatore del Centro Internazionale per il Conflitto Non Violento (INCR) e presidente di Freedom House, Peter Ackerman, e dal suo collega, coautore del libro “Una forza più potente: un secolo di conflitto non violento” e direttore dell’INCR, Jack DuVall, anch’egli esperto in propaganda e cofondatore dell’Istituto Arlington, insieme con l’ex direttore della CIA, James Woolsey:

“Manifestazioni ripetute, guidate da studenti a Teheran, devono accelerare a Washington il dibattito sull’Iran. Ci si sta ponendo due domande? Le manifestazioni sono in grado di produrre un cambiamento di regime? Che tipo di appoggio esterno servirebbe?

La storia dei movimenti civili, come quello che attualmente si sta creando in Iran, evidenzia che il riscaldamento della piazza non è sufficiente a rovesciare un governo. Se l’aiuto degli Stati Uniti apporta semplicemente più legna al fuoco e l’opposizione interna non lavora per indebolire le fonti reali del potere del regime, non funzionerà.

La lotta vittoriosa del movimento civile ha l’obiettivo di promuovere l’ingovernabilità per mezzo degli scioperi, del boicottaggio, della disobbedienza civile ed altre tattiche non violente – oltre alle proteste di massa -, allo scopo di indebolire e distruggere i pilastri di sostegno del governo. Ciò è possibile in Iran.

Gli avvenimenti in Iran sono simili a quelli della Serbia appena prima che il movimento diretto da studenti sconfiggesse Slobodan Milosevic. Il suo regime si era alienato non solamente gli studenti, ma anche la maggioranza della classe media… Anche la classe politica era divisa e molti erano stanchi del dittatore. Cogliendo l’opportunità, l’opposizione si mobilitò per separare il regime dalle sue fonti di potere…”

L’elemento maggiormente rivelatore di questo articolo non è solo l’ovvia visione interventista che cerca di promuovere un colpo di stato in Iran, ma il fatto che esso fu scritto il 22 luglio 2003, quasi sei anni fa (vedere l’originale: http://www.nonviolent-conflict.org/rscs_csmArticle.shtml). In questi sei anni l’organizzazione di Ackerman e DuVall, insieme ai soci, CANVAS a Belgrado e l’Istituto Albert Einstein a Boston, ha lavorato per formare e rendere efficienti gruppi di studenti nelle tecniche di golpe morbido in Iran, con finanziamenti della NED, di Freedom House e delle agenzie del Dipartimento di Stato. Non è casuale che CANVAS, composto dai leader del gruppo OTPOR della Serbia che rovesciò Milosevic, abbia da qualche tempo cominciato a pubblicare i suoi materiali in farsi e in arabo. Una delle pubblicazioni principali, realizzata con il finanziamento del Dipartimento di Stato degli USA attraverso l’Istituto Statunitense della Pace, dal titolo “La lotta non violenta: i 50 punti critici”, è considerata come “un manuale di perfezionamento della lotta strategica non violenta, che offra una molteplicità di informazioni pratiche…” E’ un libro elettronico diretto a un pubblico giovanile, come evidenzia una grafica, un disegno e un linguaggio per i giovani. Scritto originalmente in serbo, nel corso dell’ultimo anno è stato tradotto in inglese, spagnolo, francese, arabo e farsi (la lingua parlata in Iran). La versione in farsi: http://www.canvasopedia.org/files/various/50CP_Farsi.pdf.

Questo libro è una versione moderna, con un disegno più attraente per la gioventù, del libro originale scritto dal guru della lotta “civile” per il cambiamento di regimi non favorevoli a Washington: Gene Sharp. Il suo libro, “Sconfiggendo un dittatore”, che si è tradotto anche in un film prodotto da Ackerman e DuVall, è stato utilizzato in tutte le rivoluzioni colorate in Europa Orientale, ed anche in Venezuela, ed è considerato dai movimenti studenteschi come la propria “bibbia”. L’introduzione del libro di CANVAS spiega: “Questo libro è il primo che applica l’azione strategica non violenta a campagne reali. Le tecniche presentate nei prossimi 15 capitoli hanno avuto successo in molti luoghi del mondo… Questo libro contiene lezioni apprese attraverso diverse lunghe e difficili lotte non violente contro regimi non democratici e oppositori delle libertà umane fondamentali… Gli autori sperano e credonoquesti punti cruciali in tale formato, vi aiuterà a rendere più operativa l’azione strategica non violenta, affinché possiate recuperare i vostri diritti, superiate la repressione, resistiate all’occupazione, realizziate la democrazia e stabiliate la giustizia nella vostra terra; impedendo che questo secolo sia un’altra “Era degli estremi”.

Ovviamente non è una coincidenza che il libro sia uscito in farsi e in arabo proprio qualche mese prima delle elezioni presidenziali dell’Iran, dal momento che queste organizzazioni avevano già cominciato a lavorare con l’opposizione iraniana per preparare lo scenario del conflitto. E ora, veniamo al contenuto e agli obiettivi di questo libro, che ora vengono perseguiti all’interno del territorio iraniano. (E’ pure interessante segnalare che l’edizione spagnola uscì proprio prima del referendum costituzionale in Venezuela e che la traduzione fu realizzata da un’organizzazione sconosciuta del Messico: “Non violenza in Azione” (NOVA). Un paese in cui ha soggiornato lungamente l’ex dirigente studentesco venezuelano Yon Goicochea, che ha ricevuto addestramento e finanziamento da parte dei gruppi stranieri prima menzionati).

Inoltre, la grande agenzia di destabilizzazione, National Endowment for Democracy (NED), ha anch’essa lavorato attivamente per destabilizzare la rivoluzione iraniana ed imporre un regime favorevole agli interessi di Washington. Dopo le elezioni presidenziali in Iran nell’anno 2005, l’allora segretaria di Stato Condoleeza Rice annunciò la creazione di un nuovo Ufficio per gli Affari Iraniani, con un bilancio iniziale di 85 milioni di dollari approvato dal Congresso statunitense. Gran parte di questo denaro fu dirottato verso il lavoro della NED e di Freedom House, che già stavano finanziando alcuni gruppi all’interno e all’esterno dell’Iran, i quali operavano diffondendo informazioni sugli abusi dei diritti umani in Iran, e la formazione di giornalisti “indipendenti”. Organizzazioni come l’Associazione dei Maestri dell’Iran (ITA) hanno ricevuto finanziamenti della NED fin dal 1991 per promuovere la pubblicazione di una rivista politica che contribuiva alla costruzione di un Iran “democratico”. Anche la Fondazione per un Iran Democratico (FDI), con base negli Stati Uniti, è stata uno dei principali recettori dei fondi della NED. Il suo lavoro è stato orientato nel campo dei diritti umani, principalmente per presentare il governo iraniano come violatore dei diritti dei suoi cittadini. Questa organizzazione è strettamente legata agli istituti dell’ultradestra negli Stati Uniti, come l’American Enterprise Institute e il Progetto per un Nuovo Secolo Americano, che hanno fatto pressione per le guerre in Medio Oriente*.

La NED ha anche finanziato gruppi come la Fondazione Abdurrahman Boroumand (ABF), una ONG che presumibilmente promuove diritti umani e democrazia in Iran. Questa organizzazione si è incaricata di creare pagine web e biblioteche elettroniche sui diritti umani e la democrazia. Nel 2003, ABF ricevette un fondo di 150.000 dollari per un progetto dal titolo “La transizione alla democrazia in Iran”. Nel 2007, ABF ottenne 140.000 dollari per “creare coscienza sulle esecuzioni politiche dall’inizio della rivoluzione iraniana nel 1979, promuovere la democrazia e i diritti umani tra i cittadini e rafforzare la capacità organizzativa della società civile”. Si impegnò anche ad “assumere un consigliere per le comunicazioni e a condurre campagne mediatiche”.

Quantità di denaro non rivelate pubblicamente dalla NED sono state concesse a diverse ONG tra il 2007 e il 2009, per costruire un appoggio internazionale alle ONG e agli attivisti dei diritti umani nazionali… favorire la società civile iraniana e i rappresentanti dei mezzi di comunicazione a relazionarsi e a comunicare con la comunità internazionale…”

Inoltre, i gruppi più importanti della NED, come il Centro Americano di Solidarietà Lavorativa (ACILS), che in Venezuela ha sostenuto il sindacato golpista dell’opposizione, la Confederazione dei Lavoratori Venezuelani (CTV), ha finanziato e consigliato il “movimento operaio indipendente” in Iran dal 2005. Anche l’Istituto Repubblicano Internazionale (IRI) ha ricevuto fondi dalla NED per “legare attivisti politici in Iran a riformisti in altri paesi” e “rafforzare la loro capacità di comunicazione e organizzazione”. Si tratta delle stesse attività e delle stesse agenzie di Washington che conducono le azioni di ingerenza in Venezuela, Bolivia, Nicaragua e altri paesi in cui attualmente gli Stati Uniti cercano di promuovere un cambiamento del governo con un altro più favorevole ai loro interessi.

Anche la manipolazione mediatica su ciò che avviene attualmente in Iran segue un proprio copione. In Venezuela, quando il presidente Chavez vinse le elezioni presidenziali nel 2006 con il 64% dei voti e più del 75% di partecipazione popolare, l’opposizione gridò alla frode (come in generale è abituata a fare in tutti i processi elettorali che perde) e ricevette copertura mediatica allo scopo di formulare e promuovere le sue denunce, nonostante non presentasse nessuna prova che desse fondamento alle accuse. Tale presenza mediatica viene attivata semplicemente per continuare a promuovere correnti di opinione che pretendono di demonizzare il presidente Chavez, definendolo un dittatore, e di gettare discredito sul governo venezuelano, per poi giustificare qualsiasi intervento straniero.

Nel caso dell’Iran, in questo momento vediamo titoli come “Proteste in Europa contro il voto in Iran” (AP), “Khamenei v. Musavi” (Atantic Online), “Grande manifestazione di lutto a Teheran” (Reuters), “Una nuova inchiesta indica la frode” (Washington Post), “Biden esprime “dubbi” sulle elezioni in Iran” (CNN, 14/06/2009), e “Analisti rivedono i risultati “ambigui” in Iran” (CNN, 16/06/2009). I titoli generano l’impressione di una possibile frode elettorale in Iran, giustificando di conseguenza le proteste violente dell’opposizione, sebbene Ahmadinejad abbia vinto con un risultato impressionante, il 63% dei voti, dieci punti in più di quelli che ha conseguito Obama negli Stati Uniti lo scorso mese di novembre. Per spiegare la reazione mediatica, secondo l’ex ufficiale della CIA incaricato della regione del Medio Oriente, Robert Baer, “la maggior parte delle manifestazioni e delle proteste che trovano spazio nelle notizie sono ubicate nella zona nord di Teheran… Si tratta, principalmente, di settori dove vive la classe media liberale iraniana. Sono anche settori in cui, senza dubbio, si è votato per Mir Hossein Mussavi, il rivale del presidente Mahmud Ahmadinejad, il quale ora denuncia la frode elettorale. Ma non abbiamo ancora visto immagini del sud di Teheran, dove vivono i poveri… Per molti anni, i media occidentali hanno visto l’Iran attraverso lo specchio della classe media liberale iraniana – una comunità che ha accesso a Internet e alla musica statunitense, che ha maggiori possibilità di parlare con la stampa occidentale e che dispone di denaro per comprare voli a Parigi o a Los Angeles… Ma rappresenta davvero l’Iran?”

Baer, in un articolo pubblicato nella rivista Time, afferma che una dei pochi sondaggi affidabili, elaborati da analisti occidentali negli ultimi giorni della campagna elettorale, dava la vittoria ad Ahmadinejad – con percentuali ancora più alte del 63% che ha ottenuto… Il sondaggio è stato effettuato in tutto l’Iran e non solo nelle zone della classe media”.

Eva Golinger

20 giugno 2009 http://classeoperaia.it.over-blog.it/article-33184581.html

Da L'Ernesto:

 La sinistra e l'Iran - un articolo di Fosco Giannini e Mauro Gemma, su La Rinascita della Sinistra, settimanale del PdCI

 

Anche se non ne condividiamo l’impianto dichiaratamente filo-occidentale, invitiamo alla lettura di questo commento editoriale di Barbara Spinelli (La Stampa, 28 giugno 2009) che fornisce alcuni utili criteri interpretativi per capire la natura dello scontro politico e sociale che si svolge oggi in Iran, al di là di luoghi comuni superficiali e manichei – diffusi malauguratamente anche a sinistra – che impediscono di comprendere la diversa natura delle forze in campo e dei rispettivi riferimenti internazionali.

 Quali sono le forze che si scontrano in Iran?

Iran: Chavez sostiene Ahmadinejad

(ASCA-AFP) - Caracas, 17 giu - Come previsto il leader del Venezuela, Hugo Chavez, ha dato il suo sostegno al presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad dopo la sua vittoria elettorale definendo le proteste in atto a Teheran come la parte di una ''campagna diffamante'' sostenuta dai Paesi stranieri. Il Venezuela ''esprime la propria ferma opposizione alla terribile e ingiustificata campagna'' condotta ''dall'esterno'', ha spiegato una nota dal ministero degli Esteri. Gli attacchi cercano di ''infiammare il clima politico'', ha affermato il ministero. Poco dopo il risultato elettorale, Chavez ha telefonato all'omologo iraniano felicitandosi per la sua vittoria. ''E' una vittoria grande e importante per i popoli che lottano per un mondo migliore'', aveva affermato Chavez al telefono.

Lula: Regolari le elezioni in Iran

Il Presidente brasiliano Lula da Silva ha riconosciuto la validità del risultato delle elezioni tenutesi in Iran, dove Ahmedinejad è stato rieletto con ampio margine. Lula ha fatto il paragone con le controversie sorte nel 2006 dopo le elezioni presidenziali in Messico, e quelle degli Stati Uniti dove si "affermò" G.W.Bush.
Dal Kazakistan, dove si trova in visita ufficiale, Lula sostiene che è impossibile manipolare un risultato elettorale dove il vincitore ha ottenuto più del 60% dei voti. "Credo che è impossibile per chiunque manipolare più del 30% dei suffragi. Impossibile in Iran e altrove".
Ahmedinejad ha vinto, "...mi piacerebbe che mi spiegassero alcune cose. Non molto tempo fa, in Messico si tennero elezioni presidenziali e la differenza fu dell'1%", ricordò Lula. Eppure i Paesi che oggi sono in prima fila a protestare, ignorarono gli argomenti del candidato oppositore López Obrador e riconobbero la vittoria di Calderón.
Lula ha sottolinento che il Presidente dell'Iran "..ha ottenuto una gran vittoria, è bene aspettare che diminuiscano le tensioni, però non è la prima volta che un oppositore che perde protesta con tanta veemenza".

Il popolo iraniano deve poter decidere in modo sovrano delle proprie questioni

Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) denuncia i tentativi
di Europa e Stati Uniti di interferire negli affari interni iraniani

Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) denuncia i tentativi di Europa e Stati Uniti di interferire negli affari interni iraniani dopo le elezioni nel Paese, chiede la cessazione dei suddetti tentativi e il diritto per il popolo iraniano di determinare le proprie questioni e gestire le differenze interne senza dover subire nessuna influenza esterna da parte di alcuno.

La dichiarazione del Fronte chiede la cessazione immediata di questi interventi, e finiscano i tentativi di indebolire il governo iraniano e minare la sicurezza e la stabilità del popolo iraniano e di tutta la regione. L’FPLP ha espresso la sua solida fiducia nell’abilità del popolo iraniano, dei suoi leader e delle forze politiche e sociali a gestire le proprie questioni attraverso mezzi pacifici.

 
Fonte:

  di Eva Golinger

Eva Golinger è molto vicina al presidente Chavez, è una delle più prestigiose e coraggiose sostenitrici della causa della rivoluzione bolivariana.

 

  di Domenico Losurdo

 

  di Spartaco Puttini

 

  di Massimo Fini su "il Sole 24 Ore"

http://www.fgciroma.it/index.php/2009/07/06/ma-ahmadinejad-ha-ragione-l’iran-della-povera-gente-e-con-lui/

Vi invitiamo infine a leggere questo articolo apparso sul n. 83 della rivista francese “Recherches Internationales” col titolo “Mettre en deroute l’islam politique et l’imperialisme” e tradotto dal compagno Sergio Ricaldone che, pur non essendo condivisibile in ogni suo aspetto, è molto documentato ed interessante.

   di Samir Amin (Presidente del Forum Mondiale delle Alternative)

 

 

 

----- Original Message -----
From: pietroancona@tin.it
To: barbara spinelli
Sent: Monday, July 20, 2009 10:19 AM
Subject: la militarizzazione dell'Iran


Cara Dott.ssa Spinelli,

    Lei scrive  una bellissima prosa ricca di riferimenti culturali. Spesso si ha il piacere, leggendola, di fare una lettura colta, informata, stimolante.
    Quando questa bella scrittura è applicata alla dimostrazione di una falsa verità, cioè di una menzogna, è doppiamente riprovevole. E' preferibile la prosa ruvida ed aggressiva di quanti apertamente vogliono e preparano un'altra apocalisse per l'Iran, l'apocalisse per la quale sommergibili israeliani con la complicità dell'Egitto, (il cui regime anche Lei si guarda bene dall'analizzare con lo stesso microscopio che usa per l'Iran),hanno attraversato lo stretto di Suez e si sono piazzati, magari con microbombe nucleari, alle spalle dell'Iran.
    Forze navali israeliane, con l'assistenza europea e statunitense, da molti mesi si esercitano al largo di Gibilterra in vista appunto di una aggressione all'Iran.
Lei fa discendere  le involuzioni del regime iraniano verso il nazionalismo ed il militarismo da dinamiche interne, come se quanto accade in Iran possa prescindere e non dipenda dalla situazione di accerchiamento internazionale e di isolamento  in cui è costretto da anni dall'Occidente. Si potrebbe salvare da ciò se tornasse ad essere come lo Scia il guardiano feroce e sanguinario degli interessi occidentali nell'area e se
collaborasse militarmente con gli Usa in Afghanistan. Mousavi e Rafsanjani sono i grimaldelli per distruggere
l'autonomia dell'Iran e farne quello che Abu Mazen ha fatto della Gisgiordania, una nazione non "canaglia" ma
serva di un padrone che si fa rappresentare in loco dalla enorme e minacciosa potenza atomica israeliana.
    Non ho dubbi che l'anelito di libertà e di democrazia dei giovani iraniani sia oggi strumentalizzato alla causa della  ennesima rivoluzione colorata  attentamente studiata da Gene Sharp e di già applicata con successo in tanti posti di grande interesse strategico per gli Usa come la Georgia, la Bielorussia, l'Ucraina........
    La responsabilità dell'indurimento del regime iraniano è dell'Occidente e delle sue politiche di strangolamento di ogni opposizione ad una omologazione sottomessa. Tutti i popoli che si sono dati regimi ideologicamente diversi dal capitalismo hanno subito la stessa tragica sorte. Dalla Russia di Lenin a Cuba di Fidel Castro. Non sappiamo se i comunismi sarebbero stati dittature senza l'accerchiamento delle diverse "guardie bianche". Forse non lo sapremo mai. Di certo,sotto la spada di Damocle dell'invasione e della distruzione non prospera la libertà e con essa la democrazia.
    La situazione iraniana è assai pericolosa dal momento che l'Occidente ha spaccato il gruppo dirigente della Rivoluzione ed ha assoldato  un'ala peteinista che è assai potente e può darsi che riesca a rovesciare Ahmanidjed ed ad aprirsi alle pretese imperiali degli Usa e del suo pretoriano Israele. In questo caso la popolazione di Gaza continuerà a soffrire la fame e la sete e la prigionia fino alla sua estinzione fisica  e magari il Libano, appena qualcuno avrà finito di ricostruirlo, sarà ridotto in macerie per la terza volta. Il destino dell'Iran sarà segnato da governi del genere di quelli che gli americani puntellano con le spade in Irak ed Afganistan.
    Che cosa avranno i giovani iraniani dalla vittoria del movimento in corso?
    Pietro Ancona

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=40&ID_articolo=162&ID_sezione=55&sezione=

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Liberazione

Obama: «Dietro l'attentato di Natale c'è la mano yemenita di al Qaeda»

Barack Obama ha scelto di rompere gli indugi e di puntare il dito sullo Yemen per indicare i responsabili dell'attentato fallito contro il volo Delta-Northwest. Per il presidente statunitense non ci sono dubbi: dietro l'opera del giovane nigeriano che il giorno di Natale voleva farsi esplodere sull'aereo in viaggio da Amsterdam a Detroit c'è la testa yemenita di al Qaeda. «Sappiamo che quest'uomo è stato nello Yemen, un paese che deve lottare contro una povertà devastante e una guerriglia micidiale» ha detto Obama riferendosi al nigeriano Umar Farouk Abdulmutallab. «Sembra» ha aggiunto, «che si sia unito a un gruppo legato ad al Qaeda, e che questo gruppo lo abbia addestrato e mandato a colpire quell'aereo». Non è la prima volta che i terroristi nascosti in Yemen attaccano gli Usa: «Negli anni scorsi hanno bombardato edifici governativi yemeniti, alberghi occidentali, ambasciate, compresa la nostra, nel 2008, provocando la morte di uno statunitense». Obama ha assicurato che Al Qaeda nella penisola araba pagherà per l'attacco: gli Usa sono «in guerra con una diffusa rete di violenza e di odio». Frasi che preannunciano un cambio di strategia da definire per la regione. Obama ha difeso gli sforzi della sua amministrazione. Oggi l'entourage del presidente sta cercando di far luce sul buco informativo che ha consentito ad Abdulmutallab di imbarcarsi. Obama è in attesa di informazioni che completino le notizie contenute nel rapporto preliminare sulla revisione dei controlli nelle procedure di imbarco e nella creazione di una «lista di attenzione». Dalle Hawaii, dove è in vacanza, il presidente aveva chiesto uno studio immediato dei «fallimenti umani e sistemici» che hanno dato al 23enne Abdulmutallab la possibilità di salire sul volo Delta-Northwest. «L'indagine va avanti e abbiamo saputo di più sul sospettato» ha aggiunto Obama, che nel suo messaggio radio si è difeso dagli attacchi della destra repubblicana, secondo cui non è stato fatto abbastanza per impedire il fallito attentato. Il presidente ha posto in evidenza il ritiro programmato dall'Iraq, la nuova strategia in Afghanistan e il rafforzamento dei rapporti con lo Yemen, dove gli Usa già addestrano ed equipaggiano le forze di sicurezza locali, condividendo informazioni di intelligence per colpire al Qaeda. L'anno scorso per interventi nel paese arabo gli Usa hanno speso nel programma antiterrorismo 67 milioni di dollari. Solo il Pakistan, con 112 milioni, ha avuto di più. Soldi ben spesi, per Obama. Il presidente ha convocato per il prossimo martedì i capi dell'intelligence in una riunione alla Casa Bianca. «Al Qaeda, le organizzazioni che le sono affiliate e i singoli kamikaze hanno esaminato le nostre misure di difesa e stanno progettando attacchi per superarle» ha aggiunto, «questi attacchi saranno più difficili da scoprire, interpretare e fermare». In vista della riunione, il presidente si è tenuto in contatto con il capo di gabinetto del Consiglio di sicurezza nazionale, Dennis McDonough, e con il consigliere per l'antiterrorismo, John Brennan. Molto, ha sottolineato Obama, è stato fatto, anche nello Yemen, un paese amico nella lotta al terrorismo e ai gruppi estremisti: «Chiunque sia coinvolto nell'atto di terrorismo di Natale è avvertito: la pagherà». Il presidente ha anche ricordato quanto disse nel giorno del suo insediamento, quasi un anno fa: «faremo ciò che sarà necessario per sconfiggere questa rete di odio e di violenza, difenderemo il nostro Paese e ci terremo saldi a quei valori che hanno sempre distinto l'America». r.es.

 

___________________________________

Yemen, la nuova-vecchia frontiera dell’internazionale qaedista Martino Mazzonis Una striscia di deserto con un’economia di semi-sussistenza in fondo alla penisola araba. Il Paese di origine del padre di Osama bin Laden e uno dei centri di reclutamento dei jihadisti stranieri che si precipitarono in Afghanistan a combattere contro l’invasione sovietica. E poi il porto di Aden è il luogo in cui era ormeggiata la USS Cole quando venne colpita da un’imbarcazione che ne sfasciò la fiancata e uccise 17 marinai - quacuno ricorda Syriana, il film con George Clooney? La presenza di al Qaeda in Yemen non è dunque una sorpresa per nessuno. Non è il passaggio di Umar Farouk Abdulmutallab per il Paese prima di imbarcarsi con le mutande esplosive a svelarcelo. Lo stesso generale Usa Petraeus ne ha parlato più volte nei mesi passati. Ci sono radici storiche, elementi recenti e alcune caratteristiche simili alla situazione afghana o somala che rendono relativamente facile la possibilità di organizzare delle basi senza essere troppo infastiditi dalle autorità locali. Ad esempio un rivolta nel nord e un tentativo di secessione nel sud e una crisi economica galoppante. Oppure vaste aree tribali nelle quali l’autorità del governo è relativa. Negli ultimi mesi non sono mancati neppure segnali di una ripresa - o di un rilancio - delle attività terroristiche. La rete originaria era stata colpita duramente dopo il 2001, quando la crociata di George W. Bush, sporca e disumana fin che si vuole, era diretta contro il nemico vero. Poi sono venute le armi di distruzione di massa in Iraq e al Qaeda è passata in second’ordine. E si è riorganizzata. Le cellula yemenita e saudita di al Qaeda si sono fuse in un’organizzazione regionale guidata da Nesser al Walhishi e dall’ex detenuto a Guantanamo Saeed al Shihiri. La loro rete ha basi solide nelle province montagnose e isolate di Marif e Jouf. Come per la branca maghrebina, quella yemenita- saudita è un’organizzazione regionale e le sue attività nei mesi passati indicano un passaggio da un modus operandi nazionale e di relativo basso profilo, a un ritorno al pensare in grande. Negli ultimi mesi diversi memri dell’anti-terrorismo sono stati uccisi, diversi europei rapiti, un gruppo di turisti sudcoreani attaccati da un’autobomba. Le autorità saudite, dal canto loro, hanno scoperto di recente un tentativo di contrabbandare diverse decine di cinture da kamikaze. Lo scorso agosto, poi, un kamikaze 23enne, riuscì a salire a bordo del capo della sicurezza nazionale saudita, il principe Mohammed bin Nayef, promettendo di avere rivelazioni da fare. Il giovane si è ucciso, sembra, riuscendo a ferire lievemente il principe. In Yemen si nasconde, predica e si collega ad internet anche il predicatore americano-yemenita Anwar al- Awlaqi che nei mesi precedenti il massacro di Fort Hood si era scritto a lungo con il maggiore Nidal Malik Hasan, che poi ha ucciso 13 persone nella base. La punta della penisola araba, a un passo dalla Somalia senza tregua e altro luogo di mille traffici è insomma la nuova zona franca di rifugio del terrorismo qaedista. Molte fonti indicano che con l’intensificarsi delle operazioni dell’esercito pakistano nelle aree tribali di confine con l’Afghanistan, decine di combattenti stranieri hanno lasciato il Paese per la nuova destinazione. La tragica crisi economica in cui versa lo Yemen non aiuta il governo ad avere una sua politica. E questo non è un bene.

..........................

Dieci anni dopo, al Qaeda c'è

Al Qaeda (o il suo marchio utilizzabile da chi creda) torna ad essere visibile e attiva in ogni sua espressione. Si chiude un decennio che ha visto emergere la vilenza fondamentalista nei Paesi musulmani così come tra i giovani ideologizzati immigrati di seconda generazione. Ieri a Copenaghen un giovane di orignie somala ha tentato di uccidere il vignettista Wettergaard, l'autore della vignette che ritraevano Maometto. Il ragazzo, collegato in qualche forma alle milizie qaediste somale è stato ferito e arrestato. Dall'altra parte dello mare, in Yemen, era passato Umar Farouk Abdulmutallab, il giovane nigeriano che ha fallito l'attentato di Natale. E nello Yemen, dove la rete ispirata da Osama bin Laden si è riorganizzata predica e si nasconde Anwar al Awlaqi, che ha ispirato il massacro di Fort Hood. Ieri Obama ha promesso di colpire duro al Qaeda nel Paese e convocato una riunione degli eserti per martedì.
 

                                                                       ****

Pubblichiamo di seguito l’articolo denuncia di Vattimo e Losurdo, da cui abbiamo appreso la notizia dell’appello manipolatorio:

Iran, un appello che alimenta il fuoco di guerra

Il manifesto di sabato 6 febbraio ha pubblicato un Appello «Per la libertà di espressione e la fine della violenza in Iran». A firmarlo, assieme a intellettuali inclini a legittimare o a giustificare tutte le guerre e gli atti di guerra (blocchi e embarghi) scatenate e messi in atto dagli Usa e da Israele, ce ne sono altri che in più occasioni, invece, hanno partecipato attivamente alla lotta per la pace e per la fine dell'interminabile martirio imposto al popolo palestinese. Purtroppo a dare il tono all'Appello sono i primi:

1) Sin dall'inizio si parla di «risultati falsificati dell'elezione presidenziale del 12 giugno 2009» e di «frode elettorale». A mettere in dubbio o a ridicolizzare questa accusa è stato fra gli altri il presidente brasiliano Lula. Perché mai dovremmo prestar fede a coloro che regolarmente, alla vigilia di ogni aggressione militare, fanno ricorso a falsificazioni e manipolazioni di ogni genere? Chi non ricorda le «prove» esibite da Colin Powell e Tony Blair sulle armi di distruzione di massa (chimiche e nucleari) possedute da Saddam Hussein?

2) L'Appello prosegue contrapponendo la violenza del regime iraniano alla «non-violenza» degli oppositori. In realtà vittime si annoverano anche tra le forze di polizia. Ma è soprattutto grave un'altra rimozione: da molti anni l'Iran è il bersaglio di attentati terroristici compiuti sia da certi movimenti di opposizione sia dai servizi segreti statunitensi e israeliani.

Per quanto riguarda questi ultimi attentati, ecco cosa scriveva G. Olimpio sul Corriere della Sera già nel 2003 (7 ottobre): «In perfetta identità di vedute con Washington», i servizi segreti israeliani hanno il compito di «eliminare», assieme ai «capi dei gruppi palestinesi ovunque si trovino», anche gli «scienziati iraniani impegnati nel progetto per la Bomba» e persino coloro che in altri Paesi sono «sospettati di collaborare con l'Iran».

3) L'Appello si sofferma con forza sulla brutalità della repressione in atto in Iran, ma non dice nulla sul fatto che questo paese è sotto la minaccia non solo di aggressione militare, ma di un'aggressione militare che è pronta ad assumere le forme più barbare: sul Corriere della Sera del 20 luglio 2008 un illustre storico israeliano (B. Morris) evocava tranquillamente la prospettiva di «un'azione nucleare preventiva da parte di Israele» contro l'Iran. In quale mondo vivono i firmatari dell'Appello: possibile che non abbiano letto negli stessi classici della tradizione liberale (Madison, Hamilton ecc.) che la guerra e la minaccia di guerra costituiscono il più grave ostacolo alla libertà? Mentre non è stupefacente che a firmare (o a promuovere) l'Appello siano gli ideologi delle guerre scatenate da Washington e Tel Aviv, farebbero bene a riflettere i firmatari di diverso orientamento: l'etica della responsabilità impone a tutti di non contribuire ad alimentare il fuoco di una guerra che minaccia il popolo iraniano nel suo complesso e che, nelle intenzioni di certi suoi promotori, non deve esitare all'occorrenza a far ricorso all'arma nucleare.

Domenico Losurdo e Gianni Vattimo Fonte: www.ilmanifesto.it 9.02.2010

E chiamiamo tutti i cittadini, tutte le coscienze deste a respingere con tutte le loro forze ogni istigazione ed incitamento alla guerra.

Non chiedamo ai nostri Lettori di dare il loro nome per un Controappello per la pace, alimentando una contrapposizione fra “interventisti” e “pacifisti” che non intendiamo esasperare. Chiediamo però di aderire alla costituzione di un Comitato europeo per la difesa della libertà di pensiero, in primo luogo nella stessa Europa, che pretende di insegnare ad altri, nella specie all’Iran, cosa sia libertà di pensiero e democrazia. Possono inviare il loro nome, cognome, qualifica è ogni altro dato utile all’indirizzo email: comitatoeuropeo@gmail.com. I loro dati saranno strettamente riservati e verranno utilizzati solo per le finalità associative.

CIVIUM LIBERTAS

Iconografia: – Le foto, eccetto il ritratto di Ahamadinejad, raffigurano tutte l’Università islamica di Gaza, prima e dopo ”Piombo Fuso”: vera rappresentazione dello spirito “accademico” israeliano, per non parlare degli immensi ed incalcolabili danni irreparabili compiuti in Iraq, sede storica della cultura babibonese, luogo di nascita della scrittura. Video: – Cosa pensa il popolo iraniano dei teppisti verdi.

Tante altre notizie su www.ariannaeditrice.it

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=30554

 

IRAN, UN APPELLO CHE ALIMENTA IL FUOCO DI GUERRA             vedi in calce all'appello il  
 

 DI DOMENICO LOSURDO E GIANNI VATTIMO
Il manifesto 9.02.2010

Il manifesto di sabato 6 febbraio ha pubblicato un Appello «Per la libertà di espressione e la fine della violenza in Iran» . A firmarlo, assieme a intellettuali inclini a legittimare o a giustificare tutte le guerre e gli atti di guerra (blocchi e embarghi) scatenate e messi in atto dagli Usa e da Israele, ce ne sono altri che in più occasioni, invece, hanno partecipato attivamente alla lotta per la pace e per la fine dell'interminabile martirio imposto al popolo palestinese. Purtroppo a dare il tono all'Appello sono i primi:



1) Sin dall'inizio si parla di «risultati falsificati dell'elezione presidenziale del 12 giugno 2009» e di «frode elettorale». A mettere in dubbio o a ridicolizzare questa accusa è stato fra gli altri il presidente brasiliano Lula. Perché mai dovremmo prestar fede a coloro che regolarmente, alla vigilia di ogni aggressione militare, fanno ricorso a falsificazioni e manipolazioni di ogni genere? Chi non ricorda le «prove» esibite da Colin Powell e Tony Blair sulle armi di distruzione di massa (chimiche e nucleari) possedute da Saddam Hussein?

2) L'Appello prosegue contrapponendo la violenza del regime iraniano alla «non-violenza» degli oppositori. In realtà vittime si annoverano anche tra le forze di polizia. Ma è soprattutto grave un'altra rimozione: da molti anni l'Iran è il bersaglio di attentati terroristici compiuti sia da certi movimenti di opposizione sia dai servizi segreti statunitensi e israeliani.

Per quanto riguarda questi ultimi attentati, ecco cosa scriveva G. Olimpio sul Corriere della Sera già nel 2003 (7 ottobre): «In perfetta identità di vedute con Washington», i servizi segreti israeliani hanno il compito di «eliminare», assieme ai «capi dei gruppi palestinesi ovunque si trovino», anche gli «scienziati iraniani impegnati nel progetto per la Bomba» e persino coloro che in altri Paesi sono «sospettati di collaborare con l'Iran».

3) L'Appello si sofferma con forza sulla brutalità della repressione in atto in Iran, ma non dice nulla sul fatto che questo paese è sotto la minaccia non solo di aggressione militare, ma di un'aggressione militare che è pronta ad assumere le forme più barbare: sul Corriere della Sera del 20 luglio 2008 un illustre storico israeliano (B. Morris) evocava tranquillamente la prospettiva di «un'azione nucleare preventiva da parte di Israele» contro l'Iran. In quale mondo vivono i firmatari dell'Appello: possibile che non abbiano letto negli stessi classici della tradizione liberale (Madison, Hamilton ecc.) che la guerra e la minaccia di guerra costituiscono il più grave ostacolo alla libertà? Mentre non è stupefacente che a firmare (o a promuovere) l'Appello siano gli ideologi delle guerre scatenate da Washington e Tel Aviv, farebbero bene a riflettere i firmatari di diverso orientamento: l'etica della responsabilità impone a tutti di non contribuire ad alimentare il fuoco di una guerra che minaccia il popolo iraniano nel suo complesso e che, nelle intenzioni di certi suoi promotori, non deve esitare all'occorrenza a far ricorso all'arma nucleare.

Domenico Losurdo e Gianni Vattimo
Fonte: www.ilmanifesto.it
9.02.2010

 

 

 Fulvio Grimaldi   mercoledì 10 febbraio 2010 IRAN: UNA LEZIONE AGLI UTILI IDIOTI

Quando i dirigenti diventano più stupidi dei sottoposti, si va verso la catastrofe . (Antonio Gramsci) Ogni volta che ti ritrovi dalla parte della maggioranza, è tempo di fermarsi e riflettere (Mark Twain)

Rubo un’altra volta, ma rubo ai ricchi di intelligenza per dare ai poveri di conoscenza. Dunque, qui sotto troverete un appello di Domenico Losurdo e Gianni Vattimo, due delle migliori teste che la nostra disastrata sinistra possa vantare, contro i furbi e i fessi che si precipitano a firmare il solito appello “umanitario” spurgato dalle viscere Cia-Mossad del’impero. Stavolta si tratta dell’Iran e quella di Losurdo e Vattimo è un’eccellente risposta – che mi permetto di integrare con poche considerazioni – non tanto ai furbi, che sanno quello che fanno e sanno altrettanto bene che i due compagni hanno perfettamente ragione, ma ai fessi che insistono a ingurgitare la psyop (“operazione psicologica” secondo i manuali Cia) “rivoluzione verde” come fosse una lattina di Coca Cola (e anche più tossica). Fa impressione sentire esternare le stesse argomentazioni sull’Iran “sotto dittatura, carnefice di oppositori, studenti, intellettuali, riformisti”, da voci che si piccano di essere di sinistra (“il manifesto”, “liberazione”, corifei viola, detriti vari), o perlomeno antimperialisti (Uruknet e altri siti di informazione anti-Usa e anti-israeliani), e da quelle che si sanno dichiaratamente imperialiste o nazisioniste (da Hillary Clinton a Netaniahu, da Angela Merkel a Gordon Brown, dal rumeno che ha appena accettato lo scudo missilistico obamiano al nostrano guitto mannaro). Va incidentalmente ricordato anche come il silenzio, l’ignavia, di questi umanitaristi di sinistra sia stato la migliore copertura al colpo di stato alla cilena allestito dagli Usa in Honduras, con specialisti israeliani a provvedere alla necessaria liquidazione degli oppositori. Chiediamoci come mai tutti questi benpensanti non abbiano denunciato il regime del terrore in Honduras, quanto hanno starnazzato sulla repressione iraniana contro gli agenti della destabilizzazione.

La dabbenaggine politica di questi sicofanti che guaiscono nel coro di chi prepara l’attacco, probabilmente nucleare, all’Iran, o perlomeno ai suoi siti nuclerari, con gli effetti collaterali alla Cernobyl che ne conseguirebbero, supera la presunzione della buonafede e si colloca nella zona grigia tra infantilismo ideologico e collaborazionismo cosciente. A questo punto, non importa nemmeno se questa gente sia consapevole o ottusa: l’effetto benefico per i papponi che gestiscono il bordello è lo stesso, che entrino clienti, o curiosi dell’arredo. Tutti sostengono l’impresa. Non ci vuole davvero una laurea in geopolitica per collocare i pezzi sulla scacchiera e ipotizzarne le opzioni e mosse. E non c’è bisogno di tifare per uno dei giocatori, quando entrambi barano, chi in una partita e chi nell’altra. Basta vedere chi bara per cosa. Quando si pronosticavano guerre imminenti all’Iran mentre era in corso quella all’Iraq, con successiva occupazione e nazionicidio operati in armonica congiunzione, per quanto a volte concorrenziale, da Usa, Israele e Iran, si vendevano lucciole per lanterne e si copriva la confluenza di interessi dell’uno e degli altri: degli Usa per il petrolio e l’avanzata geostrategica verso l’Asia centrale, dell’Iran per il congenito espansionismo verso l’ovest arabo. Del resto non erano stati gli Usa di Reagan e Israele ad armare l’Iran e a pretendere da Khomeini, in cambio del suo insediamento a capo e corruttore di una rivoluzione fatta e vinta dalle sinistre persiane, l’assalto al comune nemico, il laico, socialista e davvero antimperialista e antisionista Iraq di Saddam Hussein? Allora gli strepiti di un’imminente guerra occidentale al compare Iran aveva la stessa fondatezza dell’attribuzione di una matrice islamica all’11 settembre e seguenti. Oggi, invece, dopo che l’Iran ha sostanzialmente soffiato l’Iraq agli Stati Uniti e, nella sua strategia del doppio binario, tipica di qualsiasi potenza che per affermarsi deve giocare su più tavoli, fatto fuori (per il momento e nemmeno tanto) l’ostacolo iracheno, si ritrova a collidere con il colluso di prima: Israele e, dietro, gli Usa. Abbandonato il binario iracheno sul quale correvano la locomotiva Usa con al traino i vagoni iraniani, lungo quest’altro binario corre il sostegno iraniano a Hezbollah che, in Libano, rappresenta il catenaccio nord contro l’espansionismo israeliano, e Hamas, che è quanto rimane a minare la normalizzazione genocida del tritacarne israeliano. Possiamo arrampicarci quanto vogliamo lungo i fili ai quali siamo appesi dalle Parche, per individuare se l’antimperialismo di Tehran nasca da una base antiborghese e popolare e, soprattutto, se sia sincero o strumentale il suo appoggio alle forze che in Medioriente o in America Latina s’infilano negli ingranaggi del rullo compressore imperialista. E’ davvero come discutere del sesso degli angeli, esercizio narcotizzante praticato utilmente dalla Chiesa per duemila anni. Non caschiamoci. Il dato di fatto è che, apparentemente risolta la questione irachena, ora se la vedono tra di loro, Israele, gli Usa e l’Iran, su chi dalla mattanza irachena debba trarre il massimo beneficio in termini di egemonia regionale. E ora, dunque, anche alla luce dell’ululare bellico sempre più forsennato dei dirigenti israeliani e euro-statunitensi, degli allestimenti logistico-militari in zona, dell’immagazzinamento in Israele di quantitativi spaventosi di armi d’attacco Usa, l’ipotesi di un assalto dei necrofori occidentali all’Iran, preparato dalla rivoluzione verde cara ai coglioni dirittoumanisti, si fa concreto. Non rimane che l’Iran come grande stato nazionale islamico, non domato. Non rimane che l’Iran come trincea tra le armate occidentali e quelle dell’India sionistizzata ai blocchi di partenza, e l’Asia centrale, la Russia, la Cina, il resto del mondo. Intollerabile per i cannibali di Washington, Tel Aviv e Bruxelles. Per cui non sapere da che parte stare in questa congiuntura, significa davvero non aver capito niente e lavorare per il Re di Prussia. Quanto a veli, turbanti e barbe, lasciamo questi arnesi alle fisime teodem di Giuliana Sgrena e del suo codazzo di ginocrate, vivandiere dei lanzichenecchi. La parola a Losurdo e Vattimo.

 

“La libertà di pensiero e di espressione”, quando fa comodo ed a sproposito! di Antonio Caracciolo - 11/02/2010

Fonte: Civium Libertas [scheda fonte]

Non crediamo ad una sola parola dell’Appello menzognero, in nome della “libertà di espressione”  che è apparso su “il Manifesto” di sabato 6 gennaio, accompagnato da un elenco di firmatari. Non crediamo più neppure agli Appelli, che quando non sono “politicamente corretti” ed in sintonia con il regime servono solo a dare i propri nomi alla psicopolizia del pensiero. Pertanto “Civium Libertas” non si farà promotore di un Controappello di contrasto ad ogni incitamento, diretto o indiretto, alla guerra contro il popolo iraniano, un’operazione che da anni viene condotta con incessante accanimento.

Non possiamo credere a quanti gridano per una supposta mancanza di libertà di pensiero e di espressione in Iran, ma tacciono quando la libertà di pensiero e di espressione viene calpestata in Italia. Non vedono come nella sola Germania ogni anno 15.000 persone vengono perseguite per meri reati di opinione. Simili leggi liberticide esistono in Francia, in Austria, in Svizzera ed in altri paesi, dopo che nel 1986 Israele diede l’ordine di scuderia perché analoghe legislazioni venissero introdotte in Europa. Costoro ci vengono a parlare della libertà in Iran, quando non si preoccupano della libertà in casa loro, della libertà dei loro concittadini. Abbiamo già assistito alla campagna di menzogne che ha preceduto la guerra contro l’Iraq, costata oltre un milione di morti civili ed ancora in atto.

Ricordiamo che la nostra costituzione al suo articolo 11 ripudia la guerra ed è inaccettabile ogni elusione del chiaro dettato costituzionale. Quest’articolo è stato però ripetutamente violato. L’Italia si trova oggi in guerra in Afghanistan ed ora con la politica estera di Frattini e della Lobby di cui è espressione vogliono portare il popolo italiano in guerra anche contro il popolo iraniano. A questa Lobby che sa quel che vuole ed a chi ubbidisce si accodano gli eredi di quella “cupidigia di servilismo” che Vittorio Emanuele Orlando già denunciò oltre mezzo secolo fa. La storia dell’atomica iraniana è una colossale bufala come furono una bufala gli armamenti di Saddam. Costoro non guardano a chi l’atomica ce l’ha: Israele. È qui il vero pericolo per la pace con rischio serio di Olocausto Nucleare: ne abbiamo già predisposto la giornata commemorativa. Con rara ipocrisia i soliti chierici gridano all’Atomica che non c’è e chiudono occhi e bocca davanti ai loro committenti che l’Atomica possiedono e ne fanno arma di ricatto!

Costoro chiedano in primo luogo che vengano smantellati gli impianti nucleari di Israele. Solo allora ci vengano a parlare di pace, libertà di pensiero, democrazia.

 

                                                                            ****

 La “Rivoluzione Verde”: il copione è stato riproposto; questa volta in Iran lunedì 22 giugno 2009 di Eva Golinger

Il set

Colore: Verde

Slogan: “Dov’è il mio voto?”

Attori principali: Studenti e giovani delle classe media e alta, dirigenti dell’opposizione, mezzi di comunicazione internazionale, nuove tecnologie (Twitter, Youtube, cellulari, SMS, Internet).

Attori secondari: Organizzazioni non governative (ONG) internazionali, Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, Freedom House, Centro per l’applicazione dell’azione non violenta “CANVAS” (ex OTPOR), Centro per il Conflitto Internazionale Non Violento (ICNC), Istituto Albert Einstein, Pentagono, Missione Speciale della Direzione Nazionale dell’Intelligence USA per l’Iran.

Scenario: Elezioni Presidenziali; il candidato ufficiale, Mahmud Ahmadinejad, l’attuale presidente che mantiene una linea molto dura contro l’imperialismo statunitense e il sionismo israeliano e gode di un alto grado di popolarità tra le classi popolari iraniane per gli investimenti in programmi sociali, vince con il 63% dei voti; il candidato dell’opposizione, Mir Hossein Musavi, di classe medio-alta, che prometteva (in inglese) durante la campagna che la sua elezione alla presidenza avrebbe assicurato “un nuovo saluto al mondo”, frase che stava ad indicare che avrebbe cambiato la politica estera nei confronti di Washington, ha perso per più di 15 punti; l’opposizione denuncia una frode elettorale e chiede alla comunità internazionale di intervenire; gli studenti manifestano nelle strade, nelle zone della classe media e alta della capitale, Teheran; dicono di essere “non violenti”, ma provocano reazioni repressive dello Stato con azioni aggressive e immediatamente denunciano presunte violazioni dei loro diritti di fronte ai media internazionali; dicono che il presidente eletto è un “dittatore”.

Luogo: L’Iran, quarto produttore di petrolio nel mondo e il secondo di riserve di gas naturale. In piena flagranza dell’embargo commerciale imposto da Washington, la Cina ha firmato un accordo con l’Iran nell’anno 2004, per un valore di 200.000 milioni di dollari, per l’acquisto di gas naturale iraniano nei prossimi 25 anni. Negli ultimi quattro anni, l’Iran ha stretto relazioni commerciali con i paesi dell’America Latina, nonostante le minacce di Washington, e attualmente sviluppa tecnologia nucleare a scopi pacifici.

Vi suona familiare? Di certo suona familiare ai venezuelani e alle venezuelane che da tre anni, senza ombra di dubbio, stanno vivendo in questo scenario. Le cosiddette “rivoluzioni colorate”, che cominciarono in Serbia nell’anno 2000, con il rovesciamento e la demonizzazione di Slobodan Milosevic, e che poi passarono per la Georgia, l’Ucraina, il Kirghiztan, il Libano, la Bielorussia, l’Indonesia e il Venezuela, sempre con l’intenzione di cambiare “regimi” non favorevoli agli interessi di Washington con governi “più amichevoli”, sono adesso arrivate in Iran. Il copione è identico. Un colore, un logotipo, uno slogan, un gruppo di studenti e giovani di classe media, un processo elettorale, un candidato filo-statunitense e un paese pieno di risorse strategiche con un governo che non rispetta l’agenda dettata dall’impero. Sono sempre le stesse ONG e agenzie straniere quelle che appoggiano, finanziano e promuovono la strategia, fornendo contributi finanziari e formazione strategica ai gruppi studenteschi perché eseguano il piano. Dovunque ci sia una “rivoluzione colorata”, si trovano anche l’USAID, il National Endowment for Democracy, Freedom House, il Centro Internazionale per il Conflitto Non Violento, il CANVAS (ex OTPOR), l’Istituto Albert Einstein, l’Istituto Repubblicano Internazionale e l’Istituto Democratico Nazionale, per citarne alcuni.

Si esamini questo testo, intitolato “Una guida non violenta per l’Iran”, scritto dall’ex direttore dell’Istituto Albert Einstein, fondatore del Centro Internazionale per il Conflitto Non Violento (INCR) e presidente di Freedom House, Peter Ackerman, e dal suo collega, coautore del libro “Una forza più potente: un secolo di conflitto non violento” e direttore dell’INCR, Jack DuVall, anch’egli esperto in propaganda e cofondatore dell’Istituto Arlington, insieme con l’ex direttore della CIA, James Woolsey:

“Manifestazioni ripetute, guidate da studenti a Teheran, devono accelerare a Washington il dibattito sull’Iran. Ci si sta ponendo due domande? Le manifestazioni sono in grado di produrre un cambiamento di regime? Che tipo di appoggio esterno servirebbe?

La storia dei movimenti civili, come quello che attualmente si sta creando in Iran, evidenzia che il riscaldamento della piazza non è sufficiente a rovesciare un governo. Se l’aiuto degli Stati Uniti apporta semplicemente più legna al fuoco e l’opposizione interna non lavora per indebolire le fonti reali del potere del regime, non funzionerà.

La lotta vittoriosa del movimento civile ha l’obiettivo di promuovere l’ingovernabilità per mezzo degli scioperi, del boicottaggio, della disobbedienza civile ed altre tattiche non violente – oltre alle proteste di massa -, allo scopo di indebolire e distruggere i pilastri di sostegno del governo. Ciò è possibile in Iran.

Gli avvenimenti in Iran sono simili a quelli della Serbia appena prima che il movimento diretto da studenti sconfiggesse Slobodan Milosevic. Il suo regime si era alienato non solamente gli studenti, ma anche la maggioranza della classe media… Anche la classe politica era divisa e molti erano stanchi del dittatore. Cogliendo l’opportunità, l’opposizione si mobilitò per separare il regime dalle sue fonti di potere…”

L’elemento maggiormente rivelatore di questo articolo non è solo l’ovvia visione interventista che cerca di promuovere un colpo di stato in Iran, ma il fatto che esso fu scritto il 22 luglio 2003, quasi sei anni fa (vedere l’originale: http://www.nonviolent-conflict.org/rscs_csmArticle.shtml). In questi sei anni l’organizzazione di Ackerman e DuVall, insieme ai soci, CANVAS a Belgrado e l’Istituto Albert Einstein a Boston, ha lavorato per formare e rendere efficienti gruppi di studenti nelle tecniche di golpe morbido in Iran, con finanziamenti della NED, di Freedom House e delle agenzie del Dipartimento di Stato. Non è casuale che CANVAS, composto dai leader del gruppo OTPOR della Serbia che rovesciò Milosevic, abbia da qualche tempo cominciato a pubblicare i suoi materiali in farsi e in arabo. Una delle pubblicazioni principali, realizzata con il finanziamento del Dipartimento di Stato degli USA attraverso l’Istituto Statunitense della Pace, dal titolo “La lotta non violenta: i 50 punti critici”, è considerata come “un manuale di perfezionamento della lotta strategica non violenta, che offra una molteplicità di informazioni pratiche…” E’ un libro elettronico diretto a un pubblico giovanile, come evidenzia una grafica, un disegno e un linguaggio per i giovani. Scritto originalmente in serbo, nel corso dell’ultimo anno è stato tradotto in inglese, spagnolo, francese, arabo e farsi (la lingua parlata in Iran). La versione in farsi: http://www.canvasopedia.org/files/various/50CP_Farsi.pdf.

Questo libro è una versione moderna, con un disegno più attraente per la gioventù, del libro originale scritto dal guru della lotta “civile” per il cambiamento di regimi non favorevoli a Washington: Gene Sharp. Il suo libro, “Sconfiggendo un dittatore”, che si è tradotto anche in un film prodotto da Ackerman e DuVall, è stato utilizzato in tutte le rivoluzioni colorate in Europa Orientale, ed anche in Venezuela, ed è considerato dai movimenti studenteschi come la propria “bibbia”. L’introduzione del libro di CANVAS spiega: “Questo libro è il primo che applica l’azione strategica non violenta a campagne reali. Le tecniche presentate nei prossimi 15 capitoli hanno avuto successo in molti luoghi del mondo… Questo libro contiene lezioni apprese attraverso diverse lunghe e difficili lotte non violente contro regimi non democratici e oppositori delle libertà umane fondamentali… Gli autori sperano e credono che comunicare questi punti cruciali in tale formato, vi aiuterà a rendere più operativa l’azione strategica non violenta, affinché possiate recuperare i vostri diritti, superiate la repressione, resistiate all’occupazione, realizziate la democrazia e stabiliate la giustizia nella vostra terra; impedendo che questo secolo sia un’altra “Era degli estremi”.

Ovviamente non è una coincidenza che il libro sia uscito in farsi e in arabo proprio qualche mese prima delle elezioni presidenziali dell’Iran, dal momento che queste organizzazioni avevano già cominciato a lavorare con l’opposizione iraniana per preparare lo scenario del conflitto. E ora, veniamo al contenuto e agli obiettivi di questo libro, che ora vengono perseguiti all’interno del territorio iraniano. (E’ pure interessante segnalare che l’edizione spagnola uscì proprio prima del referendum costituzionale in Venezuela e che la traduzione fu realizzata da un’organizzazione sconosciuta del Messico: “Non violenza in Azione” (NOVA). Un paese in cui ha soggiornato lungamente l’ex dirigente studentesco venezuelano Yon Goicochea, che ha ricevuto addestramento e finanziamento da parte dei gruppi stranieri prima menzionati).

Inoltre, la grande agenzia di destabilizzazione, National Endowment for Democracy (NED), ha anch’essa lavorato attivamente per destabilizzare la rivoluzione iraniana ed imporre un regime favorevole agli interessi di Washington. Dopo le elezioni presidenziali in Iran nell’anno 2005, l’allora segretaria di Stato Condoleeza Rice annunciò la creazione di un nuovo Ufficio per gli Affari Iraniani, con un bilancio iniziale di 85 milioni di dollari approvato dal Congresso statunitense. Gran parte di questo denaro fu dirottato verso il lavoro della NED e di Freedom House, che già stavano finanziando alcuni gruppi all’interno e all’esterno dell’Iran, i quali operavano diffondendo informazioni sugli abusi dei diritti umani in Iran, e la formazione di giornalisti “indipendenti”. Organizzazioni come l’Associazione dei Maestri dell’Iran (ITA) hanno ricevuto finanziamenti della NED fin dal 1991 per promuovere la pubblicazione di una rivista politica che contribuiva alla costruzione di un Iran “democratico”. Anche la Fondazione per un Iran Democratico (FDI), con base negli Stati Uniti, è stata uno dei principali recettori dei fondi della NED. Il suo lavoro è stato orientato nel campo dei diritti umani, principalmente per presentare il governo iraniano come violatore dei diritti dei suoi cittadini. Questa organizzazione è strettamente legata agli istituti dell’ultradestra negli Stati Uniti, come l’American Enterprise Institute e il Progetto per un Nuovo Secolo Americano, che hanno fatto pressione per le guerre in Medio Oriente*.

La NED ha anche finanziato gruppi come la Fondazione Abdurrahman Boroumand (ABF), una ONG che presumibilmente promuove diritti umani e democrazia in Iran. Questa organizzazione si è incaricata di creare pagine web e biblioteche elettroniche sui diritti umani e la democrazia. Nel 2003, ABF ricevette un fondo di 150.000 dollari per un progetto dal titolo “La transizione alla democrazia in Iran”. Nel 2007, ABF ottenne 140.000 dollari per “creare coscienza sulle esecuzioni politiche dall’inizio della rivoluzione iraniana nel 1979, promuovere la democrazia e i diritti umani tra i cittadini e rafforzare la capacità organizzativa della società civile”. Si impegnò anche ad “assumere un consigliere per le comunicazioni e a condurre campagne mediatiche”.

Quantità di denaro non rivelate pubblicamente dalla NED sono state concesse a diverse ONG tra il 2007 e il 2009, per costruire un appoggio internazionale alle ONG e agli attivisti dei diritti umani nazionali… favorire la società civile iraniana e i rappresentanti dei mezzi di comunicazione a relazionarsi e a comunicare con la comunità internazionale…”

Inoltre, i gruppi più importanti della NED, come il Centro Americano di Solidarietà Lavorativa (ACILS), che in Venezuela ha sostenuto il sindacato golpista dell’opposizione, la Confederazione dei Lavoratori Venezuelani (CTV), ha finanziato e consigliato il “movimento operaio indipendente” in Iran dal 2005. Anche l’Istituto Repubblicano Internazionale (IRI) ha ricevuto fondi dalla NED per “legare attivisti politici in Iran a riformisti in altri paesi” e “rafforzare la loro capacità di comunicazione e organizzazione”. Si tratta delle stesse attività e delle stesse agenzie di Washington che conducono le azioni di ingerenza in Venezuela, Bolivia, Nicaragua e altri paesi in cui attualmente gli Stati Uniti cercano di promuovere un cambiamento del governo con un altro più favorevole ai loro interessi.

Anche la manipolazione mediatica su ciò che avviene attualmente in Iran segue un proprio copione. In Venezuela, quando il presidente Chavez vinse le elezioni presidenziali nel 2006 con il 64% dei voti e più del 75% di partecipazione popolare, l’opposizione gridò alla frode (come in generale è abituata a fare in tutti i processi elettorali che perde) e ricevette copertura mediatica allo scopo di formulare e promuovere le sue denunce, nonostante non presentasse nessuna prova che desse fondamento alle accuse. Tale presenza mediatica viene attivata semplicemente per continuare a promuovere correnti di opinione che pretendono di demonizzare il presidente Chavez, definendolo un dittatore, e di gettare discredito sul governo venezuelano, per poi giustificare qualsiasi intervento straniero.

Nel caso dell’Iran, in questo momento vediamo titoli come “Proteste in Europa contro il voto in Iran” (AP), “Khamenei v. Musavi” (Atantic Online), “Grande manifestazione di lutto a Teheran” (Reuters), “Una nuova inchiesta indica la frode” (Washington Post), “Biden esprime “dubbi” sulle elezioni in Iran” (CNN, 14/06/2009), e “Analisti rivedono i risultati “ambigui” in Iran” (CNN, 16/06/2009). I titoli generano l’impressione di una possibile frode elettorale in Iran, giustificando di conseguenza le proteste violente dell’opposizione, sebbene Ahmadinejad abbia vinto con un risultato impressionante, il 63% dei voti, dieci punti in più di quelli che ha conseguito Obama negli Stati Uniti lo scorso mese di novembre. Per spiegare la reazione mediatica, secondo l’ex ufficiale della CIA incaricato della regione del Medio Oriente, Robert Baer, “la maggior parte delle manifestazioni e delle proteste che trovano spazio nelle notizie sono ubicate nella zona nord di Teheran… Si tratta, principalmente, di settori dove vive la classe media liberale iraniana. Sono anche settori in cui, senza dubbio, si è votato per Mir Hossein Mussavi, il rivale del presidente Mahmud Ahmadinejad, il quale ora denuncia la frode elettorale. Ma non abbiamo ancora visto immagini del sud di Teheran, dove vivono i poveri… Per molti anni, i media occidentali hanno visto l’Iran attraverso lo specchio della classe media liberale iraniana – una comunità che ha accesso a Internet e alla musica statunitense, che ha maggiori possibilità di parlare con la stampa occidentale e che dispone di denaro per comprare voli a Parigi o a Los Angeles… Ma rappresenta davvero l’Iran?”

Baer, in un articolo pubblicato nella rivista Time**, afferma che una dei pochi sondaggi affidabili, elaborati da analisti occidentali negli ultimi giorni della campagna elettorale, dava la vittoria ad Ahmadinejad – con percentuali ancora più alte del 63% che ha ottenuto… Il sondaggio è stato effettuato in tutto l’Iran e non solo nelle zone della classe media”.

su www.rebelion.org del 20/06/2009

Traduzione di Mauro Gemma per http://www.lernesto.it

* http://www.zmag.org/znet/viewArticle/2501

** “Don’t Assume Ahmadinejad Really Lost”, Time online, 16 giugno 2009

Pubblicato da rifondazionenichelino a 03.29 

   

__________________________________

 

      

Su Repubblica di 26-5-2010 pag.17

 

 

 

 

Il comandante militare degli Stati Uniti per il Medio Oriente e la regione del Golfo ha confermato che gli Stati Uniti ha messo a punto piani di emergenza per affrontare gli impianti nucleari dell'Iran.

 

http://translate.google.it/translate?hl=it&sl=en&u=

Il Pentagono aumenta le operazioni segrete nel mondo

 

Un premio Nobel per la Pace (in teoria) non fa la guerra. O almeno, quando la fa, non lo ostenta, preferendo, invece, parlare di dialogo, cambiamento e fine dell’unilateralismo. Non è un caso, quindi, che sotto l’amministrazione Obama il Pentagono abbia deciso di espandere le operazioni segrete in tutto il mondo. Con una direttiva riservata del 30 settembre scorso, il generale David Petraeus (foto), capo del Comando centrale Usa, ha ordinato di espandere l’attività militare clandestina al di fuori dei teatri di guerra, in Paesi alleati e nemici nel Vicino Oriente, nell’Asia Centrale e nel Corno d’Africa.

Lo ha rivelato ieri il New York Times, spiegando che l’obiettivo di queste attività, affidate agli uomini delle Operazioni Speciali, è di raccogliere informazioni, “infiltrare, distruggere e neutralizzare” eventuali formazioni terroristiche, oppure allacciare rapporti con gruppi combattenti locali per “preparare il terreno” a un futuro intervento militare.

Il documento (Joint Unconventional Warfare Task Force Executive Order) non nomina esplicitamente alcun Paese e non chiarisce esattamente quali operazioni vengano autorizzate. Tuttavia, fa notare il Nyt, il testo “appare autorizzare specifiche operazioni in Iran” come “la raccolta di notizie d’intelligence sul programma nucleare” o “l’identificazione di gruppi dissidenti che potrebbero essere utili per una futura offensiva militare”.

Inoltre si suppone che l’approvazione della direttiva sia alla base dell’aumento dell’attività militare statunitense in Yemen, dove nei mesi scorsi l’aviazione Usa è intervenuta ripetutamente con raid e bombardamenti contro sospetti membri di al Qaida.

Anche durante l’amministrazione Bush, il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld aveva autorizzato alcune operazioni militari segrete in una dozzina di Paesi lontano dalle zone di guerra, scatenando diverse polemiche al Dipartimento di Stato e alla Cia. E non sempre con risultati soddisfacenti. Nel 2004 uno dei primi gruppi inviati all’estero fu portato fuori dal Paraguay in fretta e furia dopo aver ucciso un rapinatore armato di pistola che gli aveva attaccati appena scesi da un taxi. Uomini delle Operazioni Speciali hanno condotto altre operazioni in Siria, Pakistan e Somalia.

Tuttavia, sottolinea il New York Times, il nuovo ordine di Petraeus “mira a rendere questi sforzi più sistematici e di lungo periodo” e, soprattutto, consente al Pentagono di aumentare la propria autonomia, riducendo la dipendenza dalla Cia e dalle altre agenzie d’intelligence. Infatti, diversamente dalle azioni clandestine della Cia, queste attività militari non hanno bisogno dell’approvazione del presidente e non devono essere esposte in regolari rapporti al Congresso. Anche se fonti del Pentagono assicurano che ogni attività significativa passa prima attraverso il Consiglio per la Sicurezza Nazionale.

Per il momento, comunque, al Pentagono non mancano quelli che ritengono si tratti di una direttiva “a doppio taglio”, in quanto potrebbe compromettere i rapporti con Paesi amici come l’Arabia Saudita e lo Yemen, o alimentare l’ostilità di Stati come la Siria e l’Iran.

 

 

 PERCHE' GLI EBREI IRANIANI STANNO MEGLIO DEI PALESTINESI DI GAZA
 

DI MIKE WHITNEY
counterpunch.org

Vivere nella dignità con i benefici della cittadinanza

25 000 Ebrei vivono in Iran. È la più grande popolazione ebraica nel Medio Oriente fuori da Israele. Gli Ebrei iraniani non sono perseguitati, né subiscono abusi da parte dello stato, anzi, sono protetti dalla Costituzione iraniana. Sono liberi di praticare la loro religione e di votare alle elezioni. Non vengono fermati e perquisiti ai posti di blocco, non vengono brutalizzati da un esercito di occupazione, e non vengono ammassati in una colonia penale densamente popolata (Gaza) dove vengono privati dei loro mezzi di sussistenza di base. Gli Ebrei iraniani vivono nella dignità e godono dei diritti della cittadinanza.

Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad è stato demonizzato dai media occidentali. Viene definito un antisemita e il “nuovo Hitler”. Ma se queste teorie sono vere, perché la maggioranza degli Ebrei iraniani ha votato per Ahmadinejad alle recenti elezioni presidenziali? Potrebbe essere che la gran parte di quello che sappiamo su Ahmadinejad altro non sia che voci senza fondamento e propaganda?

Questo estratto è stato pubblicato in un articolo della BBC:

“l’ufficio di (Ahmadinejad) ha fatto una recente donazione di denaro all’ospedale ebraico di Tehran. È solo uno dei quattro ospedali di carità ebraici in tutto il mondo ed è finanziato con le sovvenzioni della diaspora ebraica – una cosa straordinaria in Iran, dove persino le organizzazioni di aiuto locali hanno difficoltà a ricevere sovvenzioni dall’estero per timore di essere accusati di essere agenti stranieri”.

Quando mai Hitler ha donato denaro agli ospedali ebraici? L’analogia con Hitler è un tentativo disperato di fare il lavaggio del cervello agli Americani. Non ci dice niente di come sia realmente Ahmadinejad.

Le menzogne su Ahmadinejad non sono diverse da quelle su Saddam Hussein o su Hugo Chavez. Gli Stati Uniti e Israele stanno cercando di creare la giustificazione per un’altra guerra. È per questo che i media attribuiscono ad Ahmadinejad di aver detto cose che non ha mai detto. Non ha mai detto di “volere cancellare Israele dalla carta geografica”. Questa è un’altra finzione. L’autore Jonathan Cook spiega quello che il presidente iraniano ha realmente detto:

“Questo mito è stato riciclato a non finire dal momento in cui fu commesso un errore di traduzione di un discorso di Ahmadinejad fatto quasi due anni fa. Gli esperti della lingua persiana hanno verificato che il presidente iraniano, lungi dal minacciare di distruggere Israele, stava citando un discorso precedente del defunto Ayatollah Khomeini, in cui rassicurava i sostenitori dei Palestinesi che “il regime Sionista a Gerusalemme” sarebbe “svanito dalla pagina del tempo”.

Non minacciava di sterminare gli Ebrei e neppure Israele. Stava paragonando l’occupazione da parte di Israele dei [territori] Palestinesi ad altri sistemi illegittimi di governo il cui tempo è ormai finito, compresi gli Shah che un tempo governavano l’Iran, l’apartheid in Sud Africa e l’impero sovietico. Ciononostante, questa traduzione errata è persistita e ha prosperato perché Israele e i suoi sostenitori l’hanno sfruttata per i propri crudi scopi di propaganda”. (“Israel Jewish problem in Tehran, Jonathan Cook, The Electronic Intifada)

Ahmadinejad non rappresenta una minaccia né per Israele né per gli Stati Uniti. Come chiunque altro in Medio Oriente, vuole una tregua dall’aggressione degli USA e di Israele.

Questo [estratto] proviene da Wikipedia:

“Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha mosso accuse di discriminazione in Iran contro gli Ebrei. Secondo tale studio, gli Ebrei non potrebbero occupare alte posizioni nel governo e non potrebbero prestare servizio nei servizi giudiziari e di sicurezza, né diventare presidi di scuole pubbliche. Lo studio dice che ai cittadini ebrei è consentito ottenere il passaporto e viaggiare fuori dal paese, ma che spesso gli vengono loro negati i permessi di uscite multiple normalmente rilasciati agli altri cittadini. Le accuse mosse dal Dipartimento di Stato americano sono state condannate dagli Ebrei iraniani. La Association of Tehrani Jews ha detto in una dichiarazione, “noi Ebrei iraniani condanniamo le accuse del Dipartimento di Stato americano sulle minoranze religiose iraniane, annunciato che siamo pienamente liberi di praticare i nostri doveri religiosi e non sentiamo alcuna restrizione in merito alla pratica dei nostri rituali religiosi”.

A chi dovremmo credere: agli Ebrei che a tutti gli effetti vivono in Iran, o alle provocazioni del Dipartimento di Stato americano?

Ci sono 6 macellerie kosher, 11 sinagoghe e numerose scuole ebraiche a Tehran. Né Ahmadinejad, né nessun altro funzionario del governo iraniano ha mai fatto alcun tentativo di far chiudere queste strutture. Mai. Gli Ebrei iraniani sono liberi di viaggiare (o di spostarsi) ad Israele a loro piacimento. Non sono imprigionati da un esercito di occupazione. Non gli vengono negati né cibo, né medicine. I loro figli non crescono con disturbi mentali provocati dal trauma della violenza sporadica. Le loro famiglie non vengono fatte saltare in aria dagli elicotteri d’assalto che girano intorno alle spiagge. I loro sostenitori non vanno a finire sotto ai bulldozer, né gli vengono sparati nel cranio delle pallottole di gomma. Quando fanno manifestazioni pacifiche per le loro libertà civili non vengono picchiati né vengono usati gas lacrimogeni. I loro leader non vengono perseguitati ed uccisi con assassini premeditati.

Roger Cohen ha scritto un articolo molto attento sull’argomento per il New York Times. Ha detto:

“Sarà che io prediligo i fatti alle parole, ma dico che la realtà della civiltà iraniana nei confronti degli Ebrei ci dice più sull’Iran – sulla sua sofisticazione e sulla sua cultura – di quanto lo faccia tutta la retorica incendiaria. Potrà essere perché sono ebreo, e raramente sono stato trattato con un tale e costante calore come in Iran. O forse mi ha colpito che l’ira per Gaza, sbandierata sui poster e sulla TV iraniana, non si è mai riversata sotto forma di insulti o di violenze contro gli Ebrei. O forse è perché sono convinto che la caricatura di “Mullah Pazzo” dell’Iran e che l’assimilarne qualunque compromesso al Monaco del 1938 – una posizione popolare in alcuni circoli ebraici americani – sia fuorviante e pericoloso”. (“What Iran’s Jews Say”, Roger Cohen, New York Times).

La situazione non è perfetta per gli Ebrei che vivono in Iran, ma è meglio di quella dei Palestinesi che vivono a Gaza. Molto meglio.

Mike Whitney vive nello stato di Washington. Può essere contattato all’indirizzo fergiewhitney@msn.com.

Fonte:    
Link:    
18.08.2010

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MICAELA MARRI

da    

..................................................

 

Partito della Rifondazione Comunista

Circolo C.Campione Di Nichelino

giovedì 2 settembre 2010

 

 
Ho seguito anch'io, sull'onda emotiva venutasi a creare a seguito delle troppe notizie contrastanti divulgate in rete, il caso di Sakineh e mi sono messo "di buzzo buono" per saperne di più. Ho scoperto, senza sorprendermi troppo, che l'infelice donna non è stata giudicata per un semplice adulterio ma, e soprattutto, per concorso in omicidio del proprio marito, consumato in maniera brutale assieme al proprio amante.Malek Ejdar Sharifi, un giudice che si è occupato del particolare caso giudiziario, ha dichiarato: ''Non possiamo rendere noti i dettagli dei crimini di Sakineh, per considerazioni di ordine morale ed umano (a differenza della stampa Italiana, in Iran non vengono pubblicati i particolari morbosi dei delitti efferati - nota di nemo profeta). Se il modo in cui suo marito è stato assassinato fosse reso pubblico, la brutalità e la follia di questa donna verrebbero messe a nudo di fronte all’opinione pubblica. Il suo contributo all’omicidio è stato così crudele e agghiacciante che molti criminologi ritengono che sarebbe stato molto meglio se lei si fosse limitata a decapitare il marito''.
Preclusa la possibilità di perseguire la donna per omicidio, a causa del perdòno dei figli, i giudici hanno deciso di giocare la discutibile carta dell’accusa di adulterio. Scelta indubbiamente deprecabile sul piano procedurale – e infatti il processo è in fase di revisione - ma dal punto di vista culturale ed etico le cose stanno molto diversamente da quello che centinaia di siti internet, per non parlare della stampa, danno ad intendere ai lettori. Da fonti Iraniane, poi, non pare che l'eventuale condanna a morte venga eseguita per lapidazione, pratica barbara questa (per inciso deprecata dal Governo) che sopravvive soltanto in pochissime zone rurali della Repubblica Islamica, ma che è in via di sdradicamento. Per sgomberare il campo dalle troppe critiche facilone contro l'Iran, chi ha giudicato e condannato Sakineh non è stato il Governo Iraniano o qualche fanatico Ajatollah (o, peggio, il "deprecato regime"), ma un Tribunale locale nella regione di Tabriz grazie all'autonomia di cui gode.Poi, sulla pena di morte in generale si può essere d'accordo o meno (personalmente la aborrisco) , ma nel mondo oltre all'Iran tale pena viene eseguita in parecchi Paesi cosiddetti "civili", a partire da USA e Israele.Tra le fonti: Los Angeles Times | World |July 12, 2010 - 8:52 am

Fonte: http://www.valdelsa.net/det-cy61-it-EUR-40504-.htm
 

                                                       --------------

LA GRANDEZZA UMANA E POLITICA DI AHAMDINEJAD

 

pubblicata da Claudio Moffa il giorno lunedì 20 settembre 2010 alle ore 11.05

L’Iran chiede scusa a Carla Bruni

LA GRANDEZZA UMANA E POLITICA DI AHAMDINEJAD

 

La smentita di Ahmadinejad di cui all'articolo pubblicato qui di seguito e il cui link allego a questo intervento, è emblematica delle “difficoltà” (per usare un eufemismo) dell’informazione sull’Iran e nello stesso tempo, sia delle contraddizioni interne al processo rivoluzionario iraniano guidato da Ahamdinejad e Khamenei, sia della statura eccezionale del presidente iraniano, un leader la cui grandezza umana e politica è ormai un fatto acquisito come dimostra anche quest’ultimo episodio, nel quale  egli mostra di saper contrastare e correggere anche una parte del larghissimo movimento di di massa che lo sostiene.

In uno scambio di email il 16 settembre scorso con un collega iraniano che mi aveva chiesto fra l’altro cosa pensassi della lapidazione di Sakineh, dopo aver sottolineato che  “chiedere a Obama di far arrestare e condannare Jones … non tiene conto del fatto che Obama non  controlla direttamente la magistratura  negli Usa, e chissà quanto magistrati la pensano come Jones” e che  dunque “chiedere a Obama di arrestare Jones diventa qualcosa di simile alle accuse a Ahmedinejad e Khamenei in Occidente per la lapidazione della Sakineh … la scelta della moschea al ground zero è alla fin fine giusta, è come dire: l’Islam non  c’entra niente con l’attentato. E’ un inizio di svolta” così aggiungevo: “… Sarò forse ingenuo o magari offensivo, ma non credo che Ahamdinejad controlli tutto e tutti: non a caso è andato una volta in minoranza in parlamento … Un paese che vive una rivoluzione grandiosa come l’Iran, non è interpretabile come un monolite assoluto: ci sono sacche di arretratezza da eliminare, e una di questa sicuramente è la condanna per lapidazione …”

 

Ieri dunque l’intervento di Ahamadinejad risolutivo dell’aggressione mediatica subita dall’Iran in coincidenza con l’avvio concreto nella centrale di Busheher dell’industria nucleare iraniana: il presidente iraniano, che domani interverrà all’assemblea dell’ONU a New York, non  solo ha difeso Carla Bruni dalle offese da lei subite da un giornale iraniano e con la motivazione che tale offesa (“prostituta”) non hanno nulla a che vedere con l’Islam; non solo ha ribadito quello che i mass media occidentali hanno cercato di occultare sempre – tranne rarissime eccezioni – e cioè che Sakineh è stata condannata per omicidio e che attende ancora altri gradi di giudizio, ma ha anche dichiarato che la donna non è stata condannata per lapidazione.

 

Si può pensare che la tardiva smentita sia da correlarsi all’intervento del presidente di oggi all’ONU, ma al di là di questo altre tre considerazioni sono importanti: 1) l’attestarsi nella ricerca e proposizione delle tante Sakineh vittime dell’Occidente per difendere l’Iran non basta: la lapidazione è un metodo orribile di perpretare quello che comunque resta una modalità sanzionatoria sempre più criticata e avversata nel mondo – la pena di morte – e dunque un qualcosa da eliminare; 2)  esiste una dialettica dentro il processo rivoluzionario iraniano che sarebbe schematico e superficiale negare: pensare a Ahmedinejad come a un “dittatore” che tutto controlla non solo confligge con la natura profondamente democratica del sistema elettorale iraniano (questo fa la differenza ad esempio con il sistema iracheno ai tempi di Saddam) ma è comunque, come sempre (vedi mutatis mutandis, le polemiche su Mussolini e persino su Berlusconi) sbagliato. La realtà è più complessa di quanto la superficialità massmediatica spesso pretende; 3) In questa dialettica, il presidente iraniano rappresenta la parte “laica” del regime o per meglio dire – fuoriuscendo dal linguaggio nostrano – la parte religiosa del regime capace di intervenire sugli aspetti più arretrati della tradizione islamica (fermo restando che la lapidazione è una pratica ben più antica della fede propagata da Maometo) fino a smussare e diminuire, come è fisiologicamente naturale, il monopolio assoluto del vertice religioso del regime creato nel 1979 da Khomeiny. Una dialettica che i mass media occidentali – abituati a fare non solo dell’Islam, ma anche del “regime” iraniano un sol fascio, senza guardare alla dialettica parlamentare e a quella fra ceto politico “laico” e imam – negano sempre, a fini di demonizzazione del “nemico”.

 

Ecco dunque che il presidente iraniano “osa” dire no alle espressioni più retrive del mondo che lo sostiene. La grande forza di Ahamedinejad risiede non solo nella sua abilità tattico-politica, non solo nell'essere un leader credente nella religione del suo paese, ma anche e soprattutto nel fatto che sa correggere la rotta quando è necessario, forte di tre aspetti fondanti il suo carisma popolare: una politica estera coraggiosa, perseguita a orgogliosa difesa della sovranità e dell’indipendenza dell’Iran; una filosofia  modernizzatrice perché aperta allo sviluppo tecnologico del paese fino ad accettare – in sfida anche a tanto oscurantismo ecologista occidentale – l’opzione nucleare; e una politica sociale interna protesa alla difesa dei ceti più disagiati e poveri dell’Iran. Questo spiega perché, al contrario del reazionario Moussawi e dei suoi seguaci studenti figli di papà, il presidente iraniano goda del sostegno della stragrande maggioranza del popolo iraniano, quello che riempie a milioni i suoi comizi e le manifestazioni in suo sostegno.

 

 

 

14 settembre 2010

 

QUEGLI SPARI NEL GOLFO DELLA SIRTE:

LA PRIMA OPERAZIONE CONGIUNTA

ITALO-LIBICA CONTRO

L'IMMIGRAZIONE CLANDESTINA?

 

Claudio Moffa

 

 “Forse pensavano ci fossero migranti clandestini”: così più o meno l'on. Roberto Maroni sull'incidente nel Golfo della Sirte di ieri. Una battuta escamotage? Un tentativo di giustificare quella che appare a molti una aggressione ingiustificata? Una gaffe di chi non sa cosa dire? Personalmente ritengo che la spiegazione ipotizzata dal ministro dell'interno italiano sia quella più vicina alla realtà: ho seguito con discreta attenzione negli ultimi anni i ripetuti incidenti nella striscia di mare che separa l'Italia da Libia e Tunisia, e a partire da un'altra (più che) ipotesi – e cioè che il traffico di clandestini sia non solo il prodotto di guerre e carestie, ma anche l'effetto di una “impresa” politico e/o economica condotta o da ingenui volontari dei “diritti umani” o più spesso da organizzazioni criminali di trafficanti neo-schiavisti – non ho potuto non notare alcuni episodi e personaggi curiosi di questo fenomeno che per nostra fortuna sta scomparendo grazie alla svolta politica impressa dal governo di centrodestra e all'accordo fra Italia e Libia.

 

Fra i personaggi strani due tedeschi apolidi che diversi anni fa (2004), a bordo di una nave chiamata Cap Anamur, avevano raccolto “profughi” del Darfur e li avevano fatti sbarcare in Italia[1]: alcuni proposero uno scenario oscuro,

teso anche a demonizzare il governo di Karthum, all'epoca assai più che oggi sottoposto ad una durissima e campagna internazionale partita da oltre Mediterraneo e oltre Oceano, che lo accusava di un inesistente “genocidio”. Ipotesi per nulla peregrina sia in senso generale – persino Maurizio Molinari de La Stampa  aveva offerto una visione “complottista” delle ondate di migranti clandestini dal Curdistan, qualche anno prima, ovviamente accusando della manovra … la Siria – sia in senso particolare: appunto perché la partita sudanese era in pieno svolgimento all'epoca, e lo stesso Elie Wiesel nell'intervento all'ONU nel gennaio 2005 aveva elencato fra i “genocidi” della nostra epoca, in primis appunto, proprio il Darfur.

 

Quanto agli episodi strani, notai proprio poco tempo prima l'accordo fra Italia e Libia del 2008 uno sconfinamento o accusa di sconfinamento di un altro peschereccio italiano nel golfo della Sirte, con conseguenze di fatto nulle anche allora non solo per l'equipaggio della nave, ma anche per la storica firma di pace fra l'Italia e la sua ex colonia di qualche settimana dopo. Il comandante, lo ricordo benissimo, si chiamava Asaro ed è proprio questo nome che ricompare in queste ore, come armatore della nave comandata da Gaspare Marrone, la vittima dell'attacco di ieri. Nessuno scenario complottista ovviamente, simile a quello  evocabile per lo yacht del tedesco appena raccontata, e questo nonostante le congetture e le fantasie possano galoppare ad altissima velocità in modo assurdo e sconsiderato [2]. Ma è un dato di fatto che una banale immediata ricerchina  internet su Marrone fa scoprire in lui un “capitano coraggioso” [3], un comandante molto sensibile ai diritti umani dei clandestini, secondo umori molto diffusi nel nostro paese per iniziativa sia della Chiesa sia del 99 per cento della sinistra e del centrosinistra.

 

"Pietro Russo, Nicola Asaro, Salvatore Cancemi, Antonio Cittadino e Gaspare Marrone sono cinque dei capitani che più si sono esposti negli ultimi anni per i loro interventi di salvataggio. Ogni volta perdono intere giornate di lavoro che nessuno gli rimborsa" (3) 

 

Sentimento encomiabile quello di Marrone ma che da una parte non è risolutivo della questione migratoria, e dall'altra si scontra con la nuova politica di rigore del governo italiano contro l'immigrazione clandestina. Non risolve la questione migratoria, questo tipo di umanitarismo, perché il problema da affrontare è semmai – in una visione di largo respiro –  bloccare le guerre che insanguinano l'Africa e il Medio Oriente e che destabilizzano e distruggono gli Stati sovrani e indipendenti delle due regioni. Basta fare 2 più 2 per capire: le guerre dei Balcani, protagonista anche l'Italia di D'Alema, hanno provocato ondate di profughi dall'ex Jugoslavia e dall'Albania; l'assedio all'Iraq e la no-fly zone in Curdistan, già all'epoca di Saddam, hanno scatenato a un certo punto l'arrivo di migliaia di clandestini curdi sulle coste siciliane e calabresi. E così via.

 

D'altro canto la legge va rispettata e non c'è “capitano coraggioso” che tenga. E dunque, viste le esternazioni giornalistiche dello stesso comandante Mazzone sopra citate in nota, ecco il possibile abbaglio della motovedetta che ha confuso una attività di pesca in acque sembra internazionali, con un atto delittuoso. Ed ecco la spiegazione del perché, su quella motovedetta, c'erano non solo militari libici ma anche finanzieri italiani.

 

La prima “operazione congiunta” fra Roma e Tripoli per un efficace, “finale” stop a ogni tentativo di infrangere il blocco dell'immigrazione clandestina in Italia? E' possibile, l'accenno di Maroni lo confermerebbe. Ed è comprensibile e a mio avviso, giustificabile. Nel 2001 o 2002, quando  partecipai a un progetto di ricerca europeo per un  “Osservatorio sull'immigrazione” e poi a una ricerca interregionale finanziata dalla Regione Abruzzo, finii per scontrarmi (in senso amicale, ovviamente) con molta sociologia “progressista” che teorizzava una assurda e suicida politica del laissez faire sull'immigrazione, senza rendersi conto che quella “politica” era una non politica non solo antiitaliana (l'effetto era "minoranzizzare" il nostro paese ricettivo e sensibile a tutte le tradizioni e indentità tranne quella di italiani), ma anche antisindacale e contraria agli interessi dei lavoratori. Ricordo un battibecco vivace in un convegno con un sociologo mazziniano (sic) pro-libera immigrazione (sic), un intervento di un onorevole del PD da me invitato che ripeteva il ritornello che gli italiani non vogliono più fare certi lavori senza porsi il problema delle paghe salariali miserrime già all'epoca, proprio a causa di un offerta di massa di manodopera immigrata a basso costo; e un dialogo divertente e scherzoso con un mio interlocutore che riprendendo nei fatti quel che avevo scritto persino su il Centro di De Benedetti, mi chiese : “ma insomma, tu pensi che se si “spara” sugli immigrati si sbaglia, e se si fa lo stesso sugli scafisti si fa una cosa giusta, e di sinistra”. Sì, fu la mia risposta. Questo è il senso alto dell'accordo fra Italia e Libia, i finti umanitarismi non passano più: l'abbaglio sul caso Marrone è assai probabile ma, se vera la spiegazione del ministro Maroni, il segnale forte è stato dato. Anche per questo la visita di Gheddafi a Roma è stato un successo.

 

 

[1] http://www.repubblica.it/2009/09/sezioni/cronaca/immigrati-12/cap-anamur/cap-anamur.html

[2] http://www.jewishroots.it/Zudei_siciliani.shtm

[3]

________________________

 

 Tutti contro l'Iran di Tommaso Di Francesco

Fonte: Il Manifesto
Link: [qui]
10 novembre 2011
 

Parlano di una nuova guerra. Non hanno ancora spento i motori dei jet occidentali che hanno bombardato la Libia, dove sotto le macerie di Sirte e delle altre città scheletrite prende corpo il nefasto presagio di un nuovo, più violento conflitto intestino, né hanno smesso di far volare i bombardieri sui cieli afghani, che già tornano a ripetere la parola guerra. Stavolta contro l'Iran, accusato ora anche dall'Aiea di essere «quasi pronto» a detenere l'atomica, e minacciato direttamente da Israele.

Dove da settimane si dibatte se è giusto o no attaccare militarmente Tehran e dove l'opzione militare viene addirittura annunciata e sponsorizzata dal Nobel "per la pace", il presidente Peres. Una follia globale. Perché i rapporti di forza dicono che se si aprirà anche questa porta dell'inferno, non solo non sarà una passeggiata ma le ripercussioni di morte saranno subito evidenti in tutto il Mediterraneo e il Medio Oriente, a cominciare da Israele. Né spaventa più di tanto il fatto che siamo in presenza dell'arsenale atomico israeliano, per un eventuale target iraniano anch'esso nucleare.

Certo, la pubblicità con cui si annunciano le nuove minacce di guerra potrebbero far pensare proprio all'impossibilità di un nuovo conflitto armato. Eppure appare sempre più evidente il contrario, pensando anche alla tragedia che si consuma di ora in ora in Siria, ai margini della questione iraniana. Anche perché, c'insegna la storia degli ultimi quindici anni, la parola «guerra» è fatta di materia, è action painting, pensarla e pronunciarla attiva l'iniziativa, cambia la rotta delle portaerei e dei listini di borsa, trasforma mercati, banche, consumi, governi e popoli. In una parola, distrugge il diritto internazionale. Solo due anni fa Mahmud ElBaradei, presidente egiziano dell'Aiea certificava che Tehran non aveva il nucleare militare; solo un anno e mezzo fa Barack Obama riconosceva nel suo discorso del Cairo il diritto dell'Iran ad avere il nucleare civile; solo due anni, fa nei mesi precedenti alle presidenziali Usa, la Cia metteva le mani avanti contro i precedenti imbrogli iracheni sulle armi di distruzione di massa di Bush, resocontando l'inesistenza dell'atomica iraniana e dei preparativi per realizzarla. Non è chiaro che cosa sia cambiato in questi due anni, tanto più che i preparativi atomici risalirebbero al 2003.

Quel che davvero non esiste più è la funzione delle Nazioni unite per una eguale difesa del diritto internazionale. Una funzione del resto bombardata dalle tante scelte armate dell'amministrazione Usa, della leadership euro-atlantica e della stessa Israele che hanno fatto strame di convenzioni e leggi. Basta vedere il fatto che il «colpevole» Iran aderisce al Trattato di non proliferazione atomica e non ha «ancora» la bomba, mentre Israele non aderisce al Trattato, ha centinaia di testate nucleari - strategiche e tattiche - e le punta anche su Tehran. Ma l'Aiea ora a guida giapponese non lo dice e preferisce tacere.

A questo punto non basta piangere sul pacifismo versato che non c'è più. La questione vera è interrogarsi subito - ora, suggerisce il movimento americano di Occupy Wall Street - sul nesso indissolubile tra crisi globale del capitalismo finanziario e guerra.

Continuare a parlare di spread, bot, borsa, euro, banche da salvare, welfare da cancellare, lavoro da distruggere, morte delle sovranità nazionali, crisi dell'Europa, perdita della primazia Usa, separatamente dai venti di guerra che tornano a spirare, è colpevole quanto se non più di chi prepara una nuova avventura
militare.

PRC e l'Iran

Minaccia dell'Iran o all'Iran? 14 aprile 2012

 

 

/body>